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Newsletter: Acharè Mot, Kedoshim


La Parashàh… in brevissima!

Nella Parashàh di Acharè Mot si parla del servizio di Yom Kippur in cui il Cohen Gadol tirava a sorte due capre – una da sacrificare, l’altra doveva essere portata in un luogo chiamato “Azazel” dopo che il Cohen Gadol aveva confessato sulla sua testa i peccati di tutto il popolo.
La capra che veniva mandata all’Azazel, portava via simbolicamente tutti i peccati del popolo.
La Toràh poi procede descrivendo alcuni rapporti proibiti – con chi è vietato sposarsi o avere relazioni.
La Parashàh di Kedoshim fa appello al popolo ebraico di essere santo. Prosegue poi con le “istruzioni spirituali” per come arrivare ad essere santi e vicini ad HaShem. All’interno di questa Parashàh troviamo il segreto e la ricetta per la continuità ebraica. Se qualsiasi gruppo di persone vuole sopravvivere come etnia, deve avere valori e scopi comuni. Analizzando questa Parashàh possiamo apprendere molto riguardo al nostro futuro come singoli e come nazione.

Dvar Toràh

basato su “Growth throught Toràh” di Rav Zelig Pliskin

La Toràh afferma:
“Voi seguirete i Miei precetti e osserverete i Miei decreti per procedere con essi” (Vaikrà 18:4)
Cosa significa “procedere con essi”?
Il Ctav Sofer, un famoso Rav ungherese, ha spiegato che le parole “procedere con essi” significano che una persona deve “procedere” da un livello all’altro. Una persona deve crescere ed elevarsi in modo costante.
Non è sufficiente restare allo stesso livello del giorno precedente. Ogni giorno bisogna arrampicarsi più in alto del giorno precedente. Quando la vita ci sorprende con una nuova prova difficile, possiamo non apprezzarla, ma l’unico modo per elevarsi è quello di superare sempre nuove prove. Dobbiamo guardare a ogni prova come a un’occasione per elevarsi applicando gli appropriati principi della Toràh. Al termino di ogni giorno dobbiamo chiederci: “Cosa ho fatto oggi per elevarmi un po’ più in alto?”
Se non hai la risposta devi chiederti: “Cosa posso fare domani per elevarmi?”

 

Sefirat HaOmer – si può uscire d’obbligo sentendo il conteggio del Chazan?

I Rishonim (autorità alachike medioevali) hanno dibattuto il tema se una persona può uscire dall’obbligo del conteggio dell’Omer ascoltando il Chazan. Il famoso principio alachiko dello “shomea keonè” stabilisce che una persona può uscire dall’obbligo di recitare un certo testo, sentendo la recitazione di qualcun altro. A patto che entrambe le parti – la persona che recita il testo e colui che ascolta – abbiano in mente che chi ascolta esce d’obbligo sentendo la recitazione. Allo stesso modo quindi, se quando il Chazan conta l’Omer ha in mente di fare uscire dall’obbligo coloro che ascoltano, chi vuole compiere la mizvàh ascoltando il Chazan, può farlo.
Alcuni Rishonim però, sostenevano che la mizvàh di contare l’Omer costituisce un’eccezione rispetto alla regola di “shomea keonè”. La Toràh ci parla dell’obbligo di contare l’Omer con l’espressione: “Usfartem Lachem” (“E conterete per voi stessi” – Vaikrà 23:15) riferendosi quindi a un obbligo personale, così come la mizvàh del Lulav durante Sukkot. Se così, ognuno deve contare l’Omer singolarmente, così come ognuno deve prendersi un Lulav. Le parole “Lachem” (“Per voi stessi”) riportate dal verso, indicano che ognuno deve contare per se stesso, e non uscire d’obbligo sentendo il conteggio di qualcun altro.
Altri Rishonim invece, sostengono che la parola “Lachem” significa qualcosa di completamente diverso. Avremmo potuto pensare che la mizvàh di contare l’Omer ricada solo sul Bet Din, che dovrebbe contare i giorni fino a Shavuot per conto degli altri Benè Israel. La parola “Lachem” è stata quindi aggiunta per indicare che ogni persona ha questo obbligo. Anche secondo questa opinione però, il principio di “Shomea KeOnè” non è applicabile.
Alla luce di questo dibattito, è bene che ognuno conti l’Omer singolarmente, anziché uscire d’obbligo con il conteggio del Chazan. Bisogna sottolineare che il Chazan conta ad alta voce non per far uscire d’obbligo i presenti, ma per rendere noto a tutti di  quale giorno dell’Omer sia. È molto interessante che l’uso della comunità egiziana era quello che il pubblico recitasse il conteggio dell’Omer prima del Chazan, così da evitare equivoci sull’uscire dall’obbligocon il conteggio del Chazan. Questo uso è stato cambiato però, perché le persone sbagliavano spesso a contare il giorno. In ogni caso, bisogna fare attenzione a contare l’Omer personalmente e non uscire d’obbligo col conteggio del Chazan.
Riassumendo: bisogna contare l’Omer personalmente, il Chazan abitualmente conta l’Omer ad alta voce per informare i presenti di quale giorno debbano contare e non per farli uscire d’obbligo con il suo conteggio.

Shabbat shalom!!
  

Newsletter: Parashat Kedoshim 5771

Dvar Torà
basato su “Growth Through Torah” di rav Zelig Pliskin


La Torà afferma:
“Ama il tuo prossimo come te stesso, Io sono il Signore.” (Vaikrà 19:18)
Come possiamo metterlo in pratica?
Il Talmud (Shabbat 31a) racconta la storia di un non ebreo che va dal grande saggio Hillel dicendo: “Convertimi alla condizione che mi insegnerai tutta la Torà su un solo piede.” Hillel accetta la condizione e gli dice, “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te. Questa è tutta la Torà.”
Dal momento che Hillel si stava riferendo al comandamento di amare il prossimo come se stessi, perché non ha semplicemente citato il verso?
Rav Yerucham Levoviz spiega che così facendo ci insegna una grande lezione. Dalle parole “ama il tuo prossimo” potremmo pensare che dal momento che si prova un sentimento d’amore nei confronti degli altri si sta compiendo questa mizvà. In realtà, il fatto di provare amore e basta non è sufficiente. Questo amore deve motivarci a compiere azioni positive per gli altri  e a impedirci dal compiere qualsiasi azione che possa causare agli altri pena o sofferenza.
Non c’è dubbio che la Torà ci richieda di provare amore profondo nei confronti degli altri, ma non solo, il nostro comportamento nei confronti degli altri deve manifestare questo amore. È per questo che Hillel ha spiegato a quell’uomo che lo stesso comandamento secondo cui dobbiamo provare amore nei confronti degli altri ci richiede anche di comportarci in modo elevato nei nostri rapporti interpersonali di tutti i giorni.

 

…a proposito della sefirat haomer: il periodo della sefirà – recitare la berachà di shecheianu, comprare abiti nuovi, trasferirsi in una nuova casa, rimodernare e celebrare una festa di fidanzamento.

Durante il periodo della sefirat haomer ci asteniamo dal compiere manifestazioni di gioia in ricordo della tragica morte dei 24.000 discepoli di Rabbi Akiva accaduta proprio in questo lasso di tempo. Nello Shulchan Aruch è riportato che non si celebrano matrimoni e tagliano i capelli in queste settimane. Il Maghen Avraham (commento allo Shulchan Aruch di Rav Avraham Gombiner, Polonia, 1637-1683) aggiunge inoltre la proibizione di ascoltare musica.
La domanda è se bisogna astenersi da altri tipi di azioni che implicano gioia. Per esempio, durante il periodo di ben hamezarim – le tre settimane fra il 17 di Tamuz e il 9 di Av – è proibito recitare la berachà di shecheianu. Questa berachà è recitata in occasioni gioiose – come per esempio mangiare un nuovo frutto di stagione o indossare un abito nuovo – e attraverso di essa esprimiamo la nostra gratitudine ad HaShem per averci dato questa occasione gioiosa. Questa espressione di contentezza è incompatibile con il periodo di ben hamezarim, durante il quale numerose calamità si sono abbattute sul popolo ebraico. Bisogna estendere questo concetto anche al periodo della sefirat haomer, che anch’esso rappresenta un periodo di grande tragedia, e vietare di entrare in situazioni in cui sia necessario recitare la ebrachà di shecheianu?
Il Ben Ish Chai (Rav Yosef Chaim di Bagdad, 1833-1909) nella sua opera Or HaChaim opera una distinzione fondamentale fra il periodo di ben hamezarim e quello della sefirat haomer. Come abbiamo purtroppo visto, il periodo di ben hamezarim è intrinsecamente  designato come un tempo di sventura; è definito come tempo di tragedia ed è quindi inappropriato recitare la gioiosa berachà di shecheianu durante questo periodo. Il periodo della sefirat haomer invece è un momento molto propizio. Tanto che il Rambam nel suo commento alla Torà (parashat Emor) parla di queste settimane come una sorta di chol hamoed fra le due feste di pesach e shavuot. Anche lo Zoar descrive il periodo della sefirà in questi termini. Anche se si è verificata la morte dei discepoli di Rabbì Akiva, questa calamità non caratterizza questo periodo come un tempo di disgrazia. Pertanto, anche se dobbiamo astenerci da alcune forme di gioia, non c’è bisogno di andare oltre il celebrare matrimoni, tagliarsi i capelli e ascoltare musica. Tutte le altre espressioni di gioia sono permesse, anche quelle proibite durante il periodo di ben hamezarim, come per esempio recitare la berachà di shecheianu. Questa è l’opinione di alcune autorità tra cui lo Yafè LaLev e il Pachad Izchak. Il chacham Ben Zion Abba Shaul (Israele, 1924-1998) anche segue questa posizione nella sua opera Or LeZion (vol. 3).
Allo stesso modo, il Chacham Ben Zion dice che è possibile acquistare un abito nuovo nel periodo della sefirat haomer, nonostante la gioia che questo può causare alla persona. Allo stesso modo il Chacham Ovadia Yosef (Chazon Ovadià – Regole di Yom Tov, p. 74) dice che ci si può trasferire in una nuova casa durante la sefirà o rimodernare la casa. Questo include allargarla, rimbiancarla o riammobiliarla. Si può anche organizzare una festa di chanukkat habait (inaugurazione della casa) in onore del trasferimento nella nuova casa, così come sono permesse feste di fidanzamento, purchè non ci sia musica.
Riassumendo: Durante il periodo della sefirà ci asteniamo dal celebrare matrimoni, ascoltare musica e tagliarci i capelli. Si può, tuttavia, acquistare un nuovo abito, recitare la berachà di shecheianu, trasferirsi in una nuova casa, rimodernare la casa e organizzare una festa (senza musica) in onore di un fidanzamento o di una nuova casa.
Shabbat shalom umevorach!