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Newsletter: Parashat Shemot 5772


La parashà di Shemot… in brevissima!

Nella parashà di questa settimana si parla degli ebrei che diventano prominenti e numerosi. Sale un nuovo re in Egitto “che non aveva conosciuto Josef” (o meglio: che ha scelto di non conoscerlo non avendo nessuna gratitudine per quello che ha fatto). Il faraone decreta la schiavitù per il Popolo Ebraico.
Moshè nasce e viene immediatamente nascosto a causa del decreto secondo cui tutti i neonati maschi ebrei devono essere uccisi. Moshè è salvato dalla figlia del faraone, cresce nel palazzo reale, esce fuori per rendersi conto della situazione dei suoi fratelli ebrei. Uccide un egiziano che stava colpendo un ebreo, scappa a Midian. Diventa un pastore, e poi HaShem gli comanda, nell’episodio del roveto ardente, di portare gli ebrei fuori dall’Egitto. Moshè torna in Egitto, parla al faraone che si rifiuta di dare il permesso di liberare gli ebrei. HaShem dice “Ora inizierai a vedere cosa farò al faraone!”

 

Dvar Torà

Basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

Quando L’Onnipotente dice a Moshè che lui sarà il leader che parlerà con il faraone per chiedere la liberazione del popolo ebraico, Moshè risponde:
"Per favore mio Signore, manda qualcun altro.” (Shemot 4:13)
Perché Moshè tenta di evitare l’incarico?
Il Ramban, Rabbi Moshè ben Nachman, spiega che Moshè chiede di mandare qualcun altro perché pensa che qualsiasi altra persona al mondo sia migliore di lui per svolgere questo incarico.
A prima vista sembra sconcertante. Come può Moshè considerarsi indegno? Rabbi Chaim di Vologin spiega che per quanto una persona sia intelligente e saggia e abbia ottenuto molto, potrebbe non essersi impegnata quanto avrebbe potuto. Con il suo talento avrebbe potuto ottenere molto di più se solo si fosse sforzata. D’altro canto, una persona che sembra essere molto modesta, forse si sta impegnando al massimo. La persona modesta è riuscita a raggiungere il suo potenziale, l’altra è ben lontana dall’esserci riuscita.
Per questo motivo Moshè si sente inadatto. Nella sua umiltà ha pensato di essere ben lontano dall’essere riuscito a raggiungere il suo potenziale, meno di chiunque altro.
Questa è una lezione per due tipi di persone. Coloro che si sentono arroganti e presuntuosi per il loro grande intelletto e per ciò che sono riusciti a raggiungere, dovrebbero essere consapevoli del fatto che forse avrebbero potuto fare di più sfruttando meglio il proprio potenziale. Per lo stesso identico motivo, coloro che provano duramente ad agire in modo elevato, sforzandosi ampiamente, non devono essere invidiosi o scoraggiati quando vedono che gli altri sembrano apparentemente ottenere più di quanto non abbiano fatto loro.

 

Parlare prima di bere il vino del kiddush

Quando una persona recita il kiddush del venerdì sera, per conto di tutti i presenti a tavola, coloro che ascoltano devono avere in mente di uscire d’obbligo con le berachot di colui che recita il kiddush – le berachot di “borè perì haghefen” per il vino e quella per il kiddush. Avendo questa intenzione sono considerati come se essi stessi abbiano personalmente recitato le berachot.
Come sappiamo, c’è l’uso che chi recita il kiddush passa poi il bicchiere a tutti gli altri così che possano bere il vino del kiddush. Coloro che sono a tavola, non possono parlare prima di aver bevuto il vino, così come una persona che recita una berachà su un cibo o una bibita non può parlare prima di aver mangiato o bevuto. Come abbiamo detto chi sente la berachà è considerato come se lui stesso l’abbia recitata, quindi anche lui non può parlare fino a dopo aver bevuto il vino, così come chi recita la berachà non può parlare prima di aver bevuto.

Questo vale non solo per il venerdì sera, ma ogni qualvolta una persona compie l’obbligo di recitare una berachà per un cibo o una bevanda, ascoltando la berachà di qualcun altro. Se per esempio due persone vanno a bersi qualcosa insieme, e uno decide di ascoltare la berachà dell’altro anziché recitare la berachà lui stesso, questa persona non deve parlare daquando comincia ad ascoltare la berachà fino a che non beve.
La domanda è: se una persona ha parlato prima di bere il vino del kiddush, deve rifare la berachà? Spesso capita che le persone si dimentichino l’alachà e parlino dopo il kiddush prima di bere il vino. Possono appoggiarsi sulla berachà che hanno sentito o devono recitare una berachà per conto proprio?
Molti rishonim (autorità alachike medievali), fra cui il Rosh (Rabbenu Asher Ben Yechiel, Germania – Spagna, 1250-1327) e il Mordechai (Rabbì Mordechai HaCohen Ashkenazi, Germania, 1240- 1298), sostengono che bisogna recitare una berachà in questo caso. Secondo questo punto di vista, parlare fra la berachà è l’atto di bere, compromette la validità della berachà, richiedendo di conseguenza la recitazione di una nuova berachà. Questa sembra essere l’opinione accettata dal Bet Yosef (Orach Chaim, 167). Però, il Ramà (Rabbì Moshè Iserless, Polonia, 1525-1572) cita l’opinione del Rokeach (Rabbi Eleazar di Worms, Germania, 1160-1237) che dice che ci si può appoggiare sulla berachà ascoltata, perfino se si è parlato nel mezzo. Secondo questa posizione, a condizione che chi abbia recitato il kiddush abbia bevuto il vino senza parlare nel mezzo, gli altri possono appoggiarsi sulla sua berachà nonostante abbiano parlato.
Per stabilire l’alachà, dobbiamo ricordarci della famosa regola secondo cui “safek berachot leachel” ossia che non si recita una berachà se c’è il dubbio che non sia necessaria. Nel caso in questione, quindi, si può bere il vino senza ripetere la berachà. Bisogna però sottolineare, che questo si applica solo “bediavad” (a posteriori), nel caso in cui si abbia parlato per errore. La cosa migliore è comunque stare attenti a non parlare dopo aver sentito il kiddush prima di bere il vino.
Riassumendo: dopo aver recitato il kiddush, chi lo ha ascoltato non deve parlare fino a che non abbia bevuto. Se, però, qualcuno ha parlato nel mezzo, può bere senza recitare la berachà, a condizione che chi ha recitato il kiddush abbia bevuto senza parlare nel mezzo.

Shabbat shalom!!
  

Newsletter: Parashat Vayakel 5771

Dvar Torà

basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

La Torà afferma per quanto riguarda il reclutamento dei lavoratori che costruiranno il Mishkan:

“Tutte le persone mosse dal proprio cuor

e vennero.” (Shemot 35:21)

Cosa possiamo imparare da questo verso in cui è specificato che la loro motivazione aveva origine dai loro cuori?

Il Ramban, Nachmanide, spiega che avevano bisogno di motivazione dai loro cuori perché nessuno aveva avuto alcuna esperienza precedente riguardo alle competenze necessarie per costruire il Tabernacolo. Non c’erano insegnanti a disposizione per la loro formazione. Tuttavia ci sono state persone che hanno avuto il coraggio di venire da Moshè e dirgli “Farò tutto quello che hai detto!”.

Rav Yeruchem Leboviz ha commentato che, se facciamo caso alle persone veramente ricche di questo mondo, noteremo che nella maggior parte dei casi sono persone dotate di un grande spirito di iniziativa. La Torà nota che coloro che hanno avuto successo nel sacro lavoro di costruzione del Tabernacolo ce lo hanno avuto grazie al loro coraggio interiore che li ha spinti a presentarsi di fronte a Moshè e a proporsi di fare tutto ciò di cui c’era bisogno.

Siate consapevoli dei momenti della vita in cui avete sentito un forte desiderio di accrescimento spirituale. Lasciate che questi ricordi vi diano motivazione in futuro per avere ancora più iniziativa per accrescervi ancora di più. Abbiate il coraggio di accettare su di voi di fare cosa è necessario fare! Chi ha un forte impulso a realizzare qualcosa scoprirà in se molto talento e capacità nel realizzarla che altrimenti sarebbero rimasti dormienti dentro di lui!

Riadattamento del link: http://www.aish.com/tp/ss/ssw/48932527.html

… a proposito di purim: è permesso lavorare??

La meghillà descrive la festa di purim come un’occasione di “mishtè e simchà” (banchetto e gioia) (9:22). Non si parla di yom tov, un giorno in cui è proibito compiere melachot (lavori). In senso stretto quindi, non è vietato lavorare durante purim.

Nonostante ciò, l’uso diffuso in alcune comunità è quello di astenersi dal lavorare durante il giorno di purim, e l’alachà richiede quindi, che le persone facenti parte di queste comunità devono rispettare tale uso. Inoltre ci sono fonti da cui impariamo che dal lavoro svolto durante questo giorno non deriva berachà (benedizione), quindi in ogni caso, non è consigliabile lavorare di purim a meno che non se ne abbia necessità in modo da poter guadagnare soldi che coprano le spese della festa.

Tutta la discussione si riferisce solo a lavori fisici, come per esempio lavori che hanno a che fare con l’agricoltura etc. Tecnicamente parlando, è consentito svolgere lavori d’ufficio e simili nel giorno di purim. Chiaramente però, è preferibile non andare a lavorare in modo da poter trascorrere la giornata essendo coinvolti nelle tante mizvot ad esse collegata – mishloach manot, matanot laevionim, l’ascolto della lettura della meghillà e ovviamente il banchetto di festa. Se fosse possibile bisognerebbe cercare di programmare gli impegni di lavoro in modo da non dover lavorare durante purim così da poter dedicare la giornata ai festeggiamenti. Se si deve lavorare di purim, è possibile, a patto che si riescano a compiere in modo adeguato tutte le mizvot legate alla giornata. Va inoltre notato che è del tutto lecito avere dei non ebrei che svolgano lavori per ebrei nel giorno di purim. Così, gli imprenditori, possono sicuramente lasciare aperta la loro attività facendola gestire agli impiegati non ebrei.

E’ completamente consentito lavorare la sera di purim. La discussione riguardo al lavoro si riferisce solo al giorno, momento in cui si compiono le mizvot della festa.

E’ completamente permesso scrivere, fare fotografie, tagliarsi le unghie e i capelli.

Rav Chaim Falagi (Turchia, 1788 - 1869) scrive che lavori di costruzione non dovrebbero essere svolti nella propria casa durante purim. Questa è la conclusione di diverse autorità fra cui il Bet David e l’Erech haShulchan. Il Rav Ovadia Yosef shlita dice che c’è posto per facilitare riguardo alla questione se a causa del ritardo nei lavori ci sia una perdita monetaria, altrimenti non bisognerebbe costruire nella propria casa durante purim.

Riassumendo: se possibile, bisogna cercare di non lavorare durante il giorno di purim e passare la giornata essendo coinvolti nelle mizvot ad essa correlate. Se è necessario si può lavorare a patto da poter compiere in modo adeguato le mizvot particolari del giorno. Si possono avere lavoratori non ebrei che lavorano per un ebreo di purim ed è permesso lavorare durante la notte di purim. Si può scrivere, tagliarsi le unghie e i capelli. Non bisogna costruire nella propria casa di purim, a meno che la sospensione dei lavori non causi una perdita monetaria.

Riadattamento del link http://www.dailyhalacha.com/displayRead.asp?readID=1788

Shabbat shalom umevorach!!