Newsletter: Parashat Vaishlach 5772

La parashà di Vaishlach… in brevissima!

Nel viaggio di ritorno a Canaan, Jaacov incontra suo fratello Esav; Jaacov lotta con l’angelo. Poi arrivano a Shechem, dove Shechem, il figlio di Chamor, violenta Dina, la figlia di Jaacov. I fratelli Shimon e Levi, uccidono gli uomini di Shechem. Rivkà muore. HaShem dà a Jaacov un altro nome: Israel e riconferma la berachà data ad Avraham secondo cui la terra di Canaan verrà data ai suoi discendenti. Rachel muore dopo aver partorito Beniamin. Sono elencati i 12 figli di Jaacov. Itzchak muore. Viene ricordata la genealogia di Esav.

Dvar Torà

Basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

La Toràh afferma:
 “E Esaù disse, ‘Ho molto’. E Giacobbe disse, ‘Ho tutto’.” (Bereshit 33:9,10,11)
Quale dei due fratelli è più ricco?
Il Chafetz Chaim commenta che con queste due osservazioni possiamo renderci conto della differente visione del mondo di Esav e Jaacov Avinu. Esav dice di avere molto. Anche se ha grandi quantità di beni, vorrebbe avere di più, per il principio secondo cui “chi ha cento vuole duecento”. Jaacov invece dice: “Ho tutto”. Non mi manca niente! Esav voleva ottenere sempre di più, mentre Jaacov era soddisfatto di quello che aveva.
Indipendentemente da quanto si ha, si vuole avere sempre di più. Avere la sensazione di non avere mai abbastanza, ti causerà una frustrazione costante. Se ti focalizzi su quello che ti manca, la tua vita sarà piena di frustrazione e ansia. La scelta è tua, tutto dipende da se vuoi essere veramente ricco o “povero” con molti averi!
Interiorizza l’atteggiamento di Jaacov: “Io ho tutto ciò che mi serve”. Nei Pirkè Avot (Le Massime dei Padri) ci viene insegnato, “Chi è ricco? Colui che è felice di quello che ha”. Se ti concentri su quello che hai sarai ricco effettivamente.
 Ovviamente hai il diritto di provare ad avere di più. Però, se non ci riesci, ti sentirai calmo e sereno. Se riesci ad avere di più, molto bene. Altrimenti è un segno che, per il tuo bene, non hai bisogno di qualcosa di più.

 

L’accensione delle candele di shabbat – l’uso di accendere due candele; accendere quando i genitori non sono in casa per shabbat

L’obbligo dell’Adlakat Nerot, l’accensione delle candele della vigilia dello shabbat, consiste nell’accendere almeno una candela, ma l’uso comune è quello di accenderne due. Il motivo più diffuso è perché le due candele corrispondono l’una al comandamento di “Zachor” e l’altra al comandamento di “Shamor” (“ricordare” e “osservare” lo shabbat).
Inoltre il Ben Ish Chai (Rav Yosef Chaim di Bagdad, 1833-1909) spiega che l’uso di accendere due candele è collegato a questioni di shalom bait (armonia famigliare), che è alla base della mitzvà dell’accensione delle candele. I Nostri Maestri spiegano che bisogna accendere le candele perché la presenza della luce in casa assicura la shalom bait (armonia famigliare), visto che il buio spesso può causare tensioni e liti chaz veshalom. I lumi devono essere accesi in casa prima dell’inizio dello shabbat, così che un “aurea di pace” e tranquillità pervada l’ambiente. Questo concetto è racchiuso nelle due candele che la donna accende. In ebraico candela si dice “ner”. Il valore numerico del termine corrisponde a 250, quindi, due candele hanno insieme il valore numerico di 500. Nel corpo di un uomo ci sono 248 “evarim” (membra e organi), e in quello della donna ce ne sono 252. Insieme arrivano a 500. Quindi l’accensione di due candele allude all’unità fra moglie e marito, che è espressa nel numero 500 e che costituisce il motivo fondamentale che è racchiuso dietro alla mitzvà dell’accensione delle candele dello shabbat.
Il momento dell’accensione delle candele è un “et ratzon” (momento propizio), in cui le preghiere della donna sono maggiormente accettate da HaShem. È bene quindi, che la donna quando accende le candele dedichi una preghiera per la shalom bait (l’armonia famigliare) e per altre questioni: affinché il marito abbia successo nello studio della Toràh, nel guadagnareil sostentamento per mantenere la famiglia, e per i figli, affinché seguano la strada della Toràh e delle mitzvot e anch’essi riescano nello studio della Toràh.
L’uso sefardita è che solo la madre accenda le candele di shabbat; le figlie non sposate no. Se la madre non è presente per shabbat, se per esempio ha partorito e si trova in ospedale, il marito accende al suo posto, recitando la solita berachà: “Leadlik Ner Shel Shabbat”. Se entrambi i genitori non sono presenti per shabbat e i figli rimangono a casa, e fra i figli c’è una figlia che ha superato letà del bat-mitzva, lei deve accendere le candele con la berachà. Il Chacham Ovadia Yosef stabilisce che una figlia che abbia superato l’età del bat-mitzvà ha la precedenza su di un figlio che ha superato l’età del bar-mitzva, perfino se il ragazzo è più grande della ragazza.
Se non ci sono figlie che abbiano superato l’età del bat-mitzvà, un figlio che abbia superato l’età del bar-mitzva deve accendere le candele con la berachà.
Ovviamente anche i genitori devono accendere le candele nel luogo in cui si trovano per shabbat. Ma se i figli restano a casa, un figlio o una figlia devono accendere le candele come riportato precedentemente.
Riassumendo: l’uso comune delle donne è quello di accendere due candele prima dell’entrata di shabbat. Questo momento è particolarmente propizio per pregare per shalom bait e per il benessere spirituale e materiale di tutta la famiglia. Se la madre non è in casa per shabbat, il marito accende al suo posto. Se entrambi i genitori non sono presenti, ma i figli restano in casa, allora le candele devono essere accese da una ragazza che abbia superato l’età del bat-mitzva. Se non ci sono ragazze di questa età, deve accendere un ragazzo che abbia superato l’età del bar-mitzva.

Shabbat shalom!
  

Newsletter: Parashat Vayetzè 5772

La parashà di Vayezè… in brevissima!

Questa settimana la parashà parla delle prove e delle tribolazioni che deve affrontare Jaacov vivendo e lavorando per suo suocero Labano. Jaacov lavora sette anni come pastore per poter sposare la figlia di Labano Rachel, che viene invece sostituita con Leah.
Labano cambia di volta in volta gli accordi che aveva preso con Jaacov. Dopo venti anni, HaShem dice a Jaacov di tornare nella terra di Canaan. Jaacov e il suo casato lasciano segretamente la casa di Labano, che li insegue. La storia finisce in modo pacifico e benedizioni fra Jaacov e Labano.

 

Dvar Torà
basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

La Toràh afferma:
"Egli (Jaacov) fece un sogno: ecco una scala era poggiata a terra mentre la sua cima giungeva al cielo...”   (Bereshit 28:12).
Cosa possiamo imparare da questo sogno?
Il Chafetz Chaim, Rabbi Israel Meir Kagan, cita l’idea espressa da molti commentatori: la scala che ha visto Jaacov nel sogno, simboleggia la situazione di ogni singola persona in questo mondo. Ci sono due principali categorie di azioni che si possono fare su una scala: salire dal basso verso l’alto, oppure scendere dall’alto verso il basso. Ogni essere umano incontra nuove difficoltà tutti i giorni della sua vita. Se ha la forza di volontà e autodisciplina di superare queste difficoltà, si alzerà di livello spirituale. Se, però, la persona non riesce ad avere il giusto autocontrollo, si abbassa. Questo è il nostro compito quotidiano, salire sempre più in alto ogni giorno.
Stare fermi non è possibile. Quando c’è una nuova sfida, ci si può comportare in modo dariuscire ad elevarsi e crescere grazie ad essa, oppure non superarla. Bisogna imparare ad apprezzare le sfide quotidiane ch si incontrano. Ogni difficoltà ci dà la possibilità di elevarci. Ogni volta che si supera un impulso negativo ci si eleva come persone. Quando si sale una scale, ci si può accorgere dei progressi che si compiono ogni singolo gradino. Allo stesso modo si può fare con le vittorie quotidiane sugli impulsi negativi. Rendendosi conto dei propri progressi, si avrà la motivazione per continuare a crescere.
Quando vedi una “scala”, ricordati della scala di Jaacov e chiediti: “Sto salendo spiritualmente o sto scendendo?” Se a volte la rispsota è che stai scendendo, non disperare. Piuttosto fatti forza e ricomincia a salie dal punto in cui ti trovi.

 

Le alachot del venerdì sera: apparecchiare la tavola, recitare “Shalom Alechem” e coprire il pane.

È bene ricoprire la tavola con una tovaglia per i pasti di shabbat, al fine di onorare questo sacro giorno. Il Chacham Ovadia Yosef scrive che la tovaglia non deve necessariamente essere bianca.
Il venerdì sera c’è l’uso di cantare “shalom alechem”, quando si torna dal Bet HaKenesset (Sinagoga). Con questo inno diamo il benvenuto agli angeli che ci scortano a casa quando siamo di ritorno dalla Sinagoga il venerdì sera. La Ghemarà, in massechet Shabbat (119) scrive che una persona è accompagnata da due angeli quando torna a casa dopo essere stato al Bet HaKenesset il venerdì sera – un angelo buono alla sua destra, e uno ostile alla sua sinistra. Se la casa è in ordine e propriamente preparata per lo shabbat, l’angelo positivo dichiara: “Sia Sua volontà (di HaShem) che possa essere allo stesso modo la prossima settimana”. L’angelo ostile è obbligato a rispondere: “Amen”. Se però, la casa è in disordine e non preparata per lo shabbat, l’angelo ostile proclama: “Sia Sua volontà che possa essere allo stesso modo la prossima settimana”, e l’angelo positivo è costretto a rispondere: “Amen”.
Dopo aver cantato “Shalom Alechem” si canta “Eshet Chail”.
Il pane sul tavolo deve essere coperto durante il kiddush. Generalmente, quando si mangia pane e vino, secondo l’aalchà bisogna prima recitare la berachà sul pane e poi quella sul vino. Di shabbat però, non si può mangiare prima di aver recitato il kiddush, si deve quindi recitare prima la berachà sul vino prima di recitarla sul pane. Per non “imbarazzare” il pane, a cui di solito viene data la precedenza, lo si copre mentre si recita il kiddush. Inoltre, il fatto di coprirlo, ricorda la manna, il cibo miracoloso che cadeva dal cielo per alimentare i Figli D’Israele quando erano nel deserto. La manna era coperta sia sotto che sopra. Quindi, bisogna assicurarsi che il pane sia coperto sia sopra che sotto. La tovaglia o il portapane possono andare bene per coprire il pane inferiormente.

Shabbat shalom!
  

Newsletter: Parashat Toledot 5772

La parashà di Toledot… in brevissima!

Rivkà (Rebecca) partorisce Esav (Esaù) e Jaacov (Giacobbe). Esav vende la sua primogenitura a Jaacov per un piatto di lenticchie. Izchak soggiorna a Gerar con Avimelech, re dei filistei. Esav sposa due donne Hittite, arrecando grande pena ai suoi genitori.
Jaacov, sotto consiglio di sua madre, fa finta di essere Esav per prendere la berachà (benedizione) della primogenitura, dal padre Izchak, ormai cieco. Esav, infuriato, programma di uccidere Jaacov, così Jaacov parte e va da suo zio Lavan (Labano) a Padan Aram (sotto consiglio dei genitori). I genitori gli consigliano inoltre di sposare la figlia di Lavan.
Esav capisce che le sue due mogli hittite arrecano dispiacere ai genitori, così prende in moglie una terza donna, Machalat, la figlia di Ishmael (Ismaele).

 

Dvar Torà

Basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

La Torà afferma:
"E Itzchak amava Esav, perché era un cacciatore con la sua bocca…" (Bereshit 25:28).
Questo significa che Esav (Esaù) riusciva ad ingannare suo padre facendogli credere che fosse un giusto.
Rav Eliahu Dessler, cita l’Arizal (un famoso cabalista) che dice che è un errore pensare che Esav fosse un ipocrita totale che cercava semplicemente di ingannare suo padre. Se Izchak (Isacco) ha commesso un errore deve esserci una buona ragione. Il problema era che Esav teneva la sua spiritualità “nella sua bocca”, senza assimilarla. Parlava di questioni spirituali, senza essere una persona spirituale.
Quindi, dice Rav Dessler, chiunque faccia discorsi etici e spirituali senza lasciare che questi gli penetrino il cuore e l’anima, è un collega di Esav il malvagio.
 Una persona realmente elevata è una persona i cui pensieri e discorsi sono integrati col suo modo di comportarsi: gli ideali della Torà di cui spesso parliamo, devono essere un tutt’uno con la nostra essenza. Molte persone sono distanti dal percepire realmente quanto siano lontane da quello di cui parlano. Una persona può dire di amare gli altri profondamente, un’altra può dire di provare sentimenti del genere, ma nella pratica è ben lontana dal dimostrarlo. Non è sufficiente ripetere a pappagallo alcuni concetti. Quando impari una nuova idea, cerca di ripetertela, fintanto che, piano piano, riesca a penetrare la tua anima e le tue parole diventino effettivamente parte di te.

 

Il divieto di scrivere durante shabbat

Una delle trentanove categorie di attività vietate durante shabbat è quella di “cotev”, scrivere. Una persona che scrive due lettere in modo tale che la scrittura sia permanente, senza scomparire,  trasgredisce la proibizione di scrivere durante shabbat.
Lo Shulchan Aruch (Orach Chaim 340:4) cita alcune situazioni in cui scrivere è proibito miderabbanan, ossia secondo istituzione rabbinica. Nonostante questo genere di scrittura non sia proibito esplicitamente nella Torà scritta, lo è secondo quanto stabilito da Chazal (i Saggi del Talmud). Uno di questi casi può essere per esempio scrivere con le dita in un liquido che si è versato su di un ripiano, o nella cenere.
La Mishnà Berurà (commento del Rav Israel Meir Kagan di Radin, 1839-1933) descrive un’altra situazione in cui scrivere è vietato miderabbanan: scrivera sulla condensa che si forma su vetri e finestre. I bambini spesso si divertono a scrivere il proprio nome o altre cose sulle finestre su cui si è formata una condensa, cosa che accade frequentemente durante l’inverno. Questo tipo di scrittura non è vietato direttamente dalla Torà ma è comunque vietato miderabbanan.
Il Ramà (Rabbì Moshè Iserless di Cracovia, 1525-1572) stabilisce che è possibile formare la sagoma delle lettere nell’aria con il movimento delle dita. Per esempio, se una persona vuoledescrivere la forma di una lettera a qualcuno, può farlo disegnandola in aria. Considerando che attraverso il movimento in aria non si forma nulla, ciò non è vietato, perfino miderabbanan.
Riassumendo: è vietato scrivere di shabbat, perfino in un liquido che si è versato su di un ripiano, o nella cenere. Allo stesso modo non si può scrivere sulla condensa di vetri e finestre. È possibile però formare la forma delle lettere in aria.

Shabbat shalom!
  

Newsletter: Parashat Chaiè Sarà 5772

La parashà di Chaiè Sarà… in brevissima!

Sara muore all’età di 127 anni. Avraham acquista un luogo dove seppellirla a Chevron, nella grotta di Machpelà. Avraham manda il suo servo Eliezer a Charan, suo luogo di nascita, per trovare una moglie per suo figlio Izchak. Eliezer pone quella che sembra essere una condizione molto strana per trovare la candidata adatta per Izchak. Rivkà soddisfa la condizione. Eliezer riesce a ricevere l’approvazione della famiglia di lei per portarla con se, anche se non erano molto compiaciuti dell’idea che Rivkà lasciasse la sua casa.
Avraham muore all’età di 175 anni. Itzchak e Ishmaele lo seppelliscono accanto a sua moglie Sara nella grotta di Machpelà. La Parashà termina con la lista dei 12 figli di Ishmael e la morte di Ishmael all’età di 137 anni.

 

Dvar Torà
basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

Efron il Chittita acconsente a vendere ad Avraham la grotta di Machpelà a Chevron, come luogo di sepoltura per sua moglie Sarah, dopo varie trattative sulla vendita. La Toràh poi riporta “E Avraham diede ascolto a Efron … e pesò per Efron quattrocento shekel” (Bereshit 23:16).
Efron parla come se fosse una persona generosa. Parla ad Avraham con grandissimo rispetto. Apparentemente offre la grotta gratuitamente. Dice tuttavia di sfuggita “I quattrocento shekel che si dovrebbero generalmente pagare per questo sono nulla fra amici. La tua amicizia è più preziosa dei soldi. Prendila senza pagare.”
Avraham coglie l’accenno. Era perspicace e si rende conto che Efron non voleva effettivamente dargli la grotta senza farlo pagare. Potrebbe sembrare a uno spettatore ingenuo cheEfron abbia menzionato la somma di sfuggita, singole parole senza significato. Però, Avraham “diede ascolto”, e con il suo intuito molto ben sviluppato capisce la vera intenzione di Efron. Si comporta dunque di conseguenza alla vera intenzione di Efron e non secondo le sue parole apparenti.
L’abilità di distinguere fra ciò che una persona dice e quello che effettivamente intende è una qualità che bisogna sviluppare. È essenziale per crescere in molti ambiti spirituali.
Per esempio, qualcuno fa un commento che sminuisce qualcosa che ha appena fatto. La persona apprezzerà sicuramente una parola gentile. Potrebbe essere insicura del valore e della qualità di quello che ha fatto e volere quindi una rassicurazione. Questo incoraggiamento potrebbe essere essenziale per motivarlo a raggiungere ulteriori traguardi.
Un altro esempio: quando si chiede a qualcuno se ha bisogno di aiuto. Risponde: “No, posso farlo da solo. Non è così difficile.” Prendendo le parole alla lettera potresti semplicemente andartene. Però, se sei perspicace, riuscirai a capire che quella persona ha effettivamente bisogno del tuo aiuto. Forse è troppo timida o imbarazzata per chiedertelo. Bisogna imparare ad essere perspicaci per capire quando il tuo aiuto è necessario e anche molto benaccetto.
Ottenendo questa sensibilità e perspicacia, sari in grado di ottenere straordinari risultati nella mizvà di “amare il prossimo”.
  

Newsletter: Parashat Vayerà 5772

La parashà di Vayerà… in brevissima!

Avraham, nel terzo giorno dopo aver fatto la milà, siede fuori dalla sua tenda in cerca di ospiti. Mentre stava parlando con l’Onnipotente, vede tre visitatori (tre angeli). Avraham interrompe la sua conversazione con HaShem per invitarli a mangiare. Un angelo lo informa che entro un anno, Sarah, sua moglie, partorirà un figlio, Izchak.
HaShem dice ad Avraham che distruggerà Sodoma a causa della sua malvagità. Avraham discute con HaShem per salvarla, a patto che vengano trovati dieci giusti in città, ma non ci sono neppure dieci giusti. Lot, nipote di Avraham, si salva dalla distruzione con le sue due figlie.
Altri avvenimenti: Avimelech, re dei filistei, vuole sposarsi con Sarah; nasce Izchak; la cacciata di Agar e di Ishmael. Avraham e Avimelech stabiliscono un accordo a Beer Sheva. HaShem comanda ad Avraham di prendere suo figlio Izchak e di offrirlo “su uno dei monti”. Infine, l’annuncio della nascita di Rivkà, la futura moglie di Izchak.

 

Dvar Torà basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

La Torà afferma:
"E (Avraham) alzò i suoi occhi e vide. E ecco tre uomini stavano in piedi presso di lui. Quando (li) vide corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò a terra." (Bereshit 18:2).
A partire dal verso due fino al verso 8, la Torà ci descrive i dettagli di ogni specifica azione di Avraham nei confronti dei suoi ospiti – “alza gli occhi,” “vede,” “corre per andarli a salutare.” Perché la Torà impiega 7 versi per descriverci i dettagli degli atti di bontà di Avraham?
Rabbi Yerucham Levovitz commenta il fatto con un’analogia. Quando una persona eredita una casa, di solito dirà semplicemente, “Ho una casa”. Non comincerà a elencare tutti i dettagli, l’ha ricevuta tutta insieme! Però, una persona che si costruisce da sola la propria casa parlerà di ogni dettaglio dall’inizio alla fine. Descriverà come ha fatto ad ottenere il terreno, come ha comprato i materiali necessari, etc. Ogni aspetto le è molto chiaro. Maggiore è lo sforzo che compie nel costruire la casa, e più ne parlerà.
Allo stesso modo, dice Rav Yerucham, le azioni e i comportamenti dei giusti sono come una costruzione. Attraverso ogni azione, una persona integra, sta costruendo un grande edificio. Per questa ragione, la Toràh ci racconta ogni dettaglio degli atti di bontà di Avraham. Ogni movimento costituisce una nuova fase nel progetto di costruzione della personalità del giusto.
Quando vedi la formazione di te stesso come la creazione di un grande edificio, ogni dettaglio di quello che fai ricopre un significato importante. Ogni azione positiva che fai contribuisce alla creazione di un grande essere umano. Tienilo a mente quando fai un gesto di bontà nei confronti degli altri. Ogni singolo movimento che fai è una parte necessaria per la costruzione dell’edificio. Non aspettare di arrivare alla fine per apprezzare quello che stai facendo. Piuttosto, cerca di percepire la gioia della crescita perfino nel più piccolo atto di bontà che compi.

 

La definizione di yain mevushal e lo status del vino pastorizzato

Il Ben Ish Chai (Rav Yosef Chaim di Bagdad, 1833 – 1909), nella parashà di Balak, parla del concetto di “yain mevushal” – vino che è stato bollito. Anche se l’alachà proibisce di usare vino che è stato toccato da un non ebreo, questo divieto non si applica allo yain mevushal. Il vino, dopo essere stato bollito, non può più diventare proibito attraverso il contatto con un non ebreo.
Da quale momento in poi il vino è considerato “bollito” raggiungendo quindi lo status di yain mevushal?
Il Ben Ish Chai scrive che il vino è considerato mevushal dopo essere arrivato alla bollitura e un po’ di vino evapora. Dopo che inizia l’evaporazione, il vino ha lo status di yain mevushal e non diventa proibito se viene a contatto con un non ebreo. Il Chacham Ovadia Yosef, nella sua opera Alichot Olam (Balak, 6), chiarifica che il vino deve bollire a una temperatura pari a80 gradi centigradi.
Di conseguenza, il Chacham Ovadia aggiunge, il vino che ha subito il processo di pastorizzazione è, strettamente parlando, considerato yain mevushal e non può più diventare proibito venendo a contatto con un non ebreo. Altre autorità, fra cui Rav Yosef Shalom Eliashiv (contemporaneo) e Rav Shlomo Zalman Auerbach (Gerusalemme, 1910 – 1995), sono in disaccordo con questa posizione, e sostengono che il processo di pastorizzazione non rende il vino mevushal. Il Chacham Ovadia quindi conclude che bisognerebbe assicurarsi che il vino pastorizzato non entri in contatto con un non ebreo se non è stato bollito oltre che pastorizzato. Se però un non ebreo tocca un vino pastorizzato, questo è permesso “bediavad” (a posteriori). Il Chacham Ovadia fa riferimento in questo contesto alla regola generale secondo cui “haTorà chasa al mamonam shel Israel”, che significa che la Torà è sensibile alle questioni finanziare delle persone, e non vuole causare perdite monetarie non necessarie. Quindi, visto che l’alachà, strettamente parlando, considera il vino pastorizzato “mevushal”, è possibile permettere vino pastorizzato che è entrato a contatto con un gentile, anche se idealmente questa situazione andrebbe evitata.
Il Ben Ish Chai nota che la bollitura del vino può solo prevenire il fatto che il vino diventi proibito; ma non può rigirare lo status di un vino proibito. Ossia, se un vino non mevushal viene a contatto con un gentile e quindi diventa proibito, resta proibito anche dopo essere stato bollito. La bollitura ha solo l’effetto di evitare che diventi proibito se un gentile lo tocca.
Inoltre, se un vino mevushal è mischiato con un normale vino non mevushal, e un non ebreo tocca la mistura, diventa proibito. Anche se il vino mevushal costituisce la maggior parte della mistura, essa diventa proibita, perfino se c’è solo una goccia di vino non mevushal.
Riassumendo: il vino che è stato bollito non diventa vietato se toccato da un non ebreo. Alcune autorità sostengono che il vino pastorizzato ricade in questa categoria, ma è preferibile non appoggiarsi su questa opinione, e assicurarsi che il vino pastorizzato non venga in contatto con un non ebreo. D’altro canto, se un non ebreo tocca del vino pastorizzato, può essere usato. Se del vino bollito è mischiato perfino con una piccola parte di vino normale, e un non ebreo, tocca la mistura, è proibito.

Shabbat shalom!
  

Newsletter: Parashat Lech Lechà 5772

La parashà di Lech Lechà… in brevissima!

L’Onnipotente comanda ad Avram (successivamente rinominato Avraham) di lasciare Charan e andare nel “posto che ti mostrerò” (Ossia la terra di Canaan – successivamente rinominata terra d’Israel). L’Onnipotente poi dà ad Avraham un messaggio eterno per il popolo ebraico e per le nazioni del mondo, “Benedirò coloro che ti benedicono e maledirò coloro che ti maledicono.” A causa della carestia, Avram va in Egitto e chiede a Sarai (successivamente rinominata Sarah), di dire che è sua sorella così che non lo uccideranno per sposarla (gli egiziani erano famosi per non commettere adulterio… semplicemente uccidevano il marito per stare con la moglie).
Il faraone caccia Avram dall’Egitto dopo aver tentato di prendersi Sarai come moglie. Si stabiliscono a Chevron e il nipote Lot si stabilisce a Sdom. Avram salva Lot – che era stato preso prigioniero – nella battaglia dei quattro re contro i cinque re.
Stabilisce un patto con HaShem (ogni patto con HaShem è eterno, inabrogabile o sostituibile da un nuovo patto), in cui HaShem dice ad Avram che i suoi discendenti saranno schiavi in Egitto per 400 anni (partendo da Isacco) e che ai suoi discendenti verrà data la terra che va “dal fiume dell’Egitto fino al grande fiume, il fiume Eufrate.”
Sarai, sterile, dà la sua serva Hagar ad Avram come moglie, così che possa avere figli. Ishmael nasce. Gli viene fatta la milà, HaShem cambia i loro nomi in Avraham e Saràh e gli dice che Saràh partorirà Izchak. Avraham circoncide tutti i membri maschi della sua casa.

Dvar Torà
basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

La Torà afferma:
"E l’Onnipotente disse ad Avram ‘Vai via dalla tua terra e dal tuo luogo di nascita e dalla casa di tuo padre alla terra che ti mostrerò' " (Bereshit 12:1).
Rabbi Nachum di Chernobil ha dedicato moltissimo tempo e moltissimi sforzi a liberare gli ebrei che erano incarcerati da regimi antisemiti. Viaggiava di posto in posto cercando fondi per pagare la somma necessaria per liberare gli imprigionati. Una volta, quando era a Zhitomer, alcune persone hanno creato un complotto contro di lui ed egli stesso è stato messo in carcere.
Un amico è venuto a trovarlo in prigione per dargli un po’ di conforto e una prospettiva positiva sulla situazione. Ha detto a Rabbì Nachum: “Il nostro patriarca Avraham era eccezionale per i suoi atti di bontà nei confronti dei viandanti. Li ospitava e faceva il massimo per farli stare a proprio agio. Era sempre alla ricerca di cosa avrebbe potuto fare in più per aiutare i suoi ospiti. L’Onnipotente gli ha comandato di lasciare la sua casa paterna, il suo luogo di nascita, e la sua terra. Solo ora, dopo aver personalmente passato cosa significhi essere uno straniero in terra straniera saprà in prima persona che vuol dire. Questo gli darà una prospettiva migliore per sapere cosa può fare per aiutare i suoi ospiti.”
“Per te vale lo stesso” continua l’amico. “Tu ti sei dedicato con grandissimi sforzi a liberare i prigionieri. Ti stanno dando dal Cielo la possibilità di provare cosa significhi essere imprigionato dai nemici del nostro popolo. Questo ti farà capire ancora meglio quanto sia necessario fare tutto il possibile per liberare le persone con ogni possibile sforzo.”

Vendere o regalare vino posseduto da un non ebreo; lo stato di un vino toccato ma non mosso da un non ebreo


Il Ben Ish Chai (Rav Yosef Chaim di Bagdad, 1833-1909), nella parashà di Balak (4), discute i parametri della proibizione di “stam yenam” – vino che appartiene a un non ebreo e vino che è stato toccato da un gentile. Scrive, che secondo l’uso dei sefarditi che seguono lo “Shulchan Aruch”, qualsiasi vino che è in possesso, o che è stato toccato da un non ebreo idolatra, è proibito sia berlo che averne qualsiasi tipo di beneficio. Non si può vendere o regalare. Va da sé che è vietato avere un’ attività che venda questo genere di vino. Se capita di avere in casa vino che è stato toccato o posseduto da un non ebreo, bisogna versarne il contenuto nello scarico. Il Ben Ish Chai enfatizza che questo si applica perfino ai nostri giorni, e non bisogna essere indulgenti rispetto a questa proibizione
Questa alachà è molto rilevante per coloro che ricevono regali da impiegati o datori di lavoro non ebrei, nel periodo delle loro feste, visto che spesso si regala vino. È vietato regalarlo di nuovo come dono a un’altra persona non ebrea. Bisogna gettarlo via e non ricavarne alcun beneficio.
Il Ben Ish Chai affronta il punto se ci sia spazio per essere indulgenti nel caso in cui un gentile deve dei soldi ad un Ebreo, e l'unico modo in cui l'Ebreo può ricevere il denaro dovuto è attraverso una bottiglia di vino. Lo Shulchan Aruch proibisce di ricevere vino da un non ebreo come pagamento di un debito, e questa è anche la posizione della Keneset HaGhedolà (Rav Chaim Banbenishti di Izmir, Turchia, 1603 – 1673). In ogni caso, il Ben Ish Chai nota che il Rashba (Rabbi shelomò Ben Aderet di Barcellona, 1235 – 1310) stabilisce l’alachà in modo più facilitante rispetto alla questionr. Conclude quindi che è possibile accettare una bottiglia di vino da un gentile al posto del pagamento per un prestito, se altrimenti non sarà più possibile recuperare la somma dovuta.
Successivamente (nell’alachà 10), il Ben Ish Chai scrive che il contatto di un gentile con il vino fa si che il vino sia proibito per un ebreo, sia che lo abbia toccato con la mano che col piede. Il vino diventa inoltre proibito se il gentile muove indirettamente, ma intenzionalmente la bottiglia, per esempio con un oggetto che aveva in mano, o se beve dalla bottiglia o se semplicemente solleva la bottiglia così da far muovere il vino, anche leggermente. Comunque, se il non ebreo ha toccato la bottiglia, senza muoverla affatto, allora, anche se non si può più bere, se ne possono trarre altri tipi di beneficio.
Riassumendo: non si può derivare nessun tipo di beneficio da un vino appartenente a un non ebreo idolatra, o che è stato toccato da un non ebreo idolatra. Non si può vendere o regalare come dono a un socio non ebreo; deve essere versato nello scarico. Il vino diventa proibito se un gentile lo muove – perfino indirettamente – in modo che il vino sia urtato anche leggermente. Se il gentile tocca una bottiglia di vino senza muoverla, questo vino non si può bere ma se ne possono trarre altre forme di beneficio.

Shabbat shalom!

Newsletter: Parashat Noach 5772

La parashà di Noach… in brevissima!

La storia di un uomo giusto in una generazione malvagia. L’Onnipotente comanda a Noach (Noè) di costruirsi un’arca su una collina lontano dall’acqua. La costruisce per un periodo di oltre 120 anni. Le persone deridono Noach e gli chiedono: “Perché costruisci una barca su una collina?”. Noach gli spiega che ci sarà un diluvio se le persone non cambieranno il loro modo di comportarsi. Da questo episodio vediamo la pazienza dell’Onnipotente di aspettare che le persone cambino il proprio comportamento e l’ottima idea di risvegliare la curiosità della gente in modo da fargli porre domande e, si spera, ascoltare la risposta.
La generazione non fa teshuvà, e il Signore fa cadere un diluvio per quaranta giorni. Noach e la sua famiglia lasciano l’arca 365 giorni dopo quando la terra è di nuovo abitabile. HaShem stabilisce un patto e mette l’arcobaleno come segno del patto secondo cui non distruggerà mai più la vita attraverso l’acqua. Quando si vede l’arcobaleno è un’incitazione a fare teshuvà – a riconoscere gli errori che stai compiendo nella tua vita, correggerli, e chiedere scusa a tutti coloro nei confronti di cui ti sei comportato male, oltre che ad HaShem.
Noè pianta una vigna, si ubriaca e poi avviene il misterioso incidente nella tenda in cui Noè maledice suo nipote Canaan. La parashà si conclude con la storia della torre di Babele e poi con la genealogia che va dal figlio di Noè, Shem, fino ad Avraham.

Dvar Torà
basato su “Love Your Neighbor” di Rav Zelig Pliskin

La Torà afferma:
 “Allora il Signore disse a Noè: ‘è giunta fino a Me la fine di tutti gli uomini perché la terra si è colmata di violenza (chamas) a causa loro” (Bereshit 6:13).
Rabbi Yochannan dice, “Vieni, e guarda il potere della corruzione. La generazione del diluvio trasgrediva tutto, ma il decreto finale contro di loro non è stato stabilito fino a che non si sono resi colpevoli di rubare” (Talmud Bavli, Sanhedrin 108a).
Il Midrash definisce il termine chamas, che troviamo in questo verso, come rubare meno del valore di una perutà, un valore così insignificante dal punto di vista economico, che un tribunale non costringe un ladro che ha rubato solo quella cifra a restituirla. Nella generazione di Noach (Noè), quando una persona portava un sacco pieno di fagioli per venderli, qualcuno arrivava e rubava meno del valore di una perutà, poi un’altra persona faceva lo stesso, e poi un’altra ancora, alla fine alla vittima non rimaneva neppure un fagiolo e non poteva neppure accusare nessuno in tribunale (Bereshit Rabbàh 30). Questo era fatto pubblicamente e condonato.
La nostra lezione: quando vai dal fruttivendolo non mangiare l’uva senza permesso!

 

Stam Yenam – la severità della proibizione di bere vino dei non ebrei

Il Ben Ish Chai (Rav Yosef Chaim di Bagdad, 1833-1909), nella parashà di Balak (1), parla delle regole che riguardano la proibizione di bere “stam yenam” – vino dei non ebrei. Per enfatizzare la severità di questa proibizione, il Ben Ish Chai fa riferimento a un episodio riportato nel libro “Aiumà Kanidgalot” (p. 24) che dimostra la gravità di questa violazione e le sue possibili ripercussioni.
La storia riguarda undici prominenti rabbini che il re convoca nel suo palazzo. Il re descrive il grande rispetto e ammirazione che sente nei loro confronti, ed esprime il desiderio che i rabbini gli dimostrino reciprocamente le stesse cose. A quel punto il re gli chiede di fare una di tre cose: mangiare maiale, bere il suo vino, avere rapporti con una donna non ebrea. I rabbanim chiedono di avere tre giorni a disposizione per valutare le opzioni e arrivare a una decisione.
Tre giorni dopo, ritornano al palazzo informando il re di essere pronti a bere il suo vino. Hanno stabilito che, visto che mangiare maiale e avere relazioni con donne non ebree costituisce un divieto direttamente dalla Torà, mentre la proibizione di bere “stam yenam” è stata indetta dai Saggi e può quindi essere trattata con meno rigorosità. Fra le tre opzioni, hanno concluso, quella relativamente meno grave è quella di bere vino di un non ebreo.
Il re era felicissimo, e fa immediatamente sedere gli ospiti alla tavola rotonda girevole nella sala da pranzo reale. Ai rabbini viene servita carne kasher mentre gli altri commensali mangiano maiale. Il re ordina ai suoi servi di portare il miglior vino doc dalla cantina di corte, e irabbini lo bevono. Il vino era molto forte, così diventano leggermente brilli. Senza che lo realizzassero, il re fa girare la tavola, e così i rabbini mangiano il maiale che era nei piatti delle persone che gli sedevano accanto.
Dopo il pasto, il re dice ai rabbini, “Sarete sicuramente stanchi; abbiamo delle suite speciali qui nel palazzo, in cui potete dormire, e abbiamo portato le vostre mogli qui in modo che potrete stare con esse.”
I rabbini accettano di dormire nel palazzo, ma, nello stato intossicato in cui si trovavano gli hanno portato prostitute – non le loro mogli – nelle stanze. Hanno quindi passato la notte con queste donne non ebree.
Al mattino, hanno realizzato chi gli era stato portato nelle stanze, e il re gli mostra che la loro carne kasher della sera prima non era stata toccata, indicandogli che hanno mangiato maiale.
Loro hanno pensato che accettando di bere il vino del re avrebbero commesso il peccato meno grave fra i tre, ma come risultato della cosa, bevendo quel vino hanno infine commesso tutti e tre i peccati. Gli undici rabbini hanno accettato su di se misure di pentimento, ma sono tutti morti di una morte innaturale entro l’anno.
Questo dimostra che, anche se la proibizione di “stam yenam” è stata istituita dai Saggi, e non è una legge direttamente dalla Torà, è molto severa. Chi viola una norma di istituzione rabbinica, si espone potenzialmente alla trasgressione di molte norme della Torà. Infatti lo Zohar, commenta che chi trasgredisce la proibizione di “stam yenam” perde la sua parte nel mondo a venire, (pur essendo possibile fare teshuvà). Dobbiamo quindi essere estremamente attenti rispetto al tipo di vino che beviamo, e assicurarci che incontri tutte le qualificazioni alachiche per essere considerato kasher, così da non trasgredire questa grave proibizione.

Shabbat shalom!