Newsletter Parashto Nitzavim Vayelech 5773

Le parashot di Nizzavim-Vaielech… in brevissima!

Nel giorno della morte di Moshè, egli riunisce tutto il popolo ebraico stabilendo un patto che conferma che il popolo ebraico è il prescelto (prescelto di avere il compito di essere un faro fra le nazioni) per tutte le future generazioni. Moshè rende chiare quali siano le conseguenze a cui si va incontro rifiutando chas veshalom HaShem e la Sua Toràh e la possibilità di pentirsi. Ribadisce il concetto che la Toràh sia alla portata di tutti.
La Parashà di Nizavim termina con quella che forse è la più chiara e potente frase della Torà per quanto riguarda lo scopo della vita e l’esistenza del libero arbitrio: “In questo giorno ho posto dinnanzi a te la vita e il bene, la morte e il male … la benedizione e la maledizione. Quindi scegli la vita e vivrai, tu e la tua discendenza.”
La Parashà di Vayelech comincia con Moshè che passa il testimone a Yeoshua come leader del popolo. Moshè poi gli dà un comandamento/benedizione che è applicabile ad ogni leader ebreo: “Sii forte e coraggioso. Non aver paura o sentirti insicuro di fronte  a loro. HaShem Tuo Signore è Colui che sarà con te, e non ti farà fallire né ti abbandonerà.”
Moshè ha scritto l’intera Torà e l’ha data ai Coanim e agli anziani. Ha poi comandato che in futuro, al termine dell’anno sabatico, il re riunisca tutto il popolo durante la festa di Sukkot per leggergli la Torà cosicché “…ascolteranno e impareranno e temeranno HaShem tuo Signore e staranno attenti a compiere tutte le parole della Torà.”
L’Onnipotente descrive in un breve paragrafo il corso della storia ebraica (per i curiosi comincia al cap. 31, verso 16 del libro di Devarim). Infine, prima che Moshè vada a “coricarsi con i suoi antenati”, riunisce il popolo per insegnargli la cantica di ‘Azinu, la parashà della prossima settimana, per ricordargli quali siano le conseguenze per chi si rivolta al Signore.
Dvar Toràh
basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

La Toràh afferma:
 “Voi avete potuto vedere i loro abomini e [oggetti] repellenti (ossia gli idoli) di legno e di pietra, d’argento e d’oro che avevano con sé”. (Devarim 29:16)
Come mai la Toràh deve dirci di stare attenti a non essere influenzati negativamente dai loro idoli se proveremo repulsione nei loro confronti?
Rav Itzchak Zeev Soloveitchik spiega che una persona può vedere gli idoli e considerarli un abominio e provare una forte repulsione e disgusto. Però, la Toràh ci dice di fare attenzione a non essere influenzati negativamente da essi, perché qualsiasi cosa che vediamo ha un ascendente su di noi. Anche se inizialmente hai sensazioni negative nei loro riguardi, potresti essere influenzato a seguirli. Le influenze negative sono potenti e devono essere tenute a distanza.

Nitzavim(Devarim 29:9-30:20)

Mutual Responsibility

Di Rav Shraga Simmons
La Parashàh di questa settimana parla di come Moshè, nell’ultimo giorno della sua vita, abbia riunito insieme l’intero Popolo Ebraico introducendo un nuovo livello di patto con HaShem: d’ora in poi, ognuno non sarà solo responsabile per le proprie azioni, ma ognuno sarà responsabile anche per le azioni dell’altro.
Questo aspetto di responsabilità comune, è quello che fa di noi un popolo e non solo un gruppo di individui.
Sicuramente, il più alto livello di responsabilità cade sulle spalle di coloro che sanno di più. Se qualcuno sta sanguinando per strada, e un medico e un giardiniere gli passano accanto, chi ha maggiormente l’obbligo di aiutarlo? Sicuramente il medico. Lo stesso vale nelle questioni spirituali.
È raccontata la storia di un uomo molto osservante che, passando a miglior vita, viene giudicato di fronte alla Corte Celeste. La corte procede descrivendo i numerevoli meriti dell’uomo, e poi elenca le trasgressioni, fra cui quella di aver mangiato il maiale. “Ma io non ho mai mangiato maiale la mia intera vita!” protesta l’uomo.
 “Hai ragione”, dichiara la Corte Celeste. “Ma il tuo vicino della porta a fianco mangiava maiale e tu non hai mai tentato di fermarlo. Quindi, sei responsabile come se tu avessi mangiato maiale”.
Sicuramente, questioni del genere vanno affrontate in modo da non creare una situazione peggiore oppure tensione e risentimento.

Questo implica che una persona non può condurre una vita depravata dicendo: “Lasciami stare per conto mio! Non do fastidio a nessuno!”. L’idea di responsabilità comune implica il fatto che leazioni di ognuno influenzano la sanità spirituale di tutti gli altri.
Questa idea è espressa in modo ancora più chiaro durante le Feste, in cui ogni individuo – e il mondo intero – sono posti sotto giudizio. Così come scrive il Maimonide:
Ogni persona deve considerarsi metà meritevole e metà colpevole, e similmente vedere il mondo come metà meritevole e metà colpevole. Quindi, una buona azione, o una trasgressione, possono cambiare l’equilibrio del mondo intero.
Teniamolo a mente – e possiamo essere tutti scritti e sigillati per un buon anno nuovo!
La profondità della liturgia delle Feste
Tutte le preghiere degli Yamim Noraim (letteralmente i “Giorni Temibili”, ossia quelli che vanno da Rosh HaShanàh a Yom HaKippurim) sono state stabilite dai grandi Saggi dell’Anshè Kenesset HaGhedolàh (gli uomini della Grande Assemblea) e sono quindi cariche di molti livelli di significato. Dobbiamo sforzarci di capire il significato semplice del testo e allo stesso tempo è doveroso riconoscere le innumerevoli allusioni che questi Grandi Saggi hanno incorporato nel testo liturgico. Più riusciamo a tenere a mente questi profondi significati mentre preghiamo, più la nostra preghiera sarà potente.
Un esempio della profondità di significato della liturgia delle Feste è caratterizzato dall’apparentemente innocua parola “Uvçhen” (“E quindi”). Lo Zohar HaKadosh, nei Tikkunim, commenta che questa parola dovrebbe essere recitata quattro volte  nella Amidàh di Rosh HaShanàh e in quella di Yom HaKippurim. Infatti, durante l’Amidàh recitiamo quattro passaggi che contengono questa parola: “Uvçhen Ytkadash Shimchàh HaShem Elokenu,” “Uvçhen Ten Pachdecha,” “Uvçhen Ten Kavod,” e “Uvçhen Zadikim Iiru VeIsmachu.” Questi quattro passaggi contenenti la parola “Uvçhen”, si riferiscono a una serie di tre versi nella Parashàh di Beshallach (Shemot 14:19-21), che cominciano rispettivamente  con le parole “Vaisàh”, “Vaiavò”, e “Vayet”. Ognuno di questi tre versi contiene 72 lettere, corrispondenti alle 72 lettere di un Nome di HaShem, e i tre versi sono associati con i tre patriarchi (Avraham, Izchak e Jaacov). La parola “Uvçhen” ha il valore numerico di 72,  e i primi tre passaggi di questa parola nella Amidàh delle Feste corrispondono ai tre patriarchi e a questi tre versi nella Parashàh di Beshallach. Il primo “Uvçhen” corrisponde ad Avraham Avinu e al primo di questi tre versi; il secondo si riferisce a Izchak Avinu e al secondo verso; e il terzo allude a Jaacov Avinu e al terzo verso. La quarta volta in cui menzioniamo “Uvçhen” ci riferiamo al Re David, che è la quarta “gamba” del Carro Celeste, e alle 72 combinazioni formate prendendo una lettera da ognuno di questi tre versi, che comprendono tutti il Sacro Nome di HaShem.
E’ notevole considerare quanta profondità si nasconde dietro a una singola parola come“Uvçhen” che recitiamo durante la Amidàh, e ci è difficile perfino immaginare quanta profondità e grandezza i Nostri Saggi hanno incorporato l’intero testo delle preghiere degli Yamim Noraim.
Ad un livello semplice, la parola “Uvçhen” dovrebbe ricordare il verso nella Meghillat Ester (4:16): “Uvçhen Avò El HaMelech Asher lo Chadat” ~E così dovrei approcciarmi al re contro il protocollo reale”. Ester qui esprime il suo timore per il fatto di doversi approcciare al re Achashverosh senza essere stata chiamata – e questa è esattamente la paura che dovremmo provare stando di fronte all’Onnipotente in preghiera. Dovremmo sentirci completamente indegni di approcciarci a lui e chiedergli di pensare ai nostri bisogni.
Chi siamo noi per presentarci di fronte ad HaShem? Che diritto abbiamo di formulare qualsiasi richiesta a lui? Il termine “Uvçhen” è ripetuto quattro volte nella Amidàh per attirare la nostra attenzione alla paura di Ester prima di approcciarsi al re Achashversoh, e per ricordarci che questo è come dovremmo sentirci quando stiamo in preghiera di fronte al Re dei Re. Questo senso di umiltà e indegnità è un prerequisito critico per approcciarsi alla preghiera. Il verso in Tehillim dice: (51:19), “Zivçhè Elokim Ruach Nishbar, Lev Nishbar Venidkè, Elokim Lo Tivzè” – “Le [vere] offerte ad HaShem sono uno spirito afflitto; HaShem non rifiuterà un afflitto, abbattuto cuore”.  HaShem considera il nostro umile senso di indegnità come un’offerta sacrificale che Egli accetta amorevolmente e non rifiuta.
Il nostro obbligo è quello di cercare di comprendere il testo della preghiera al meglio delle nostre possibilità, e, ad un livello più basilare, quello di avere in mente che preghiamo in base alle più profonde intenzioni dei Saggi che hanno composto queste preghiere, e chiediamo ad HaShem che integrerà le intenzioni che abbiamo con tutte le intenzioni degli Anshè Kenesset HaGhedolàh, come dice il verso (Tehillim 138:8), “HaShem Igmor Baadì” – quando ci impegniamo al massimo delle nostre potenzialità, HaShem interverrà per completare il resto.
Shabbat Shalom!