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Newsletter: Yom HaKippurim 5772

La mizvà di mangiare la vigilia di Kippur

La vigilia di Yom Kippur abbiamo la mizvà di mangiare. Questa mizvà è talmente importante che, così come dice il Talmud, chi mangia la vigilia di Yom Kippur è come se avesse digiunato due giorni, quello di Kippur e il precedente.
Cosa possiamo imparare? Perché dobbiamo mangiare la vigilia di Kippur?
Il Rosh (Rabbenu Asher Ben Yechiel, Germania-Spagna, 1250-1327) suggerisce un’analogia con un padre che sa che il figlio non potrà mangiare in un certo giorno, e quindi si assicura di nutrirlo abbondantemente il giorno precedente così da non farlo soffrire per il digiuno. Allo stesso modo, dice il Rosh, HaShem ci “nutre” il giorno prima di Kippur comandandoci di mangiare, cosicché la nostra salute e il nostro benessere non siano intaccati dal digiuno.
Lo Shibbolè Halechet (Rav Zidkià Ben Avraham, Italia, 1230-1300) suggerisce un motivo diametralmente opposto, visto che mangiare abbondantemente il giorno precedente al digiuno, rende il digiuno più difficile. Se un giorno il corpo riceve una grande quantità di cibo, quello successivo si aspetta di riceverne altrettanta, e quindi digiunare diventa un’impresa più difficile. La Torà ci comanda di “affliggere le nostre anime” (“Veinitem et nafshotechem”) durante Yom Kippur, e quindi lo scopo di mangiare abbondantemente il giorno precedente è quello di avere più difficoltà a digiunare.
 (Ci si potrebbe chiedere rispetto a questa questione, perché allora non troviamo una alachà simile nel digiuno del 9 di Av. Non solo non c’è una mizvà di mangiare la vigilia del 9 di Av, ma addirittura secondo l’alachà il pasto che precede il digiuno consiste solo in pane e un altro cibo cucinato. Sembrerebbe che ci sia una differenza concettuale fra i due digiuni, il 9 di Av digiuniamo come espressione del lutto, a Yom Kippur digiuniamo per aiutare il processo di pentimento.)
 Lo Sfat Emet (Rav Yehuda Ariè Leb Alter di Ger, Polonia, 1847-1905, in foto) suggerisce un motivo totalmente differente al perché abbiamo la mizvà di mangiare la vigilia di Kippur. Uno degli obblighi che si applicano prima di Kippur è quello di riconciliarsi con coloro a cui abbiamo fatto un torto. Prima di Kippur siamo obbligati a chiedere scusa e cercare di riconciliarci come parte della nostra preparazione al giorno di espiazione. Lo Sfat Emet nota che quando le persone sono affamate, sono più agitate e meno inclini ad accettare o cercare la riconciliazione. L’alachà richiede di mangiare abbondantemente in questo giorno così da poter creare un’atmosfera rilassata e serena, in modo da facilitare la riconciliazione.
La vigilia di Kippur c’è l’uso di mangiare il doppio di quello che si è soliti mangiare. Quindi, se possibile, bisognerebbe calcolare l’apporto calorico medio di ognuno e mangiare il doppio.
La mizvà di mangiare la vigilia di Kippur è considerata più importante perfino dello studio della Torà. Quindi, bisogna prendersi del tempo dallo studio della Torà (tanto più da altre occupazioni) in modo da riuscire a mangiare un pasto come si deve. La Ghemarà, nel trattato di Berachot (8) ci dice di un certo Rav che aveva deciso di passare la vigilia di Yom Kippur leggendo “shenaim micrà veechad targum” (la doppia lettura della parashà con la traduzione in aramaico) dell’intera Torà. I suoi colleghi, lo hanno ripreso, facendogli notare che in quel giorno ha l’obbligo di mangiare. Il Rav non ha risposto alle loro critiche, mostrando di aver accettato la loro opinione. Questo episodio dimostra che la mizvà di mangiare supera perfino l’importante mizvà dello studio della Torà – uno status che hanno ben poche mizvot.
Il Chacham Rav Ovadia Yosef stabilisce che l’obbligo di mangiare la vigilia di kippur si applica sia agli uomini che alle donne, perchè il motivo per questo obbligo – sia inteso come preparazione per il digiuno che per facilitare la riconciliazione – si applica ugualmente sia agli uomini che alle donne.
Il Ben Ish Chai (Rav Yosef Chaim di Bagdad, 1833-1909) riporta l’uso di mangiare pesce durante la colazione della vigilia di Kippur. La base per questo uso è una storia raccontata nel midrash (citato nel Tur) di un re che ha detto al suo servo di andare al mercato e comprarglidel pesce. Il servo va al mercato e scopre che era rimasto un solo pezzo di pesce. Offre al venditore una moneta per il pesce, ma un ebreo, che anche lui voleva il pesce, gli offre due monete. Dopo un’intensa gara al rialzo, l’ebreo ha superato l’offerta del servo riuscendo ad ottenere il pesce per una cifra esorbitante. Il servo è tornato dal re spiegandogli cosa fosse accaduto; il re convoca immediatamente l’ebreo chiedendogli una spiegazione per la sua perseveranza nel voler ottenere il pesce. L’ebreo gli spiega che è la vigilia di Kippur, e quindi voleva il pesce per compiere la mizvà di mangiare un pasto festivo in quel giorno. Noi quindi mangiamo pesce la vigilia di Kippur in ricordo della notevole devozione dell’ebreo per compiere questa mizvà.
Il pesce va mangiato solo nelle ore del mattino, perché cibi che possono aumentare la possibilità di Keri (emissioni notturne) devono essere evitati nel pomeriggio della vigilia, così da non rischiare di diventare impuri la notte di Kippur. Fra tali cibi troviamo i datteri, il pesce, le uova, latte tiepido e la carne grassa.
Riassumendo: sia gli uomini che le donne hanno l’obbligo di mangiare un pasto festivo la vigilia di Kippur, e per farlo si deve perfino prendere tempo dallo studio della Torà. Non vanno mangiati pesci, datteri, uova, latte caldo o carne grassa dal pomeriggio della vigilia. C’è l’uso di mangiare pesce la mattina della vigilia.

Shabbat shalom, gmar chatimà tovà!


  

Newsletter: Parashat Mezorà 5771

Dvar Torà

Basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

La Toràh afferma:
“Allora il Sacerdote ordinerà di prendere per la persona da purificare, due uccelli vivi e puri, un ramo di cedro, un filo di lana scarlatta e dell’issopo. (Vaikrà 14:4)
Quale lezione impariamo da questo verso?
Rashi, il grande commentatore, cita i Saggi che dicono che il cedro simboleggia l’arroganza (un albero di cedro è chiamato “alto e fiero”). La zaraat ha origine dall’arroganza e dal disprezzo per gli altri che fanno si che la persona sia portata a parlarne male.
Il Chafez Chaim commenta che chi parla male degli altri considera se stesso superiore e di conseguenza si prende il diritto di dire cose negative su chi lo circonda. Se fosse consapevole dei suoi difetti e limiti non cercherebbe di sottolineare quelli degli altri.
Quale è la cura? Bisogna lavorare sul rafforzamento dell’umiltà, che è simboleggiata dalla porpora che è prodotta da un mollusco e dall’issopo che è un piccolo cespuglio (i due uccelli vivi che cinguettano simboleggiano il chiacchierio e il pettegolezzo).
La nostra lezione: cercare di essere più consapevoli dei nostri difetti e limiti piuttosto che concentrarci su quelli degli altri

 

…a proposito di pesach: il digiuno dei primogeniti!

Lo Shulchan Aruch riporta l’uso del “taanit bechorot”, il digiuno dei primogeniti (sia che siano primogeniti da parte materna o da parte paterna), la vigilia di pesach. Questo digiuno ricorda la “makat bechorot”, l’ultima delle dici piaghe in cui sono stati colpiti i primogeniti egiziani, da cui i primogeniti ebrei sono stati risparmiati. L’uso comune è che solo i primogeniti maschi digiunino.
Dal momento che questo digiuno non è richiesto secondo l’alachà stretta, e si osserva solo come minag (usanza), unito al fatto che la vigilia di pesach è solitamente una giornata molto intensa, i Nostri Maestri lo trattano con maggiore indulgenza rispetto agli altri digiuni. Quindi, se il primogenito partecipa a una seudat mizvà (un pasto che costituisce una mizvà) di qualsiasi tipo, è esentato dal digiunare. Esempi di seudat mizvà sono costituiti  da seudot che seguono un brit milà, un pidion haben e un bar mizvà nella data ebraica in cui il ragazzo compie 13 anni. Di solito nella maggior parte delle comunità c’è qualcuno che completa lo studio di una massechet (trattato talmudico) festeggiando quindi con un sium la vigilia di pesach, in modo che i primogeniti della comunità possano partecipare alla celebrazione ed essere quindi esentati dal digiunare.
Si deve notare che la persona deve avere effettivamente studiato la massechet; il pasto non è considerato una seudat mizvà se ha solo letto le parole senza capire di cosa si trattava. Inoltre, il primogenito non è esentato dal digiuno  a meno che non ascolti la persona mentre legge e spiega la frase finale della massechet. Deve essere presente quando si legge l’ultima frase e capire cosa viene detto. Alcuni sbagliano pensando che il cibo servito durante il sium abbia uno status speciale per cui basta semplicemente assaggiarlo per essere esentati dal digiuno. Questo non è vero, sono esentati solo coloro che partecipano e ascoltano la fine della massechet.
Anche completando uno dei sei sedarim della Mishnà con il commento di Rabbenu Ovadia di Bartenura si può fare una seudat mizvà, e questa celebrazione esenta i primogeniti dal dover digiunare.
Un primogenito che non partecipa a una seudat mizvà deve digiunare per tutto il giorno fino al seder. I primogeniti devono quindi accertarsi di avere modo di partecipare a una seudat mizvà.
Primogeniti malati o deboli non sono tenuti a digiunare anche se non partecipano a una seudat mizvà.
E’ consuetudine che chi abbia un primogenito maschio lo porti al Tempio per ascoltare il sium il giorno della vigilia di pesach, se il bambino è grande abbastanza da capire, anche se non ha ancora superato l’età del bar mizvà. Se è troppo difficoltoso per il bambino venire al Tempio non è tenuto a farlo ma il padre dovrebbe partecipare al sium al posto del figlio.
Nel libro “Shaarè Ora” viene data una suggestiva interpretazione del perché il miracolo dei primogeniti in Egitto venga commemorato specificatamente con un digiuno. A prima vista, avremmo detto che un miracolo vada celebrato con una qualche forma di manifestazione gioiosa e non con un digiuno! Lo Shaarè Ora spiega che quando Moshè ha annunciato che  HaShem avrebbe mandato una piaga per colpire i primogeniti egiziani, i primogeniti ebrei erano molto spaventati e preoccupati. I Nostri Maestri ci insegnano che i Figli d’Israele adoravano gli idoli durante il periodo in cui erano in Egitto e quindi i primogeniti ebrei non avevano abbastanza meriti per essere salvati. Il giorno prima della piaga, i primogeniti ebrei hanno digiunato e si sono pentiti con la speranza di guadagnare compassione Divina e essere risparmiati dalla piaga che avrebbe colpito di lì a poco gli egiziani.
I primogeniti osservano un digiuno la vigilia di pesach come parte dei nostri sforzi di ricostruire e rivivere le esperienze dei nostri avi in Egitto. Durante pesach abbiamo l’obbligo, non solo di parlare a proposito di quello che è successo in Egitto, ma di riviverlo, come è detto nell’aggadà: “Una persona deve considerarsi come se essa stessa abbia lasciato l’Egitto”. L’usanza è quella quindi che i primogeniti devono digiunare la vigilia di pesach così come i loro antenati hanno digiunato.
Riassumendo: il primogeniti maschi (sia da parte di madre che da parte di padre) devono digiunare la vigilia di pesach, ma si può evitare partecipando a una seudat mizvà o a un sium la mattina della vigilia. Il primogenito deve partecipare personalmente, ascoltare e capire la frase finale della massechet. È uso che i padri di figli primogeniti che non sono ancora arrivati all’età del bar mizvà portino i loro figli per partecipare al sium oppure devono partecipare al posto loro.

Shabbat shalom!!