Newsletter: Parashat Vayakel 5771

Dvar Torà

basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

La Torà afferma per quanto riguarda il reclutamento dei lavoratori che costruiranno il Mishkan:

“Tutte le persone mosse dal proprio cuor

e vennero.” (Shemot 35:21)

Cosa possiamo imparare da questo verso in cui è specificato che la loro motivazione aveva origine dai loro cuori?

Il Ramban, Nachmanide, spiega che avevano bisogno di motivazione dai loro cuori perché nessuno aveva avuto alcuna esperienza precedente riguardo alle competenze necessarie per costruire il Tabernacolo. Non c’erano insegnanti a disposizione per la loro formazione. Tuttavia ci sono state persone che hanno avuto il coraggio di venire da Moshè e dirgli “Farò tutto quello che hai detto!”.

Rav Yeruchem Leboviz ha commentato che, se facciamo caso alle persone veramente ricche di questo mondo, noteremo che nella maggior parte dei casi sono persone dotate di un grande spirito di iniziativa. La Torà nota che coloro che hanno avuto successo nel sacro lavoro di costruzione del Tabernacolo ce lo hanno avuto grazie al loro coraggio interiore che li ha spinti a presentarsi di fronte a Moshè e a proporsi di fare tutto ciò di cui c’era bisogno.

Siate consapevoli dei momenti della vita in cui avete sentito un forte desiderio di accrescimento spirituale. Lasciate che questi ricordi vi diano motivazione in futuro per avere ancora più iniziativa per accrescervi ancora di più. Abbiate il coraggio di accettare su di voi di fare cosa è necessario fare! Chi ha un forte impulso a realizzare qualcosa scoprirà in se molto talento e capacità nel realizzarla che altrimenti sarebbero rimasti dormienti dentro di lui!

Riadattamento del link: http://www.aish.com/tp/ss/ssw/48932527.html

… a proposito di purim: è permesso lavorare??

La meghillà descrive la festa di purim come un’occasione di “mishtè e simchà” (banchetto e gioia) (9:22). Non si parla di yom tov, un giorno in cui è proibito compiere melachot (lavori). In senso stretto quindi, non è vietato lavorare durante purim.

Nonostante ciò, l’uso diffuso in alcune comunità è quello di astenersi dal lavorare durante il giorno di purim, e l’alachà richiede quindi, che le persone facenti parte di queste comunità devono rispettare tale uso. Inoltre ci sono fonti da cui impariamo che dal lavoro svolto durante questo giorno non deriva berachà (benedizione), quindi in ogni caso, non è consigliabile lavorare di purim a meno che non se ne abbia necessità in modo da poter guadagnare soldi che coprano le spese della festa.

Tutta la discussione si riferisce solo a lavori fisici, come per esempio lavori che hanno a che fare con l’agricoltura etc. Tecnicamente parlando, è consentito svolgere lavori d’ufficio e simili nel giorno di purim. Chiaramente però, è preferibile non andare a lavorare in modo da poter trascorrere la giornata essendo coinvolti nelle tante mizvot ad esse collegata – mishloach manot, matanot laevionim, l’ascolto della lettura della meghillà e ovviamente il banchetto di festa. Se fosse possibile bisognerebbe cercare di programmare gli impegni di lavoro in modo da non dover lavorare durante purim così da poter dedicare la giornata ai festeggiamenti. Se si deve lavorare di purim, è possibile, a patto che si riescano a compiere in modo adeguato tutte le mizvot legate alla giornata. Va inoltre notato che è del tutto lecito avere dei non ebrei che svolgano lavori per ebrei nel giorno di purim. Così, gli imprenditori, possono sicuramente lasciare aperta la loro attività facendola gestire agli impiegati non ebrei.

E’ completamente consentito lavorare la sera di purim. La discussione riguardo al lavoro si riferisce solo al giorno, momento in cui si compiono le mizvot della festa.

E’ completamente permesso scrivere, fare fotografie, tagliarsi le unghie e i capelli.

Rav Chaim Falagi (Turchia, 1788 - 1869) scrive che lavori di costruzione non dovrebbero essere svolti nella propria casa durante purim. Questa è la conclusione di diverse autorità fra cui il Bet David e l’Erech haShulchan. Il Rav Ovadia Yosef shlita dice che c’è posto per facilitare riguardo alla questione se a causa del ritardo nei lavori ci sia una perdita monetaria, altrimenti non bisognerebbe costruire nella propria casa durante purim.

Riassumendo: se possibile, bisogna cercare di non lavorare durante il giorno di purim e passare la giornata essendo coinvolti nelle mizvot ad essa correlate. Se è necessario si può lavorare a patto da poter compiere in modo adeguato le mizvot particolari del giorno. Si possono avere lavoratori non ebrei che lavorano per un ebreo di purim ed è permesso lavorare durante la notte di purim. Si può scrivere, tagliarsi le unghie e i capelli. Non bisogna costruire nella propria casa di purim, a meno che la sospensione dei lavori non causi una perdita monetaria.

Riadattamento del link http://www.dailyhalacha.com/displayRead.asp?readID=1788

Shabbat shalom umevorach!!

Newsletter: Parashat Ki Tissà 5771

Dvar Torà
basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

La Torà afferma:

“Ho infuso saggezza nel cuore di ogni persona saggia così che essi siano in grado di realizzare tutto quello che ho ordinato” (Shemot 31:6)

Dal versetto sembra che essere saggi sia un prerequisito affinchè HaShem infonda ulteriore saggezza. Bisogna quindi capire, perché la Torà dice che avere il ‘cuore infuso di saggezza’ sia un prerequisito necessario affinché HaShem conceda ulteriore saggezza?

Rav Chaim Shmuelevitz, ex Rosh Yeshivà della Yeshivat Mir, insegna che da qui possiamo imparare che una persona ha bisogno di avere saggezza in modo da poter meritare di acquisire ulteriore saggezza. Sembra un gioco di parole, ma non lo è.

Cosa è la saggezza? E’ il desiderio sincero di essere più saggio!

Quando una persona ha amore per la saggezza HaShem gliene concede ancora di più!

Possiamo farci un’idea di cosa sia questo tipo di desiderio esaminando il personaggio di Amman harashà (Amman il malvagio). In quanto a potere era secondo solo al re Achashverosh che governava su 127 paesi. Nonostante ciò, quando Mordechai si è rifiutato di inchinarsi a lui, ha detto che tutto il suo onore non valeva nulla in quanto una sola persona (Mordechai) non gli concedeva a suo parere sufficiente onore. Allo stesso modo, una persona che ha un profondo amore per la saggezza e la sapienza, sente di non essere saggio e sapiente se gli manca qualsiasi tipo di sapienza. Quando si ha questo amore per la saggezza, HaShem concede ancora più saggezza.

Riadattamento del link http://www.aish.com/tp/ss/ssw/85952237.html

…a proposito dello shabbat: prestare

Lo Shulchan Aruch (Orach Chaim 307:11) riporta un’alachà interessante per quanto riguarda il prestito di oggetti durante shabbat. Dice, che se una persona vuole prestare un proprio oggetto a qualcuno, deve usare la parola “ashileni” e non quella di “alveni”. Entrambe le parole significano “prestami” ma, mentre “alveni” si riferisce ad un prestito a lungo termine, “ashileni” è generalmente usato per un prestito a breve termine. Non bisognerebbe fare prestiti a lungo termine (si parla della durata di un mese o più) durante shabbat, perché altrimenti le parti (chi presta e chi riceve) potrebbero essere spinte a scrivere una qualche sorta di nota come prova dell’avvenuto prestito e arrivare a violare lo shabbat. Quindi, lo Shulchan Aruch scrive che chi presta qualcosa durante shabbat deve assicurarsi di formulare la sua richiesta usando il termine “ashileni” e non quello di “alveni”.

Come bisogna comportarsi nel caso in cui una persona formuli la sua richiesta in una lingua diversa dall’ebraico in cui non esistono due termini diversi per indicare un prestito a breve e lungo termine?

Lo Shulchan Aruch scrive che chi si esprime in una lingua che non prevede una parola specifica per le due tipologie di prestito, quando ha bisogno di farsi prestare qualcosa durante shabbat dovrebbe dire “Per favore dammi questo oggetto”. La Mishnà Berurà (composta dal Rav Israele Meir Kagan di Radin, 1839-1933) specifica che bisogna dire “Per favore dammi questo oggetto e te lo restituirò”. Bisogna in ogni caso evitare la parola prestare.

E’ molto facile trovarsi in una situazione del genere durante shabbat. Se, per esempio, si vuole prendere in prestito il siddur del vicino (presupponendo che ci sia un eruv appropriato) bisogna fare attenzione di non chiedergli se ce lo può prestare ma se ce lo può dare per un certo periodo di tempo.

Bisogna fare attenzione inoltre che durante shabbat non si può chiedere di prendere in prestito qualcosa per dopo shabbat. E’ proibito parlare durante shabbat dei piani che si hanno per dopo shabbat e di conseguenza non si può chiedere di shabbat qualcosa in prestito per dopo shabbat

Riassumendo: se si prende qualcosa in prestito durante shabbat dovrebbe essere evitato l’uso della parola “prestito” nel formulare la richiesta, bisognerebbe invece chiedere di avere l’oggetto per un certo periodo di tempo.

Riadattamento del link: http://www.dailyhalacha.com/displayRead.asp?readID=2015

Shabbat Shalom

Newsletter: Parashat Terumà 5771

Dvar Torà

Basato su Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

La Torà afferma:

“L’Eterno parlò a Moshè dicendo:’Dì ai figli di Israele che prendano per me un’offerta’”

(Shemot 25: 1-2)

Quale lezione possiamo imparare dal fatto che la parashà di Terumà si trovi immediatamente dopo quella di Mishpatim?

Mishpatim insegna che una persona che possiede denaro deve seguire i dettami di giustizia e legge, commenta il Rav Yosef Dov Soloveitchik. Terumah tratta a proposito di donazioni e beneficenza. Prima che una persona dà del denaro in zedakà, deve fare molta attenzione che il suo denaro non sia stata ottenuto imbrogliando chiunque altro. Se una persona dà in zedakà del denaro rubando dagli altri, la sua zedakà non è considerata tale. Una mizvà eseguita per mezzo della violazione di un altro comandamento non è considerata una buona azione.

Quando si tratta di fare buone azioni, il fine non giustifica i mezzi. Sia i fini che i mezzi devono essere conformi ai dettami della Torà.

Riadattamento del link http://www.aish.com/tp/ss/ssw/114892954.html

… a proposito dello shabbat: bisogna asciugare completamente una tazza prima di riempirla con acqua calda direttamente da un contenitore?

Secondo l’opinione dei Rishonim (studiosi dell’alachà risalenti all’epoca medioevale) di shabbat è vietato versare dell’acqua calda dal suo recipiente originale direttamente su un cibo crudo o su un liquido. Per esempio, sarebbe vietato prendere un piatto di carne cruda, metterlo sotto a un recipiente di acqua calda e versare l’acqua dal recipiente direttamente sulla carne cruda. Secondo questa opinione, l’ “irui” – cioè il versare da un utensile il liquido riscaldato direttamente sul cibo – equivale a mettere il cibo direttamente nell’utensile per essere cucinato. Versare l’acqua calda da un kli rishon – l’utensile originale in cui è stata riscaldata – è considerato come cucinare il cibo o il liquido su cui viene versata, ed è quindi vietato di shabbat.

Pertanto, se una persona vuole prepararsi una bevanda calda durante shabbat, deve assicurarsi che il bicchiere o la tazza siano completamente asciutti prima di riempirli con l’acqua calda dal recipiente. Se si sciacqua la tazza prima di riempirla, rimarranno inevitabilmente alcune gocce sul fondo. Se si versa l’acqua calda senza asciugare prima la tazza, quelle gocce saranno “cucinate” dall’acqua calda del recipiente e si violerà quindi una norma dello shabbat. Ci si deve quindi assicurare che la tazza sia completamente asciutta prima di riempirla direttamente dal recipiente.

Tuttavia, se dopo aver finito la sua bevanda calda decide di prepararsene un’altra, non è necessario asciugare la tazza prima di riempirla di nuovo dal recipiente. Le gocce residue nella tazza del suo primo bicchiere, sono considerate come già “cucinate” e secondo l’opinione del Rambam è permesso di shabbat cucinare un liquido che è già stato cucinato precedentemente. Anche se generalmente non si segue questa opinione, può essere presa in considerazione se affiancata ad altri fattori. Per quanto riguarda la questione in discussione, ci sono alcune opinioni fra i Rishonim secondo cui versare dell’acqua calda non è considerata alachicamente come cucinare. E anche tra coloro che sostengono che versare dell’acqua calda sia considerato come cucinare, ci sono quelli che sostengono che ciò vale solo per quanto riguarda cibi solidi, ma non per i liquidi. Pertanto, se il liquido era stato precedentemente cotto, ci sono abbastanza basi per permettere di versare l’acqua calda direttamente dal recipiente. Va notato che ci stiamo riferendo solo al caso in cui ci siano gocce residue dalla prima bevanda nella tazza. D’altro canto, se c’è una quantità sostanziale di liquido residuo nella tazza, non è possibile aggiungere l’acqua calda direttamente dal recipiente.

Per lo stesso motivo è permesso usare di shabbat un contenitore di acqua calda con un misuratore sul lato che indica il livello dell’acqua all’interno del contenitore. Questo misuratore è riempito con l’acqua e quando si versa un po’ d’acqua dal contenitore, un po’ dell’acqua contenuta nel misuratore scende, e si mischia con l’acqua calda all’interno del contenitore stesso. Si potrebbe pensare che sia vietato usare un contenitore del genere di shabbat, poiché in questo modo l’acqua contenuta nel misuratore si riscalda quando entra in contatto con l’acqua contenuta nel contenitore stesso. In realtà un contenitore del genere può essere utilizzato, perché l’acqua contenuta nel misuratore è stata precedentemente riscaldata e si sta parlando di una piccola quantità d’acqua. Così come si può versare dell’acqua calda in una tazza in cui erano rimaste delle gocce residue precedentemente cucinate, allo stesso modo è permesso utilizzare un contenitore al cui lato ci sia un misuratore del livello dell’acqua, in quanto l’acqua che rimane all’interno del misuratore era comunque stata precedentemente cucinata.

Riassumendo: di shabbat prima di riempire una tazza con l’acqua calda direttamente dal contenitore, ci si deve assicurare che la tazza sia completamente asciutta, così che non ci siano delle gocce d’acqua sul fondo della tazza che possano essere cucinate dall’acqua calda del contenitore. Pertanto, se si sciacqua la tazza, prima di riempirla con l’acqua dal contenitore, bisogna asciugarla completamente. Tuttavia se aveva già bevuto una bevanda calda nello stesso bicchiere e vuole prepararne un’altra versando nuovamente dell’acqua calda dal contenitore, non è necessario assicurarsi che non ci siano gocce residue nel bicchiere. Poiché queste eventuali gocce sono già state cucinate, è possibile riempire il bicchiere con l’acqua calda anche se sono rimaste gocce residue.

Riadattamento del link http://www.dailyhalacha.com/displayRead.asp?readID=438

Shabbat shalom umevorach

Newsletter: Parashat Mishpatim 5771

Dvar Torah
Basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

Prima che Moshè salga sul Monte Sinai per ricevere le Tavole Della Legge, lui e settanta anziani stavano ai piedi del monte:

(Shemot 24:10) “Essi videro (una visione del) Signore di Israele: sotto i suoi piedi c’era (una cosa che) assomigliava a un selciato di mattoni di zaffiro ed era, quanto a purezza, simile al cielo stesso.”

Cosa possiamo imparare dalla loro visione?

Rashì spiega che il selciato di mattoni era in presenza dell’Onnipotente, durante il periodo in cui gli ebrei erano schiavi in Egitto, per ricordargli le loro sofferenze, in quanto, quando erano schiavi, erano obbligati a costruire con i mattoni.

Rabbi Yerucham Levovitz spiega che, quando la Torà ci parla degli Attributi Divini, lo scopo è quello di insegnarci come dovremmo imitare HaShem. Di conseguenza, possiamo imparare da qui che quando qualcun altro soffre, non è sufficiente per noi solo cercare di sentire la sua sofferenza in modo astratto, ma bisognerebbe cercare di alleviarla se possibile. Bisognerebbe inoltre compiere qualche azione concreta che ci ricordi chiaramente la sofferenza altrui senza dimenticarla e continuare come se nulla fosse nelle nostre vite.

Anche nei momenti di salvezza e gioia, è importante ricordare la sofferenza provata precedentemente. Questo aggiunge una dimensione completamente nuova alla gioia. Molte persone desiderano solo dimenticare la sofferenza quando questa è passata. L’atteggiamento più adatto è quello di ricordarsela e questo gli permetterà di apprezzare ancora di più il bene che HaShem gli manda.

Riadattamento del link: http://www.aish.com/tp/ss/ssw/114445614.html

…a proposito dello shabbat: è possibile spostare i candelabri dopo che le candele hanno finito di bruciare?

Se i candelabri di shabbat si trovano sul tavolo e si ha bisogno di fare posto per il pasto dello shabbat a pranzo, si possono togliere dal tavolo o sono da considerarsi mukze anche se la fiamma è già consumata?

Lo Shulchan Aruch (Orach Chaim 279:1) stabilisce esplicitamente che gli utensili che supportano le candele accese quando shabbat comincia, rimangono mukze per tutto lo shabbat.

In ogni caso, più avanti, nello stesso capitolo (279:4), lo Shulchan Aruch parla di una importante eccezione a questa halachà, basandosi sull’opinione del Ran (Rabbenu Nissim di Gerona, vissuto in Spagna nel 14° secolo) in massechet shabbat. Il Ran scrive che è possibile stabilire, prima di shabbat, che si ha l’intenzione di usare i candelabri una volta che la fiamma ha finito di bruciare, e questa condizione riesce a far diventare i candelabri permessi (ad essere spostati) una volta che la fiamma è bruciata. In effetti, è sufficiente dire questa specificazione una volta all’anno stabilendo che in tutti gli shabbatot dell’anno si intende usare i candelabri una volta che la fiamma è bruciata. Questa “clausola” annuale è sufficiente per permettere di muovere i candelabri dopo che la fiamma si è spenta.[In caso si voglia utilizzare questa opzione, è consigliabile decidere un periodo dell’anno in cui effettivamente esplicitare questa clausola, poiché è possibile dimenticarsene dopo un anno]

C’è comunque una significativa restrizione a questa halachà. Ossia non può essere applicata a candelabri di argento o di grande valore. Gli oggetti costosi hanno lo status halachico di “mukze mechamat chisaron kis” [oggetto che a causa del suo valore si evita di toccare affinché non si rovini], un oggetto con questo status non può essere spostato di shabbat indipendentemente da qualsiasi condizione stabilita prima. La condizione è valida solo per quanto riguarda lo stato di mukze che un oggetto riceve su di se per il fatto di supportare un fuoco quando shabbat comincia. Lo status di “mukze mechamat chisaron kis” non può essere evitato attraverso una condizione posta prima di shabbat e di conseguenza candelabri costosi non possono essere mossi sotto nessuna circostanza durante shabbat.

Riassumendo: è possibile spostare candelabri o portacandele di shabbat dopo che la fiamma si è spenta se si è posta la condizione prima di shabbat che si intende muoverli dopo che la fiamma si è spenta. È sufficiente porre questa condizione una volta all’anno per coprire tutti gli shabbatot dell’anno. In ogni caso, candelabri di argento o altri portacandele costosi non possono essere spostati anche se si era esplicitata la condizione in precedenza.

Riadattamento del link http://www.dailyhalacha.com/displayRead.asp?readID=746

Shabbat shalom umevorach!


Newsletter: Parashat Itrò 5771

Dvar Torà

Basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

E’ scritto nel libro di Shemot per quanto riguarda la preparazione del Popolo Ebraico a ricevere la Torà sul monte Sinai:

"E gli Israeliti si accamparono nei pressi della montagna." (Esodo 19:2)

La parola ebraica per dire "accampato" è "vaichan". La cosa particolarmente interessante è che il verbo "vaichan" è usato in forma singolare, in quanto la forma grammaticalmente corretta sarebbe "vaiachanù". Che cosa impariamo dall’uso del verbo "vaichan" in forma singolare?

Rashì, il grande commentatore, ci dice che la forma singolare è usata per dirci che si accamparono "come una persona singola con un solo cuore." Il rav Yerucham Levoviz ha commentato che da qui si vede che l'amore per il prossimo è un prerequisito per accettare la Torà.

Rabbi Izchak di Vorki ha notato che la parola "vaichan", oltre che a significare "accampato" deriva anche dal termine "chen", che significa "trovare grazia." Ossia, le persone hanno trovato grazia le une agli occhi degli altri e quindi, di conseguenza, hanno trovato grazia agli occhi dell'Onnipotente.

Quando si vedono solo i difetti e le carenze di un'altra persona, si diventa distanti da essa. Tuttavia, quando si vede il buono e il positivo che c’è negli altri, si diventa più vicini ad essi. Questa unità è un requisito fondamentale per l'accettazione della Torà.

Come si sviluppa questo tipo di unità? Troviamo nel libro Nachal Kidumim che l’unità tra persone è raggiungibile solo quando vi è umiltà. Quando il popolo ebraico è arrivato al monte Sinai, che è il simbolo dell’umiltà, ha interiorizzato questo attributo.

Quando si è persone umili, non si sente il bisogno di sovrastare gli altri o di sentirsi superiori concentrandosi sui loro difetti. Quando si è umili ci si può permettere di vedere il buono negli altri. La caratteristica di provare amore per gli altri, concentrandosi su quanto c’è di buono in loro, e quella di essere umili, vanno di pari passo. Sviluppando e raffinando queste caratteristiche ci si può elevare e arrivare ad essere degni di ricevere la Torà.

Riadattamento del link http://www.aish.com/tp/ss/ssw/48901857.html

Se si passa shabbat in un hotel in cui si usano chiavi elettroniche

Molti alberghi oggi dotano le camere degli ospiti di “serratura elettronica”, in modo tale che le porte si aprono con una carta speciale che viene inserita nella porta aprendola in modo elettronico. E’ chiaro che un ebreo non può aprire una porta in questo modo durante lo shabbat, e che la carta abbia lo status di mukze e non può essere trasportata durante shabbat. Per risolvere questo problema, molti hotel in Israele offrono ai loro ospiti una chiave convenzionale da utilizzare per aprire le loro porte durante Shabbat. Ma nel resto del mondo, questa soluzione è raramente disponibile. Che cosa dovrebbe fare una persona che passa shabbat in un hotel le cui camere possono essere aperte solo elettronicamente?

Il chacham Izchak Yosef, nella sua opera Sefer Hamaarachot (p. 186), scrive che un viaggiatore ebreo deve fare il possibile per evitare questa situazione, e accertarsi di non passare lo shabbat in un albergo in cui siano disponibili solo chiavi elettroniche. Se tuttavia nessun hotel del genere è disponibile nella zona, o se una persona arriva a destinazione poco prima di shabbat e non ha tempo di trovare un albergo diverso, allora dovrebbe mettersi d’accordo con il personale dell'hotel prima di shabbat affinché qualcuno dello staff che non sia ebreo apra la porta per lui.

In pratica, dovrebbe chiedergli prima di shabbat che quando lo vedono entrare o aspettare fuori dalla sua stanza, devono mandare qualcuno (non ebreo) che apra la porta per lui. Se tale accordo non è stato fatto prima di shabbat, il chacham Izchak scrive, allora si può facilitare e permettere all’ospite ebreo di chiedere direttamente a un non ebreo di aprire la sua porta. Il chacham Izchak osserva inoltre che questa situazione rientra nella categoria di “shvut deshvut bimkom zaar ", il che significa che è possibile chiedere a un non ebreo di eseguire un'azione proibita miderabbanan, in una situazione in cui altrimenti si subirebbe un notevole disagio. Su questa base, c'è spazio per permettere di chiedere a un gentile di aprire la porta con la serratura elettronica per un ebreo.

Chiaramente, però, questa opzione dovrebbe essere considerata come ultima risorsa, come detto, ogni sforzo deve essere fatto per evitare tale situazione.

Riassumendo: un viaggiatore dovrebbe fare ogni sforzo per non stare in un hotel di shabbat in cui le porte possono essere aperte solo elettronicamente. Se non si ha altra scelta, allora dovrebbe concordare con il personale dell'hotel prima di shabbat che un membro dello staff apra la porta per lui ogni volta che entra. Se questo accordo non è stato fatto, allora si può chiedere ad un membro del personale non ebreo durante lo shabbat di aprire la porta per lui.

Riadattamento del link:

http://www.dailyhalacha.com/displayRead.asp?readID=2046