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Newsletter: Parashat Haazinu 5771

Dvar Torà

Basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

La Torà afferma:
           "(Il Signore) è la Roccia! Il suo comportamento è ineccepibile perché tutte le Sue strade sono giuste" (Devarim 32:4).
Il Chafez Chaim, Rabbi Israel Meir Kagan, una volta a chiesto a qualcuno come gli vadano le cose. La persona ha risposto, “Non sarebbe male se andassero un po’ meglio”.
 “Come fai a sapere che non sarebbe male?” ha risposto il Chafez Chaim. “L’Onnipotente conosce quello che succede meglio di te. È misericordioso e pietoso. Se ritenesse che per te sarebbe bene che le cose andassero meglio, le avrebbe sicuramente fatte andare meglio. Certamente le cose per te vanno bene così come sono”.
Le cose non vanno sempre come ci augureremmo che andassero, ma il fatto che le cose siano così è sicuramente per il nostro bene. Questa consapevolezza ti farà stare meglio nella vita. Hai sempre il diritto di provare a migliorare la situazione, ma se le cose non vanno ancora come vorresti, devi lavorare per fare tuo il concetto che l’Onnipotente sta facendo andare le cose come vanno per il tuo bene.

 

Alachot di Rosh HaShanà che cade di giovedì

Gli uomini usano immergersi nel mikvè la vigilia di Rosh HaShanà in onore della festa. E’ opportuno farlo dopo chazot (mezzogiorno alachiko), che cade generalmente intorno alle dodici e mezzo o l’una (a seconda dei luoghi), ma se una persona vuole immergersi durante la mattina può farlo.
Quando Rosh HaShanà cade di mercoledì sera (come quest’anno), cosicché Rosh HaShanà precede subito lo Shabbat, bisogna ricordarsi di preparare l’eruv tavshilin prima dell’entrata di Yom Tov, la vigilia di Rosh HaShanà. Facendo l’eruv tavshilin è permesso cucinare, accendendo i fornelli da una fiamma già accesa, i cibi per lo shabbat. Si mettono da parte un pezzo di pane e un uovo sodo, si recita la berachà di “…asher kiddeshanu bemizvotav vezivvanu al mizvat eruv” e poi si recita la formula “beden eruva yeè shari…” che è riportata nei siddurim. Il pane e l’uovo devono essere riposti in un posto sicuro. Si conservano di solito fino alla seudà shelishit dello shabbat, in cui si usa mangiarli.
Le donne accendono le candele prima del tramonto la vigilia di Rosh HaShanà all’orario riportato dai vari calendari. Recitano la berachà di “asher kiddeshanu bemizvotav vezzivanu leadlik ner shel yom tov”. Accendono le candele anche la seconda sera di Yom Tov, dopo che ha fatto buio, quando gli uomini ritornano dalla tefillà di arvit. Naturalmente, quando Rosh haShanà capita di giovedì e venerdì, si accendono anche le candele dello shabbat.
Bisogna sottolineare che l’alachà vieta di creare una fiamma di yom tov, per esempio accendendo un fiammifero. Quindi bisogna accertarsi prima di yom tov di accendere una candela che duri molte ore, in modo da essere ancora accesa il venerdì nel momento in cui bisogna accendere le candele dello shabbat.
Inoltre, l’alachà proibisce di spengere una fiamma di Yom Tov, quindi dopo che una donna ha acceso le candele, non deve spengere direttamente la fiamma attraverso cui le ha accese, ma lasciarla spengere da sola. Questa alachà è rilevante anche per coloro che fumano durante yom tov; la sigaretta deve spengersi da sola (sicuramente non si dovrebbe fumare mai; ma se una persona fuma, deve accertarsi di non spengere attivamente la sigaretta).
Riassumendo: è bene per gli uomini immergersi nel mikwè la vigilia di Rosh HaShanà, preferibilmente nel pomeriggio. Quando Rosh HaShanà inizia il mercoledì sera, bisogna preparare l’eruv tavshilin prima del tramonto in cui entra yom tov, mettendo da parte un pezzo di pane e un uovo sodo, che dovrebbero essere mangiati durante la seudà shelishit dello shabbat. Bisogna inoltre accertarsi di accendere una fiamma prima di yom tov in modo da poter accendere le candele di yom tov del secondo giorno e quelle dello shabbat.

Shabbat shalom e shanà tovà!

Newsletter: Parashat Vaetchannan 5771


Parashat Vaetchannan – in brevissima…

Moshè implora HaShem di farlo entrare nella terra d’Israele, ma la richiesta viene respinta (ricordiamoci che HaShem risponde sempre alle nostre preghiere, a volte con un “si”, altre con un “no”, altre ancora con un “non ora”). Moshè comanda al popolo di non aggiungere e non sottrarre dalle parole della Torà e di rispettare tutti i comandamenti. Gli ricorda che HaShem non ha né forma né configurazione e che non devono farsi nessun tipo di idolo e adorarlo.
Le città di Bezer, Ramot e Golan sono designate come città rifugio alla riva est del Giordano. Un omicida involontario può rifugiarsi lì per evitare che i parenti della vittima si vendichino su di lui.
Sono ripetuti i dieci comandamenti. Moshè recita lo shemà proclamando l’unicità del Signore, che tutti devono amare e trasmettere i Suoi comandamenti alla generazione futura. Gli uomini devono indossare i tefillin del braccio e della testa. Tutti gli ebrei devono mettere la mezuzà sullo stipite di ogni porta della casa (eccetto il bagno).
Moshè poi ripete il comandamento di non fare matrimoni misti poiché questo allontanerà i figli da HaShem.

Dvar Torà
basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

La Torà afferma:
 "Oggi dunque devi riconoscere e riflettere in cuor tuo che l’Eterno è il Signore nei cieli in alto e sulla terra in basso, e che non vi è alcun altro." (Devarim 4:39).
Quale è l’essenza di questo verso?
Il Chafetz Chaim, Rav Israel Meir Kagan (qui a fianco in foto), usava sottolineare che questo verso ci dice che tutto quello che succede nelle nostre vite deriva da HaShem. Tutti i profitti e le perdite nella vita di una persona sono la conseguenza di quello che HaShem ha decretato per noi. Allo stesso modo, ogni dolore che si subisce, come quando qualcuno ci maledice o ci insulta, viene da HaShem per fare kapparà ~ espiazione per le nostre trasgressioni. La persona che maledice o che insulta è responsabile del fatto di commettere quella trasgressione, ma chi riceve sta ricevendo qualcosa che in fin dei conti è bene per lui.
Chi riesce a fare proprio questo concetto avrà la forza e il coraggio di non rispondere a chi lo insulta. Quando ci si lava le mani con acqua calda per rimuovere qualcosa di molto appiccicoso, fa male, ma ciò serve solo per ottenere come risultato quello di essere puliti.
Ci sono due fattori: (1) Avere la conoscenza a livello intellettuale che tutto quello che accade nelle nostre vite viene da HaShem. (2) Capirlo a livello emozionale e quindi metterlo in pratica in modo che questo concetto diventi parte di noi. Il nostro compito è quello di interiorizzare questo importante concetto che “Tutto viene da HaShem” ripetendolo a noi stessi più volte. Ogni volta che lo faremo avremo la possibilità di farlo diventare sempre più parte della nostra personalità e del nostro modo di agire.

 

Fare Teshuvà ogni giorno; pentirsi per le caratteristiche negative

Il Rambam (Rabbì Moshè Maimonide, Spagna - Egitto, 1135-12044) inizia il settimo capitolo del libro Ilchot Teshuvà enfatizzando l’importanza e il valore della Teshuvà. Dopo aver parlato nel capitolo precedente delle basi filosofiche del concetto di libero arbitrio, del fatto che HaShem non interferisce nella decisione umana di comportarsi appropriatamente o meno, il Maimonide scrive che bisogna esercitare il proprio libero arbitrio pentendosi delle cattive azioni. Ognuno ha la possibilità di migliorare il proprio comportamento e guadagnarsi così un posto nel Mondo Futuro, incita quindi ogni singolo individuo a fare teshuvà e correggere i propri difetti.
Nel passaggio seguente (alachà 2), il Rambam aggiunge che ognuno dovrebbe assicurarsi di pentirsi per le proprie cattive azioni ogni singolo giorno della vita. Nessuno sa quanto a lungo vivrà; non tutti ricevono il dono di longevità. Per questo non è saggio rimandare la teshuvà, pensando che quando si sarà raggiunta l’anzianità si avrà tempo per rettificare il proprio comportamento. La morte, lo alenu, può arrivare in qualsiasi momento, per questo dobbiamo assicurarci di pentirci immediatamente dopo aver compiuto una trasgressione, e “pulire il nostro conto” ogni giorno. A questo proposito il Rambam cita un verso dal Kohelet (9: 8), “In ogni momento le tue vesti siano bianche.” Ognuno dovrebbe fare in modo di essere “bianco” in ogni momento, ossia puro dai peccati, poiché ogni momento potrebbe essere l’ultimo chaz veshalom.
Nella terza alachà, il Rambam insegna che ci si deve pentire non solo per i peccati commessi, ma anche per le proprie caratteristiche negative. Il Rambam cita diverse tendenze per cui bisognerebbe pentirsi, fra cui la rabbia, la competitività, l’invidia, la brama di denaro o successo e l’ingordigia nel mangiare. Anche se queste tendenze non si trasformano necessariamente in cattive azioni, richiedono in ogni caso che si penta per esse. Infatti il Rambam aggiunge che pentirsi per delle qualità negative è più difficile che pentirsi a causa delle cattive azioni. A differenza di atti singoli, delle tendenze negative diventano una seconda natura e parte della propria personalità ed è particolarmente difficile sovrastarle. Bisogna quindi investire notevoli energie per rifinire il proprio carattere e liberarsi dei tratti negativi.
Inoltre i maestri del mussar ritengono che pentirsi per le caratteristiche negative sia la chiave del successo per fare teshuvà rispetto ad atti specifici. Virtualmente ogni peccato è il risultato diretto di “difetti” del proprio carattere. Perciò, ripulendo la propria personalità da tendenze negative, possiamo essere più sicuri di non compiere azioni vietate. Perciò, perfezionare il proprio carattere liberandosi delle qualità negative menzionate sopra costituisce la svolta del processo di teshuvà. Bisogna dedicargli quindi il giusto focus e attenzione per riuscire a fare una teshuvà vera e completa.

Shabbat shalom!

Newsletter: Parashat Mezorà 5771

Dvar Torà

Basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

La Toràh afferma:
“Allora il Sacerdote ordinerà di prendere per la persona da purificare, due uccelli vivi e puri, un ramo di cedro, un filo di lana scarlatta e dell’issopo. (Vaikrà 14:4)
Quale lezione impariamo da questo verso?
Rashi, il grande commentatore, cita i Saggi che dicono che il cedro simboleggia l’arroganza (un albero di cedro è chiamato “alto e fiero”). La zaraat ha origine dall’arroganza e dal disprezzo per gli altri che fanno si che la persona sia portata a parlarne male.
Il Chafez Chaim commenta che chi parla male degli altri considera se stesso superiore e di conseguenza si prende il diritto di dire cose negative su chi lo circonda. Se fosse consapevole dei suoi difetti e limiti non cercherebbe di sottolineare quelli degli altri.
Quale è la cura? Bisogna lavorare sul rafforzamento dell’umiltà, che è simboleggiata dalla porpora che è prodotta da un mollusco e dall’issopo che è un piccolo cespuglio (i due uccelli vivi che cinguettano simboleggiano il chiacchierio e il pettegolezzo).
La nostra lezione: cercare di essere più consapevoli dei nostri difetti e limiti piuttosto che concentrarci su quelli degli altri

 

…a proposito di pesach: il digiuno dei primogeniti!

Lo Shulchan Aruch riporta l’uso del “taanit bechorot”, il digiuno dei primogeniti (sia che siano primogeniti da parte materna o da parte paterna), la vigilia di pesach. Questo digiuno ricorda la “makat bechorot”, l’ultima delle dici piaghe in cui sono stati colpiti i primogeniti egiziani, da cui i primogeniti ebrei sono stati risparmiati. L’uso comune è che solo i primogeniti maschi digiunino.
Dal momento che questo digiuno non è richiesto secondo l’alachà stretta, e si osserva solo come minag (usanza), unito al fatto che la vigilia di pesach è solitamente una giornata molto intensa, i Nostri Maestri lo trattano con maggiore indulgenza rispetto agli altri digiuni. Quindi, se il primogenito partecipa a una seudat mizvà (un pasto che costituisce una mizvà) di qualsiasi tipo, è esentato dal digiunare. Esempi di seudat mizvà sono costituiti  da seudot che seguono un brit milà, un pidion haben e un bar mizvà nella data ebraica in cui il ragazzo compie 13 anni. Di solito nella maggior parte delle comunità c’è qualcuno che completa lo studio di una massechet (trattato talmudico) festeggiando quindi con un sium la vigilia di pesach, in modo che i primogeniti della comunità possano partecipare alla celebrazione ed essere quindi esentati dal digiunare.
Si deve notare che la persona deve avere effettivamente studiato la massechet; il pasto non è considerato una seudat mizvà se ha solo letto le parole senza capire di cosa si trattava. Inoltre, il primogenito non è esentato dal digiuno  a meno che non ascolti la persona mentre legge e spiega la frase finale della massechet. Deve essere presente quando si legge l’ultima frase e capire cosa viene detto. Alcuni sbagliano pensando che il cibo servito durante il sium abbia uno status speciale per cui basta semplicemente assaggiarlo per essere esentati dal digiuno. Questo non è vero, sono esentati solo coloro che partecipano e ascoltano la fine della massechet.
Anche completando uno dei sei sedarim della Mishnà con il commento di Rabbenu Ovadia di Bartenura si può fare una seudat mizvà, e questa celebrazione esenta i primogeniti dal dover digiunare.
Un primogenito che non partecipa a una seudat mizvà deve digiunare per tutto il giorno fino al seder. I primogeniti devono quindi accertarsi di avere modo di partecipare a una seudat mizvà.
Primogeniti malati o deboli non sono tenuti a digiunare anche se non partecipano a una seudat mizvà.
E’ consuetudine che chi abbia un primogenito maschio lo porti al Tempio per ascoltare il sium il giorno della vigilia di pesach, se il bambino è grande abbastanza da capire, anche se non ha ancora superato l’età del bar mizvà. Se è troppo difficoltoso per il bambino venire al Tempio non è tenuto a farlo ma il padre dovrebbe partecipare al sium al posto del figlio.
Nel libro “Shaarè Ora” viene data una suggestiva interpretazione del perché il miracolo dei primogeniti in Egitto venga commemorato specificatamente con un digiuno. A prima vista, avremmo detto che un miracolo vada celebrato con una qualche forma di manifestazione gioiosa e non con un digiuno! Lo Shaarè Ora spiega che quando Moshè ha annunciato che  HaShem avrebbe mandato una piaga per colpire i primogeniti egiziani, i primogeniti ebrei erano molto spaventati e preoccupati. I Nostri Maestri ci insegnano che i Figli d’Israele adoravano gli idoli durante il periodo in cui erano in Egitto e quindi i primogeniti ebrei non avevano abbastanza meriti per essere salvati. Il giorno prima della piaga, i primogeniti ebrei hanno digiunato e si sono pentiti con la speranza di guadagnare compassione Divina e essere risparmiati dalla piaga che avrebbe colpito di lì a poco gli egiziani.
I primogeniti osservano un digiuno la vigilia di pesach come parte dei nostri sforzi di ricostruire e rivivere le esperienze dei nostri avi in Egitto. Durante pesach abbiamo l’obbligo, non solo di parlare a proposito di quello che è successo in Egitto, ma di riviverlo, come è detto nell’aggadà: “Una persona deve considerarsi come se essa stessa abbia lasciato l’Egitto”. L’usanza è quella quindi che i primogeniti devono digiunare la vigilia di pesach così come i loro antenati hanno digiunato.
Riassumendo: il primogeniti maschi (sia da parte di madre che da parte di padre) devono digiunare la vigilia di pesach, ma si può evitare partecipando a una seudat mizvà o a un sium la mattina della vigilia. Il primogenito deve partecipare personalmente, ascoltare e capire la frase finale della massechet. È uso che i padri di figli primogeniti che non sono ancora arrivati all’età del bar mizvà portino i loro figli per partecipare al sium oppure devono partecipare al posto loro.

Shabbat shalom!!