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Newsletter: Sheminì 5772


La Parashàh in breve

Alla conclusione dei sette giorni d’inaugurazione del Mishkan (Tabernacolo), Aharon, il Cohen Gadol, porta dei sacrifici per se stesso e per tutto il popolo. Nadav e Avihu, figli di Aharon, portano un incenso non richiesto di loro iniziativa e vengono consumati da un fuoco celeste (probabilmente è l’unica volta che una persona fa qualcosa di sbagliato e viene subito colpito da “un fulmine”)
I Cohanim ricevono il comando di non fare alcun servizio se ebbri. Il Servizio inaugurale è completo. HaShem specifica quindi le specie di animali che sono kasher ~ adatte ad essere mangiate secondo la Toràh: mammiferi (che hanno zoccolo fesso e sono considerabili ruminanti), pesci (che hanno pinne e squame), uccelli (alcune categorie di uccelli non predatori) e alcune specie di locuste. La Parashà si conclude con le leggi dell’impurità derivate da carcasse di alcuni animali.

Dvar Torà

Basato su “Love Your Neighbor” di Rav Zelig Pliskin


La Toràh dice:
“E queste sono le specie da considerarsi come abominevoli tra gli uccelli, che non si possono mangiare essendo ripugnanti … e la cicogna” (Vaikrà 11:13, 19)
Il Talmud (Chulin 63°) spiega che il nome ebraico della cicogna bianca è “chasida”, perché si comporta con benevolenza, çhesed, con i suoi amici.
Il Ramban, Rabbenu Moshè Ben Nachman (Nachmanide), un grande commentatore della Toràh, scrive che gli uccelli elencati in questo brano sono vietati al consumo a causa della loro crudeltà. Perché quindi la cicogna è considerata “ripugnanti” e un “abominio”? Dovrebbe anzi essere permessa in base alla sua benevolenza.
Il Chiddushè HaRim risponde: la cicogna fa favori SOLO con i suoi amici. Finchè non fa chesed ~ atti di bontà con stranieri è considerata non kasher. Il çhesed dev’essere applicata con chiunque e non solo con gli amici!

 

Alcuni motivi per la mizvàh del conteggio dell’Omer; lo status della mizvàh ai nostri giorni

La Toràh comincia a parlare della Mitzvàh della “Sefirat HaOmer” nel libro di Vaikrà (cap. 23, verso 15): “Dal giorno successivo Shabbat (ossia il giorno in cui si riposa dalle melakhot ~ attività lavorative), dal giorno in cui porterete l’Omer come offerta da sollevarsi, conterete per voi stessi sette settimane complete.”
I Chachamim spiegano che “il giorno dopo Shabbat” si riferisce al giorno successivo il primo giorno di Pesach. La Toràh chiama infatti anche i giorni di Yom Tov con il termine “Shabbat”, essendo anch’essi giorni in cui ci si riposa dall’effettuare melakhàh ~ attività lavorativa. Quindi il versetto si riferisce al secondo giorno di Pesach, il giorno successivo al primo giorno di Yom Tov di Pesach. Da quel giorno si comincia a contare ogni singolo giorno per sette settimane (quarantanove giorni).
Lo Shibolè HaLechet (opera alachika del romano Rabbì Zidkiàh Ben Avraham, 1230-1300) cita (nel siman 236) un passo tratto dal Midrash in cui viene detto che quando i Figli D’Israel lasciano l’Egitto, Moshè li informa che fra cinquanta giorni avrebbero ricevuto la Toràh. Moshè ricava questa informazione la prima volta in cui parla con HaShem nell’episodio del Roveto Ardente. HaShem dice: “Quando prenderai il popolo dall’Egitto, servirete HaShem su questa montagna” (Shemot 3:12). La parola “Taavdun” (servirete) è apparentemente scritta con una “nun” superflua. La lettera “nun” ha il valore numerico di cinquanta. HaShem quindi allude a Moshè che cinquanta giorno dopo l’uscita degli ebrei dall’Egitto arriveranno al Monte Sinai, per ricevere la Toràh. Il popolo ebraico reagisce a questa informazione con molto entusiasmo, contando ogni giorno dopo l’Esodo, ansiosi di ricevere la Toràh. HaShem quindi ci comanda di commemorare il loro entusiasmo contando ogni anno i giorni che vanno dal secondo giorno di Pesach fino alla festa di Shavuot, che celebra la ricezione della Toràh.
Secondo la maggior parte delle autorità alachike, fra cui lo Shulchan Aruch (Orach chaim 489), l’obbligo di contare l’omer oggigiorno è miderabbanan. Perché la Toràh collega il conteggio dell’Omer all’offerta portata il 16 di Nissan (“Conterai… dal giorno in cui porti l’Omer”), l’obbligo della Toràh si applica solo quando esisteva il Bet HaMikdash (sia presto ricostruito ai nostri giorni). Senza il Bet HaMikdash, l’obbligo della Toràh non è più applicabile, e dobbiamo compiere la mizvàh di contare l’Omer a livello rabbinico.
Riadattamento del link: http://www.dailyhalacha.com/

Shabbat shalom 

Newsletter: Vaikràh 5772


Dvar Torà

Basato su “Love Your Neighbor” di Rabbi Zelig Pliskin

La Toràh afferma:
 “Se chi ha peccato fosse una persona del popolo cha abbia involontariamente eseguito uno dei precetti dell’Eterno che non doveva essere compiuto, e sia (pertanto) divenuto colpevole, oppure (se in un tempo successivo all’atto stesso) gli è stato reso noto il peccato che ha commesso, (allora) per il peccato che ha commesso dovrà portare come sua offerta una capretta femmina senza imperfezioni.” (Vaikrà 4:27-28)
Non avendo al giorno d’oggi il Bet HaMikdash che ci permette di espiare le nostre trasgressioni, cos’altro possiamo fare per espiarle?
Rabbi Yochannan stava passeggiando lungo la periferia di Yerushalaim e Rabbi Yeoshua lo seguiva. Vedendo le rovine del Bet HaMikdash, Rabbi Yeoshua ha detto: “Guai a noi. Il luogo che espiava per i nostri peccati è stato distrutto.”
 “Figlio mio,” ha detto Rabbi Yochannan, “Abbiamo un altro mezzo di espiazione che può essere paragonato al Bet HaMikdash: il chesed (compiere atti di bontà). Come è detto: “Benevolenza è quello che Io voglio, e non sacrifici (Hoshaia 6:6).” (Avot DeRabbì Natan, cap. 4)
L’espiazione dipende da quanto la persona si rammarica per ciò che ha fatto, chiede scusa e chiede verbalmente all’Onnipotente di accettare la sua richiesta di perdono. Forse, compiere atti di bontà aiuta il singolo a concentrarsi  in modo più generale sul suo rapporto col mondo e con l’Onnipotente, entrando in uno stato in cui è in grado di esaminare i propri errori e ripararli.

La mizvàh di raccontare l’uscita dall’Egitto ai propri figli

La mizvàh di raccontare la storia dell’uscita degli ebrei dall’Egitto la sera di Pesach, è riportata nella Toràh con le seguenti parole: “Veigadeta lebinchàh” – “La racconterai a tuo figlio” (Shemot 13:8), e quindi l’obbligo fondamentale è quello di raccontare quanto accadutoai propri figli. I propri figli di conseguenza, devono sedersi accanto al padre la sera del Seder. Molte famiglie usano sistemare la tavola in modo che i bambini siedano alla fine e gli ospiti e i parenti siedano accanto al capofamiglia. La cosa migliore è che i bambini siedano accanto ai propri genitori, così che possano raccontargli la storia dell’uscita dell’Egitto.
Chi non ha figli, compie la mizvàh raccontando la storia dell’uscita dall’Egitto ai commensali o perfino a se stesso. Quando la Toràh dice “La racconterai a tuo figlio”, si riferisce al modo migliore di compiere la mizvàh, il livello base si compie anche raccontandola a se stessi. Per questo motivo non è strettamente necessario passare la sera del Seder con i propri genitori. Infatti, in molti luoghi c’è l’uso che le coppie sposate passino al prima sera con i genitori da una parte e la seconda sera con i genitori dall’altra. Questo uso è accettabile perchè la mizvàh di raccontare dell’uscita dall’Egitto la sera di Pesach può essere compiuta (a livello inferiore) pur non raccontandola ai propri figli.
Riassumendo: l’obbligo principale di raccontare la storia dell’uscita dall’Egitto consiste nel raccontarla ai propri figli, di conseguenza i bambini dovrebbero sedere accanto ai genitori la sera del Seder. In ogni caso, la mizvàh può essere compiuta anche raccontando dell’uscita dall’Egitto a se stessi e non ai propri figli.

Shabbat shalom!