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Dvar Torà

Basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

E’ scritto nel libro di Shemot per quanto riguarda la preparazione del Popolo Ebraico a ricevere la Torà sul monte Sinai:

"E gli Israeliti si accamparono nei pressi della montagna." (Esodo 19:2)

La parola ebraica per dire "accampato" è "vaichan". La cosa particolarmente interessante è che il verbo "vaichan" è usato in forma singolare, in quanto la forma grammaticalmente corretta sarebbe "vaiachanù". Che cosa impariamo dall’uso del verbo "vaichan" in forma singolare?

Rashì, il grande commentatore, ci dice che la forma singolare è usata per dirci che si accamparono "come una persona singola con un solo cuore." Il rav Yerucham Levoviz ha commentato che da qui si vede che l'amore per il prossimo è un prerequisito per accettare la Torà.

Rabbi Izchak di Vorki ha notato che la parola "vaichan", oltre che a significare "accampato" deriva anche dal termine "chen", che significa "trovare grazia." Ossia, le persone hanno trovato grazia le une agli occhi degli altri e quindi, di conseguenza, hanno trovato grazia agli occhi dell'Onnipotente.

Quando si vedono solo i difetti e le carenze di un'altra persona, si diventa distanti da essa. Tuttavia, quando si vede il buono e il positivo che c’è negli altri, si diventa più vicini ad essi. Questa unità è un requisito fondamentale per l'accettazione della Torà.

Come si sviluppa questo tipo di unità? Troviamo nel libro Nachal Kidumim che l’unità tra persone è raggiungibile solo quando vi è umiltà. Quando il popolo ebraico è arrivato al monte Sinai, che è il simbolo dell’umiltà, ha interiorizzato questo attributo.

Quando si è persone umili, non si sente il bisogno di sovrastare gli altri o di sentirsi superiori concentrandosi sui loro difetti. Quando si è umili ci si può permettere di vedere il buono negli altri. La caratteristica di provare amore per gli altri, concentrandosi su quanto c’è di buono in loro, e quella di essere umili, vanno di pari passo. Sviluppando e raffinando queste caratteristiche ci si può elevare e arrivare ad essere degni di ricevere la Torà.

Riadattamento del link http://www.aish.com/tp/ss/ssw/48901857.html

Se si passa shabbat in un hotel in cui si usano chiavi elettroniche

Molti alberghi oggi dotano le camere degli ospiti di “serratura elettronica”, in modo tale che le porte si aprono con una carta speciale che viene inserita nella porta aprendola in modo elettronico. E’ chiaro che un ebreo non può aprire una porta in questo modo durante lo shabbat, e che la carta abbia lo status di mukze e non può essere trasportata durante shabbat. Per risolvere questo problema, molti hotel in Israele offrono ai loro ospiti una chiave convenzionale da utilizzare per aprire le loro porte durante Shabbat. Ma nel resto del mondo, questa soluzione è raramente disponibile. Che cosa dovrebbe fare una persona che passa shabbat in un hotel le cui camere possono essere aperte solo elettronicamente?

Il chacham Izchak Yosef, nella sua opera Sefer Hamaarachot (p. 186), scrive che un viaggiatore ebreo deve fare il possibile per evitare questa situazione, e accertarsi di non passare lo shabbat in un albergo in cui siano disponibili solo chiavi elettroniche. Se tuttavia nessun hotel del genere è disponibile nella zona, o se una persona arriva a destinazione poco prima di shabbat e non ha tempo di trovare un albergo diverso, allora dovrebbe mettersi d’accordo con il personale dell'hotel prima di shabbat affinché qualcuno dello staff che non sia ebreo apra la porta per lui.

In pratica, dovrebbe chiedergli prima di shabbat che quando lo vedono entrare o aspettare fuori dalla sua stanza, devono mandare qualcuno (non ebreo) che apra la porta per lui. Se tale accordo non è stato fatto prima di shabbat, il chacham Izchak scrive, allora si può facilitare e permettere all’ospite ebreo di chiedere direttamente a un non ebreo di aprire la sua porta. Il chacham Izchak osserva inoltre che questa situazione rientra nella categoria di “shvut deshvut bimkom zaar ", il che significa che è possibile chiedere a un non ebreo di eseguire un'azione proibita miderabbanan, in una situazione in cui altrimenti si subirebbe un notevole disagio. Su questa base, c'è spazio per permettere di chiedere a un gentile di aprire la porta con la serratura elettronica per un ebreo.

Chiaramente, però, questa opzione dovrebbe essere considerata come ultima risorsa, come detto, ogni sforzo deve essere fatto per evitare tale situazione.

Riassumendo: un viaggiatore dovrebbe fare ogni sforzo per non stare in un hotel di shabbat in cui le porte possono essere aperte solo elettronicamente. Se non si ha altra scelta, allora dovrebbe concordare con il personale dell'hotel prima di shabbat che un membro dello staff apra la porta per lui ogni volta che entra. Se questo accordo non è stato fatto, allora si può chiedere ad un membro del personale non ebreo durante lo shabbat di aprire la porta per lui.

Riadattamento del link:

http://www.dailyhalacha.com/displayRead.asp?readID=2046

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