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Newsletter: Parashat Ki Tezè 5771

La parashà di Ki Tezè… in brevissima!

Alcuni degli argomenti trattati in questa parashà sono: il rapimento di una donna, il figlio ribelle, la sepoltura, restituire un oggetto perduto, quando cade un animale, i travestimenti, il nido d’uccello, i parapetti, le piantagioni miste, combinazioni proibite, la moglie diffamata, la pena per l’adulterio, gli sposi promessi, lo stupro, una ragazza non sposata, il mamzer ~ figlio illegittimo, Ammon e Moav, Edomiti e Egiziani, il campo di battaglia, la schiavitù, la prostituzione, mantenere un voto, un lavoratore della vigna, un lavoratore del campo, divorziare e risposarsi, lo sposo, il rapimento, la lebbra, garanzie per i prestiti, pagare il salario in tempo, testimonianze di parenti stretti, la vedova e l’orfano, covoni dimenticati, la frutta che avanza nel campo, cognato senza figli, pesi e misure, ricordare quello che ci ha fatto Amalek.

Dvar Torà
basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

___La Torà afferma
 Non dovrai arare con un bue e un asino (aggiogati) assimee (Devarim 22:10)

__Cosa possiamo imparare da questo verso?
Il Daat Zekenim spiega una motivazione per questo comandamento. Visto che un bue, in quanto ruminante, rimastica il suo mangime e l’asino no, l’asino soffrirebbe d’invidia nel vedere che il bue ha cibo in bocca e lui no.
__Rabbi Chaim Shmuelevitz ha commentato: questa è una grande lezione su quanta sensibilità dobbiamo avere nei confronti degli altri per evitare di farli soffrire d’invidia. Se dobbiamo stare attenti a non urtare i sentimenti degli animali, ancora di più dobbiamo stare attenti a non urtare quelli degli esseri umani. Da notare il fatto che il bue non mangia in realtà di più dell’asino, ma l’asino lo pensa solo per errore.
Bisogna stare molto attenti a non vantarsi di quello che si ha o di quello che si è fatto se gli altri potrebbero esserne invidiosi. Non si deve elogiare qualcuno in presenza di una persona che potrebbe essere invidiosa di lui.

 

Le componenti fondamentali della teshuvà

Il Rambam (Rabbi Moshè Maimonide, Spagna-Egitto, 1135-1204), nella sua opera Hilchot Teshuvà (2:1), introduce il concetto di “teshuvà ghemurà” o “pentimento completo”. Spiega che una persona può raggiungere un “pentimento completo” quando si trova di fronte alla stessa identica situazione in cui ha peccato e, nonostante provi lo stesso desiderio di peccare, riesce a controllarsi e desistere. Ciononostante, se una persona si pente solo dopo aver raggiunto l’anzianità, dopo che i suoi desideri si sono affievoliti, il suo pentirsi è accettato anche se non viene considerato come “pentimento completo”. Infatti, il Rambam enfatizza che, perfino se una persona si pente negli ultimi attimi prima di morire, la sua teshuvà è accettata.

Nel passaggio successivo, il Rambam ci presenta la definizione essenziale della teshuvà e le componenti base che tale processo comporta. Scrive che si deve “abbandonare” il peccato attraverso l’eliminazione dalla mente di tutti i pensieri ad esso riferiti e decidendo fermamente di non ripetere mai più quell’atto. Inoltre, il peccatore, deve provare un sincero e genuino rimorso per aver compiuto quell’azione sbagliata, ed esprimere a parole questi sentimenti. Il Rambam aggiunge, “…e Colui che conosce i misteri testimonierà su di lui che non lo ripeterà mai più.” A prima vista, potrebbe sembrare che il Rambam dica che, una volta che colui che ha peccato fa teshuvà, e si rammarica sinceramente per la sua azione sbagliata, il Signore, che conosce gli eventi futuri, può stabilire che non tornerà mai più sulla sua strada peccaminosa. In ogni caso, il Kesef Mishnè (commento composto da Rabbi Yosef Caro, autore dello Shulchan Aruch) spiega in modo differente, affermando che colui che ha peccato debba, se così si può dire, chiamare HaShem come testimone del fatto che si è ripromesso di non ripetere mai più il suo peccato. Colui che si pente deve essere così risoluto nella sua decisione che deve poter essere ingrado di chiamare HaShem come testimone del fatto che non ripeterà mai più ciò in cui ha sbagliato.
 Nella terza alachà, il Rambam enfatizza l’importanza e l’indispensabilità di una confessione verbale dei propri peccati e della risoluzione interna a cambiare. Scrive che se una persona confessa verbalmente quello che ha commesso di sbagliato senza fermamente decidere in cuor suo di non commettere mai più il peccato, è paragonabile a una persona che si immerge in un mikve tenendo in mano il cadavere di uno sherez (roditore). Fin quando continuerà a tenerlo in mano, esso continuerà ad essere la causa e la fonte del suo stato di impurità rituale, non potrà mai quindi conseguire la purità rituale, non importa quante volte si immerga nel mikve. Allo stesso modo, non importa quante volte una persona faccia la confessione dei peccati e dichiari di aver agito in modo sbagliato, non potrà raggiungere la teshuvà senza aver prima deciso fermamente di voler cambiare. D’altro canto, non è sufficiente per colui che ha peccato, il ripromettersi di cambiare la sua condotta senza confessarsi a parole. Il Rambam cita a questo punto la supplica di Moshè nei confronti di HaShem, dopo che il popolo aveva commesso il peccato del vitello d’oro, in cui dichiara, “Per favore, questa nazione ha commesso un grave peccato – hanno fatto un idolo d’oro” (Shemot 32:31). Da questo verso impariamo che colui che ha peccato deve confessare verbalmente e specificare quale peccato ha commesso.

Riassumendo: il processo di teshuvà comprende una confessione verbale, sincero pentimento, e la piena fermezza nel non voler più commettere il peccato. Un peccatore raggiunge il più alto livello di teshuvà quando si trova esattamente nella stessa situazione in cui ha originariamente peccato, è ancora tentato a peccare ma si astiene dal farlo. In ogni caso, anche se una persona si pente in età anziana, quando non ha lo stesso impulso di commettere il peccato, il suo pentimento è valido e accettato da HaShem.


Shabbat shalom!
  

Newsletter: Parashat Shoftim 5771

 Alcune regole e usi per il mese di Elul

Durante il mese di Elul ci prepariamo per il periodo delle feste che comincia con Rosh HaShanà, continua con Yom Kippur e raggiunge il culmine con Oshanà Rabbà, quando viene decretato il giudizio finale. Era rosh chodesh Elul quando Moshè è salito sul Monte Sinai per implorare HaShem di perdonare i figli d’Israele per il grave peccato del vitello d’oro. Quaranta giorni più tardi, a Yom Kippur, HaShem ha annunciato il suo perdono. Di conseguenza, questi quaranta giorni sono da sempre considerati propizi per essere perdonati, in quanto HaShem è, se così si può dire, in una modalità propensa a perdonare. È conveniente quindi sfruttare questo periodo per fare quanto sia possibile per essere perdonati per quanto di sbagliato abbiamo fatto durante l’anno.
Sarebbe bene leggere opere di Mussar durante il mese di Elul. Uno fra i libri più raccomandabili è lo “Shaarè Teshuvà” di Rabbenu Yona (Spagna, 1180-1263) in cui viene descritto il processo della teshuvà. Altre opere adatte sono costituite dalla famosa lettera di Rabbenu Yona a proposito del pentimento conosciuta come “Igheret HaTeshuvà” e l’”Ilchot Teshuvà” del Rambam in cui vengono descritti vari requisiti per arrivare alla teshuvà.. Un’altra opera è l’Orchot Chaim, divisa in trenta sezioni di cui molti usano studiarne una al giorno durante il mese di Elul. Molti usano leggere i Tikkunè haZoar (testo base della Cabbalà). I cabbalisti sostengono che attraverso la lettura del testo si ha la possibilità di purificarsi l’anima perfino se non si capisce quello che si sta leggendo.
Bisogna essere molto diligenti durante il mese di Elul e leggere la “keriat shemà al hamità” (lettura dello shemà prima di coricarsi) prima di andare a dormire. Bisognerebbe includere la preghiera di “Annà” in cui si chiede il perdono di HaShem per qualsiasi cosa sbagliata si sia compiuta durante la giornata.
Una delle berachot dell’amidà è quella di “ashivenu”, in cui chiediamo ad HaShem di aiutarci a fare teshuvà. Durante il mese di Elul è bene inserire in questa preghiera il nome delle persone che si sono allontanate dall’osservanza delle mizvot prima di concludere con la berachà “baruch Attà HaShem harozè bitshuvà”
Molti hanno l’uso di far controllare tefillin e mezzo durante il mese di Elul. Secondo l’alachà stretta devono essere controllati solo due volte in sette anni, e tefillin che sono indossati ogni giorno non devono essere controllati affatto. In ogni caso C’è chi preferisce controllarli durante il mese di Elul.
Anche se bisogna assicurarsi di fare la bircha halevanà  (la berachà sulla luna) ogni mese, i Rabbanim ci avvertono di stare particolarmente attenti a farla nel mese di Elul.
In generale bisogna incrementare il proprio livello di osservanza durante il mese di Elul in preparazione delle feste in modo che per merito dei nostri sforzi possiamo meritare un anno di pace e felicità per noi stessi, le nostre famiglie e la nostra comunità, amen!

Shababt shalom!

Newsletter: Parashat Reè 5771


La Parashà di Reè… in brevissima!

La parashà di questa settimana è molto piena. Comincia proponendoci una scelta: “Ho posto dinnanzi a te la benedizione e la maledizione. La benedizione: se obbedirai ai comandamenti di HaShem…; la maledizione se non lo farai e seguirai altri divinità.”
Continua poi con le regole e le leggi da seguire nella terra d’Israele, prevalentemente orientate a stare lontani da forme di idolatria e altre religioni presenti nella terra.
Una delle indicazioni dell’esistenza e della necessità della Torà Orale – una spiegazione e chiarificazione (più tardi redatta sottoforma di Talmud) della Torà Scritta (i Cinque Libri di Moshè) – si può dedurre dal verso 12 capitolo 21 “Dovrai shachtare gli animali secondo il modo in cui Io (HaShem) ho prescritto.” In nessuna parte della Torà scritta abbiamo ricevuto istruzioni su come effettuare la shechità. Di conseguenza si può trarre la conclusione che ci siano stati ulteriori insegnamenti (Torà Orale/Talmud) in cui la Torà scritta è stata chiarificata ed è stato ampliato ciò di cui si era parlato in Essa.
La fonte del concetto di “popolo prescelto” la troviamo in questa parashà: “Tu sei una nazione consacrata ad HaShem tuo D-o). HaShem ti ha scelto fra tutte le nazioni sulla faccia della terra per essere la Sua nazione speciale … (Devarim 14:1-2).” Siamo stati prescelti per avere la responsabilità e il privilegio di agire moralmente ed essere come un “faro tra le nazioni”.
Inoltre in questa parashà ci sono state fornite le istruzioni per quanto riguarda cibi permessi e proibiti, la decima, l’annullamento dei debiti ogni sette anni, come comportarsi nei confronti dei bisognosi (di trattarli in modo caloroso e di aprirgli la nostra mano), lo schiavo ebreo, i tre pellegrinaggi di Pesach, Shavuot e Sukkot).

Dvar Torà

Basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

La Torà afferma:
 “Vedi, oggi io pongo davanti a voi una benedizione e una maledizione: la benedizione a condizione che diate ascolto ai precetti dell’Eterno , il vostro Signore, che io vi ordino oggi;” (Deut, 11:26-27)

La prima parola del verso “Guarda” è scritta al singolare, nonostante Moshè si stia rivolgendo all’intero popolo. Cosa possiamo imparare da ciò?
 L’Iben Ezrà risponde a questa domanda e commenta, “Egli (Moshè) sta parlando ad ogni persona singolarmente”. Moshè inizia il suo discorso al singolare per dire ad ognuno di stare a sentire le sue parole come se stesse parlando a lui singolarmente.
Quando si ascoltano le derashot dei Rabbanim, è facile pensare: “Sta parlando a qualcun altro. Non devo prendere quello che dice sul serio poiché le sue parole non sono dirette a me.” Questo è un errore. Il modo per crescere è cercare di percepire le parole dell’oratore come se fossero direttamente rivolte a te. Solo così potrai prenderle sul serio.
Riadattamento del link: http://www.aish.com/tp/

 

I quattro gravi peccati che rendono più difficile il percorso verso la teshuvà.


Nel quarto capitolo dell’opera Hilchot Teshuvà, il Rambam (Rabbì Moshè Maiomonide, Spagna – Egitto 1135-1204) elenca ventiquattro fattori che possono interferire con il processo di teshuvà rendendo difficile guadagnarsi il perdono da parte di HaShem. I primi quattro, scrive, sono costituiti da peccati particolarmente gravi, per conto dei quali HaShem ritira l’aiuto che dà normalmente a coloro che decidono di fare teshuvà.
1) "Machtì Et Ha'rabim" – chi causa agli altri di peccare. Questo include situazioni in cui per esempio si organizza un grande evento in cui viene servito cibo non kasher, o si disturba qualcuno dal compiere una mizvà.
2) Convincere qualcuno a lasciare il sentiero dell’osservanza della Torà.
3) Non riprendere un figlio che inizia chas veshalom a lasciare il percorso dell’osservanza della Torà. Se il genitore ha la possibilità di influenzare il figlio in modo da evitare che si allontani dal mettere in pratica le mizvot, e non lo fa, questo può causare che (al genitore) sarà più difficile fare teshuvà. Il Rambam aggiunge che questo include qualsiasi caso in cui una persona sia in posizione di influenzare positivamente gli altri e non lo fa
4) "Ha'omer Echeta Ve'ashuv" – chi compie una trasgressione avendo l’intenzione di fare teshuvà in seguito. Se una persona commette un peccato contando sul fatto che verrà perdonato grazie alla teshuvà che farà in seguito e attraverso l’osservanza completa del giorno di Yom Kippur, allora questo peccato può interferire con il suo processo di teshuvà.
C’è da sottolineare che il Rambam non preclude la possibilità di fare teshuvà da parte di coloro che commettono questo genere di peccati; perfino in tali circostanze resta la possibilità di fare teshuvà. Piuttosto, parla qui di uno speciale supporto e assistenza che HaShem garantisce a coloro che commettono peccati, nel momento in cui decidono seriamente di fare teshuvà. Nei casi di cui abbiamo parlato però, la persona non potrà usufruire di questo aiuto speciale e potrà quindi incontrare una difficoltà considerevole nel fare teshuvà e nell’accettazione da parte di HaShem della sua teshuvà.

Shabbat shalom!

Newsletter: Parashat Ekev 5771


Parashat Ekev…in brevissima!

Moshè continua il suo discorso garantendo al popolo ebraico prosperità e salute se compiranno le mizvot. Ci ricorda di guardare la nostra storia e sapere che possiamo e dobbiamo avere fiducia in HaShem. Dobbiamo inoltre fare attenzione a non farci distrarre dai nostri successi materiali e chaz veshalom dimenticarci e ignorare HaShem.
Moshè ci mette in guardia nei confronti dell’idolatria (la definizione di idolatria è credere che qualsiasi cosa all’infuori di HaShem abbia potere) e l’autocompiacimento (“Non dire che a causa delle mie virtù HaShem mi ha fatto occupare questa terra … ma a causa della malvagità di queste nazioni che HaShem le sta cacciando via da davanti a te.”) Dopo di ciò Moshè descrive le ribellioni del popolo nei confronti di HaShem nei quarant’anni nel deserto e il fatto che ci siano state date le seconde tavole (Moshè ha rotto le prime tavole su cui erano riportati i dieci comandamenti a causa del peccato del vitello d’oro.)
La Parashà di questa settimana sfata un diffuso luogo comune. La gente pensa che “L’uomo non vive di solo pane” significa che una persona ha bisogno di ulteriore cibo oltre al pane per poter sopravvivere. La citazione per intero dice, “L’uomo non vive di solo pane … ma di tutto ciò che esce dalla bocca dell’Eterno” (Deut. 8:3)
La Torà poi risponde a una domanda che ogni essere umano si è posto: cosa vuole HaShem da me? “Soltanto di temere l’Eterno, il tuo Signore, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima; di rispettare in precetti dell’Eterno e i Suoi decreti che io oggi ti comando per il tuo bene” (Deut. 10:12).

Dvar Torà
basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

La Torà introduce le ricompense per coloro che osservano i comandamenti con questo verso:
"Se voi rispetterete con attenzione tutti questi precetti che Io vi ordino di mettere in pratica, di amare l’Eterno, il vostro Signore procedendo in tutte le Sue vie, di attaccarvi a Lui...." (Deut. 11:22).
Cosa significa attaccarsi all’onnipotente? HaShem non ha corpo o materia a cui attaccarsi.
Rabbi Meir SImchà HaCohen commenta che in questo verso è racchiuso il comandamento di avere fiducia nei confronti di HaKadosh Baruch Hu. Attaccarsi, attaccarsi all’Onnipotente, significa credere in Lui come un figlio di un Re che conta su suo padre. Suo padre lo ama e,essendo un Re, ha la possibilità di soddisfare ogni suo desiderio. Questo è il nostro rapporto con HaShem. Egli è nostro Re e nostro Padre. Noi dobbiamo sicuramente impegnarci, ma capire che se abbiamo successo in ciò che facciamo è in fin dei conti un dono da HaShem.
Attaccarsi ad HaShem significa vivere con questa consapevolezza. Il beneficio immediato di una persona che interiorizza questo concetto sarà una sensazione di pace interiore e serenità

 

 

Lo shofar come una sveglia

Nel terzo capitolo delle Hilchot Teshuvà (alachà 4) il Rambam (Rabbi Moshè Maimonide, Spagna-Egitto, 1135-1204) parla a proposito del significato simbolico della mizvà dello shofar. Scrive che, nonostante suonare lo shofar sia una “ghezerat hacatuv”, un comandamento della Torà come ogni altro, che dobbiamo compiere a prescindere da qualsiasi motivo razionale o irrazionale che gli si possa attribuire, questo rituale riveste inoltre una funzione simbolica importante. Dobbiamo considerare il suono dello shofar come una sorta di “sveglia” per “risvegliarci” dal nostro sonno spirituale, dalle nostre preoccupazioni legate a cose vane di questo mondo. Le persone hanno la tendenza a concentrare le proprie menti sul raggiungimento dei piaceri materiali anziché sulla “Avodat HaShem” – servire HaShem. Il suono dello shofar è quindi pensato per “risvegliarci” da questa mentalità e ricordarci che la Torà e le mizvot hanno la priorità più alta.
Un Rav ha notato che il modo in cui lo shofar è tenuto rinforza questo simbolismo. Il baal tokea (colui che suona lo shofar) tiene lo shofar con l’estremità più larga verso l’alto e quella più stretta verso il basso. Il fatto di posizionarlo in questo modo simboleggia che dovremmo guardare verso “terra” (le nostre occupazioni mondane) con l’estremità più stretta, essendo questioni di importanza secondaria. Verso il cielo invece, bisogna esporre la parte più ampia, rappresentando la nostra priorità più importante e al centro dei nostri pensieri. Lo shofar ci offre la possibilità di tornare a mettere al centro della nostra attenzione la Torà e le mizvot e di ricollocare le nostre occupazioni fisiche e materiali al secondo posto.
In questo contesto il Rambam menziona la diffusa pratica in molte comunità ebraiche di aumentare la zedakà, le tefillot e il compimento delle mizvot durante il periodo che và da Rosh haShanà a Yom Kippur. In particolare ci si sveglia la mattina presto per recitare le selichot per implorare il perdono da parte di HaShem. Essendo questo il periodo in cui siamo giudicati per il prossimo anno, raddoppiamo i nostri sforzi nel compiere le mizvot e aggiungiamo tefillot speciali sperando di assicurarci un giudizio favorevole per un anno di successo pieno di berachot e salute.

Shabbat shalom