Newsletter: Parashat Vaishlach 5772

La parashà di Vaishlach… in brevissima!

Nel viaggio di ritorno a Canaan, Jaacov incontra suo fratello Esav; Jaacov lotta con l’angelo. Poi arrivano a Shechem, dove Shechem, il figlio di Chamor, violenta Dina, la figlia di Jaacov. I fratelli Shimon e Levi, uccidono gli uomini di Shechem. Rivkà muore. HaShem dà a Jaacov un altro nome: Israel e riconferma la berachà data ad Avraham secondo cui la terra di Canaan verrà data ai suoi discendenti. Rachel muore dopo aver partorito Beniamin. Sono elencati i 12 figli di Jaacov. Itzchak muore. Viene ricordata la genealogia di Esav.

Dvar Torà

Basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

La Toràh afferma:
 “E Esaù disse, ‘Ho molto’. E Giacobbe disse, ‘Ho tutto’.” (Bereshit 33:9,10,11)
Quale dei due fratelli è più ricco?
Il Chafetz Chaim commenta che con queste due osservazioni possiamo renderci conto della differente visione del mondo di Esav e Jaacov Avinu. Esav dice di avere molto. Anche se ha grandi quantità di beni, vorrebbe avere di più, per il principio secondo cui “chi ha cento vuole duecento”. Jaacov invece dice: “Ho tutto”. Non mi manca niente! Esav voleva ottenere sempre di più, mentre Jaacov era soddisfatto di quello che aveva.
Indipendentemente da quanto si ha, si vuole avere sempre di più. Avere la sensazione di non avere mai abbastanza, ti causerà una frustrazione costante. Se ti focalizzi su quello che ti manca, la tua vita sarà piena di frustrazione e ansia. La scelta è tua, tutto dipende da se vuoi essere veramente ricco o “povero” con molti averi!
Interiorizza l’atteggiamento di Jaacov: “Io ho tutto ciò che mi serve”. Nei Pirkè Avot (Le Massime dei Padri) ci viene insegnato, “Chi è ricco? Colui che è felice di quello che ha”. Se ti concentri su quello che hai sarai ricco effettivamente.
 Ovviamente hai il diritto di provare ad avere di più. Però, se non ci riesci, ti sentirai calmo e sereno. Se riesci ad avere di più, molto bene. Altrimenti è un segno che, per il tuo bene, non hai bisogno di qualcosa di più.

 

L’accensione delle candele di shabbat – l’uso di accendere due candele; accendere quando i genitori non sono in casa per shabbat

L’obbligo dell’Adlakat Nerot, l’accensione delle candele della vigilia dello shabbat, consiste nell’accendere almeno una candela, ma l’uso comune è quello di accenderne due. Il motivo più diffuso è perché le due candele corrispondono l’una al comandamento di “Zachor” e l’altra al comandamento di “Shamor” (“ricordare” e “osservare” lo shabbat).
Inoltre il Ben Ish Chai (Rav Yosef Chaim di Bagdad, 1833-1909) spiega che l’uso di accendere due candele è collegato a questioni di shalom bait (armonia famigliare), che è alla base della mitzvà dell’accensione delle candele. I Nostri Maestri spiegano che bisogna accendere le candele perché la presenza della luce in casa assicura la shalom bait (armonia famigliare), visto che il buio spesso può causare tensioni e liti chaz veshalom. I lumi devono essere accesi in casa prima dell’inizio dello shabbat, così che un “aurea di pace” e tranquillità pervada l’ambiente. Questo concetto è racchiuso nelle due candele che la donna accende. In ebraico candela si dice “ner”. Il valore numerico del termine corrisponde a 250, quindi, due candele hanno insieme il valore numerico di 500. Nel corpo di un uomo ci sono 248 “evarim” (membra e organi), e in quello della donna ce ne sono 252. Insieme arrivano a 500. Quindi l’accensione di due candele allude all’unità fra moglie e marito, che è espressa nel numero 500 e che costituisce il motivo fondamentale che è racchiuso dietro alla mitzvà dell’accensione delle candele dello shabbat.
Il momento dell’accensione delle candele è un “et ratzon” (momento propizio), in cui le preghiere della donna sono maggiormente accettate da HaShem. È bene quindi, che la donna quando accende le candele dedichi una preghiera per la shalom bait (l’armonia famigliare) e per altre questioni: affinché il marito abbia successo nello studio della Toràh, nel guadagnareil sostentamento per mantenere la famiglia, e per i figli, affinché seguano la strada della Toràh e delle mitzvot e anch’essi riescano nello studio della Toràh.
L’uso sefardita è che solo la madre accenda le candele di shabbat; le figlie non sposate no. Se la madre non è presente per shabbat, se per esempio ha partorito e si trova in ospedale, il marito accende al suo posto, recitando la solita berachà: “Leadlik Ner Shel Shabbat”. Se entrambi i genitori non sono presenti per shabbat e i figli rimangono a casa, e fra i figli c’è una figlia che ha superato letà del bat-mitzva, lei deve accendere le candele con la berachà. Il Chacham Ovadia Yosef stabilisce che una figlia che abbia superato l’età del bat-mitzvà ha la precedenza su di un figlio che ha superato l’età del bar-mitzva, perfino se il ragazzo è più grande della ragazza.
Se non ci sono figlie che abbiano superato l’età del bat-mitzvà, un figlio che abbia superato l’età del bar-mitzva deve accendere le candele con la berachà.
Ovviamente anche i genitori devono accendere le candele nel luogo in cui si trovano per shabbat. Ma se i figli restano a casa, un figlio o una figlia devono accendere le candele come riportato precedentemente.
Riassumendo: l’uso comune delle donne è quello di accendere due candele prima dell’entrata di shabbat. Questo momento è particolarmente propizio per pregare per shalom bait e per il benessere spirituale e materiale di tutta la famiglia. Se la madre non è in casa per shabbat, il marito accende al suo posto. Se entrambi i genitori non sono presenti, ma i figli restano in casa, allora le candele devono essere accese da una ragazza che abbia superato l’età del bat-mitzva. Se non ci sono ragazze di questa età, deve accendere un ragazzo che abbia superato l’età del bar-mitzva.

Shabbat shalom!
  

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