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Dvar Torà

Basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

La Toràh afferma che durante la piaga della grandine, il faraone ha detto a Moshè:
“Pregate HaShem, basta con i terribili tuoni del Signore e con la grandine! Vi manderò via senza che dobbiate ancora indugiare.” (Shemot 9:28)
Rabbi Yeruchem Levoviz spiega che “il faraone intendeva sinceramente dire ciò che ha detto quando l’ha detto. Non stava imbrogliando. Influenzato dalla sofferenza causata dalla piaga, era cambiato enormemente. Però, terminata la piaga, si è completamente dimenticato delle sue buone intenzioni.
Questa è la tendenza delle persone. Quando si soffre e si è sotto pressione, si possono avere degli ideali molto forti e si possono fare promesse oltre ogni limite. Quando la situazione migliora si è completamente differenti e difficilmente si riesce a capire che quella persona è la stessa che ha promesso tutti quei cambiamenti mentre soffriva.”
Quando ti trovi in una situazione difficile e prendi delle decisioni per migliorarti, ricordati di tali decisioni quando le cose migliorano. Fai uno sforzo per riuscire a crescere imparando dalle situazioni difficili, ricordandoti quello che hai pensato e mantenendo ciò che ti sei ripromesso.
Riadattamento del link: http://www.aish.com/tp/

Mangiare un pasto festivo la vigilia di shabbat

È vietato mangiare un pasto abbondante la vigilia di shabbat, dalla mattina fino all’inizio dello shabbat. Si sta parlando di un pasto abbondante che solitamente non si mangia in un giorno ordinario della settimana, ad eccezione di qualche occasione speciale. Si può certamente mangiare un pasto normale, qualcosa chesi mangia ordinariamente durante il resto della settimana.
Ci sono una serie di eccezioni a questa regola. Il Chacham Ovadia Yosef stabilisce che si può organizzare un grande pasto festivo per celebrare un brit milà o un pidion haben (riscatto del primogenito o scompro). Questo vale perfino nel caso in cui la milà sia stata rimandata dopo l’ottavo giorno o il pidion sia stato rimandato dopo il trentesimo giorno dalla nascita del bambino. Anche se questi eventi hanno luogo in modo posticipato rispetto a quello che sarebbe il tempo ottimale, meritano grandi festeggiamenti che sovrastano il divieto di mangiare un pasto più abbondante del solito la vigilia di shabbat kodesh. Il Chacham Ovadia aggiunge però, che in questi casi, i pasti devono avere luogo prima del mezzogiorno alachico, per dimostrare onore allo shabbat. [N.d.R. per gli orari vedi http://www.torah.it/lunario/orari/ ]
Anche i festeggiamenti per un bar mizva possono avere luogo il venerdì mattina. Lo Zohar Chadash enfatizza l’importanza di organizzare una festa (ovviamente che segua i criteri ebraici sotto tutti i punti di vista, dalla kasherut alla zniut delle persone che partecipano), per sottolineare l’importanza del bar mizva, e paragona il pasto che si mangia per festeggiare il bar mizva a quello del matrimonio. Se il tredicesimo compleanno del ragazzo cade la vigilia di shabbat, e i genitori vogliono festeggiare quel giorno, possono organizzare un grande banchetto il venerdì mattina. Bisogna sottolineare che il tutto dovrebbe essere organizzato la mattina, prima del mezzogiorno alachico.
Il Chacham Ovadia scrive che se una persona termina una Massechet (trattato talmudico) di venerdì, e vuole organizzare un grande sium massechet (pasto festivo di mizva in cui si celebra l’evento della conclusione della massechet) dovrebbe rimandarlo fino all’uscita di shabbat. Anche se è sicuramente importante celebrare il completamento di una massechet, se si ha in mente di organizzare un grande pasto festivo per onorare l’occasione, non bisogna programmarel’evento la vigilia di shabbat – ma bisogna rimandarlo all’uscita di shabbat o alla domenica.

Riassumendo: è proibito mangiare un pasto festivo e abbondante, che solitamente non si mangia durante la settimana, la vigilia di shabbat. Un brit mila, un pidion haben o un bar mizva costituiscono un’eccezione a questa regola. In questi casi si può organizzare un pasto festivo perfino la vigilia di shabbat, che dovrebbe preferibilmente terminare entro il mezzogiorno alachico. Un grande pasto festivo per celebrare il completamento di una massechet non deve essere organizzato di venerdì.


Shabbat shalom!!
  

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La parashà di Shemot… in brevissima!

Nella parashà di questa settimana si parla degli ebrei che diventano prominenti e numerosi. Sale un nuovo re in Egitto “che non aveva conosciuto Josef” (o meglio: che ha scelto di non conoscerlo non avendo nessuna gratitudine per quello che ha fatto). Il faraone decreta la schiavitù per il Popolo Ebraico.
Moshè nasce e viene immediatamente nascosto a causa del decreto secondo cui tutti i neonati maschi ebrei devono essere uccisi. Moshè è salvato dalla figlia del faraone, cresce nel palazzo reale, esce fuori per rendersi conto della situazione dei suoi fratelli ebrei. Uccide un egiziano che stava colpendo un ebreo, scappa a Midian. Diventa un pastore, e poi HaShem gli comanda, nell’episodio del roveto ardente, di portare gli ebrei fuori dall’Egitto. Moshè torna in Egitto, parla al faraone che si rifiuta di dare il permesso di liberare gli ebrei. HaShem dice “Ora inizierai a vedere cosa farò al faraone!”

 

Dvar Torà

Basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

Quando L’Onnipotente dice a Moshè che lui sarà il leader che parlerà con il faraone per chiedere la liberazione del popolo ebraico, Moshè risponde:
"Per favore mio Signore, manda qualcun altro.” (Shemot 4:13)
Perché Moshè tenta di evitare l’incarico?
Il Ramban, Rabbi Moshè ben Nachman, spiega che Moshè chiede di mandare qualcun altro perché pensa che qualsiasi altra persona al mondo sia migliore di lui per svolgere questo incarico.
A prima vista sembra sconcertante. Come può Moshè considerarsi indegno? Rabbi Chaim di Vologin spiega che per quanto una persona sia intelligente e saggia e abbia ottenuto molto, potrebbe non essersi impegnata quanto avrebbe potuto. Con il suo talento avrebbe potuto ottenere molto di più se solo si fosse sforzata. D’altro canto, una persona che sembra essere molto modesta, forse si sta impegnando al massimo. La persona modesta è riuscita a raggiungere il suo potenziale, l’altra è ben lontana dall’esserci riuscita.
Per questo motivo Moshè si sente inadatto. Nella sua umiltà ha pensato di essere ben lontano dall’essere riuscito a raggiungere il suo potenziale, meno di chiunque altro.
Questa è una lezione per due tipi di persone. Coloro che si sentono arroganti e presuntuosi per il loro grande intelletto e per ciò che sono riusciti a raggiungere, dovrebbero essere consapevoli del fatto che forse avrebbero potuto fare di più sfruttando meglio il proprio potenziale. Per lo stesso identico motivo, coloro che provano duramente ad agire in modo elevato, sforzandosi ampiamente, non devono essere invidiosi o scoraggiati quando vedono che gli altri sembrano apparentemente ottenere più di quanto non abbiano fatto loro.

 

Parlare prima di bere il vino del kiddush

Quando una persona recita il kiddush del venerdì sera, per conto di tutti i presenti a tavola, coloro che ascoltano devono avere in mente di uscire d’obbligo con le berachot di colui che recita il kiddush – le berachot di “borè perì haghefen” per il vino e quella per il kiddush. Avendo questa intenzione sono considerati come se essi stessi abbiano personalmente recitato le berachot.
Come sappiamo, c’è l’uso che chi recita il kiddush passa poi il bicchiere a tutti gli altri così che possano bere il vino del kiddush. Coloro che sono a tavola, non possono parlare prima di aver bevuto il vino, così come una persona che recita una berachà su un cibo o una bibita non può parlare prima di aver mangiato o bevuto. Come abbiamo detto chi sente la berachà è considerato come se lui stesso l’abbia recitata, quindi anche lui non può parlare fino a dopo aver bevuto il vino, così come chi recita la berachà non può parlare prima di aver bevuto.

Questo vale non solo per il venerdì sera, ma ogni qualvolta una persona compie l’obbligo di recitare una berachà per un cibo o una bevanda, ascoltando la berachà di qualcun altro. Se per esempio due persone vanno a bersi qualcosa insieme, e uno decide di ascoltare la berachà dell’altro anziché recitare la berachà lui stesso, questa persona non deve parlare daquando comincia ad ascoltare la berachà fino a che non beve.
La domanda è: se una persona ha parlato prima di bere il vino del kiddush, deve rifare la berachà? Spesso capita che le persone si dimentichino l’alachà e parlino dopo il kiddush prima di bere il vino. Possono appoggiarsi sulla berachà che hanno sentito o devono recitare una berachà per conto proprio?
Molti rishonim (autorità alachike medievali), fra cui il Rosh (Rabbenu Asher Ben Yechiel, Germania – Spagna, 1250-1327) e il Mordechai (Rabbì Mordechai HaCohen Ashkenazi, Germania, 1240- 1298), sostengono che bisogna recitare una berachà in questo caso. Secondo questo punto di vista, parlare fra la berachà è l’atto di bere, compromette la validità della berachà, richiedendo di conseguenza la recitazione di una nuova berachà. Questa sembra essere l’opinione accettata dal Bet Yosef (Orach Chaim, 167). Però, il Ramà (Rabbì Moshè Iserless, Polonia, 1525-1572) cita l’opinione del Rokeach (Rabbi Eleazar di Worms, Germania, 1160-1237) che dice che ci si può appoggiare sulla berachà ascoltata, perfino se si è parlato nel mezzo. Secondo questa posizione, a condizione che chi abbia recitato il kiddush abbia bevuto il vino senza parlare nel mezzo, gli altri possono appoggiarsi sulla sua berachà nonostante abbiano parlato.
Per stabilire l’alachà, dobbiamo ricordarci della famosa regola secondo cui “safek berachot leachel” ossia che non si recita una berachà se c’è il dubbio che non sia necessaria. Nel caso in questione, quindi, si può bere il vino senza ripetere la berachà. Bisogna però sottolineare, che questo si applica solo “bediavad” (a posteriori), nel caso in cui si abbia parlato per errore. La cosa migliore è comunque stare attenti a non parlare dopo aver sentito il kiddush prima di bere il vino.
Riassumendo: dopo aver recitato il kiddush, chi lo ha ascoltato non deve parlare fino a che non abbia bevuto. Se, però, qualcuno ha parlato nel mezzo, può bere senza recitare la berachà, a condizione che chi ha recitato il kiddush abbia bevuto senza parlare nel mezzo.

Shabbat shalom!!
  

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Speciale Chanukàh!

La Mizvàh di accendere le nerot Chanukàh

1- L’importanza della Mizvàh. E’ necessario stare molto attenti alla מצוה mizvàh ~ precetto dell’accensione delle nerot ~ lumi di Chanukàh (Shulchan ‘arukh Orach Chajim 671:1). Questa mizvàh è molto cara sia per “pubblicizzare” il miracolo che ci è avvenuto, sia come modo per ringraziare e glorificare HaShem per ciò che ha fatto. Su questa mizvàh (e su quella dell’accensione delle candele di Shabbat) i חכמים chakhamim ~ saggi hanno detto (in Massekhet Shabbat 23 ‘amud bet) “Chi è attento nell’applicazione dell’accensione delle nerot ~  lumi meriterà dei figli Talmidè Chakhamim, com’è detto (Mishlè 6, 23) כי נר מצוה ותורה אור Ki Ner Mizvàh VeToràh Or” ~Poiché il lume è una Mizvàh e la Toràh è luce” (Mishnàh Beruràh 671:1, Torat HaMo’adim 3 1:2).
2. Persino un povero. Persino un povero che si mantiene dalla צדקה tzedaqàh ~ offerte deve impegnarsi nel modo in cui può per accendere almeno un ner ~ lume ogni sera di Chanukàh (Shulchan ‘arukh Orach Chajim 671:1, Mishnàh Beruràh 671:3). Per questo motivo è necessario che chi amministra la tzedaqàh locale, dando il necessario ai poveri, stia attento a dare assieme alle altre necessità anche una quantità di lumi sufficienti per accendere almeno un lume ogni sera (che come vedremo Be”H tra poco è il minimo per compiere la Mizvàh) (Torat HaMo’adim 1:3).
& Perché Chanukàh si chiama Chanukàh?

Una domanda molto basilare a cui possono darsi moltissime risposte: perché חנוכה Chanukàh si chiama Chanukàh?
חנו (ב)כ"ה La parola חנוכה Chanukàh è composta da due parole: (1) חנו Chanu ~ si sono accampati, cioè fermati dalla guerra, (2) il כ"ה Kaf Hè, cioè il 25 del mese di Kislev. La parola Chanukàh è quindi un remez ~ riferimento al fatto che la vittoria dei Maccabei sui greci è avvenuta il 25 di Kislev. (Machazor Vitri 239 pag. 23, e così scrive il romano Shibbolè HaLeqet (Siman 189))
Acronimo di ח' נרות והלכה כבית הלל Chet (ottava lettera dell’alfabeto ebraico, che sta ad indicare il numero otto, quindi Shemonàh) Nerot ~ otto lumi e la Halakhàh è come Bet Hillel (nel senso che seguiamo la sua opinione per accendere i lumi, aggiungendo un nuovo lume ogni sera – cfr. Shabbat 21 ‘amud bet) (Rabbenu David Avudraham ז"ל Seder Tefillat Chanukàh)
חנוכת המזבח Chanukat HaMizbeach. Il 25 di kislev i Chashmonaim (conosciuti anche come maccabei)hanno ripulito il Bet haMiqdash dalle impurità ed hanno risistemato il מזבח Mizbeach ~ l’altare. In occasione dell’evento hanno effettuato un’inaugurazione dell’altare chiamata “chanukat HaMizbeach”. (Or Zaru’a Vol 2:321)
Quante nerot ~ lumi accendere?
3. Quante nerot ~ lumi bisogna accendere durante Chanukàh? Questa mizvàh in particolare differisce da tutte le altre, perché ha vari livelli di applicazione, di cui vedremo Be”H i due principali:

1. עקר הדיןIqqar HaDin ~ La regola stretta. E’ sufficiente accendere un solo נר ner ~ lume di Chanukàh per sera in ogni casa ebraica, sia che ci siano molti componenti che pochi. Solitamente questo genere di applicazione è quello che utilizzano i poveri che non possono permettersi di più. (Shulchan ‘arukh Orach Chajim 671:1, Mishnàh Beruràh 671:4)
2. Mehadderin Min HaMehadderin. Il Modo migliore per compiere la Mizvàh (e così è l’uso comune diffuso in tutto il popolo d’Israel) è quello di accendere un numero di נרות Nerot ~ lumi pari al giorno di Chanukàh in cui si è giunti. La prima sera quindi si accende un solo lume (oltre allo Shammash di cui parleremo Be’ezrat HaShem in seguito – vedi la fine del capitolo), la seconda sera si accendono due lumi fino ad arrivare all’ottava sera in cui si accendono otto lumi. [Per chi deve accendere vedi successivamente] (Shulchan ‘arukh Orach Chajim 671:2)

4- Ci sono due usi principali sull’accensione delle נרות Nerot ~ lumi di Chanukàh:
1. Una sola persona accende tutte le נרות Nerot ~ lumi. Solitamente il capofamiglia se presente, o comunque un adulto (un uomo che abbia compiuto almeno 13 anni e un giorno, una donna che abbia compiuto almeno 12 anni e un giorno). Tutti gli altri escono dall’obbligo della mizvàh attraverso la sua accensione. (Shulchan ‘arukh Orach Chajim 671:2, Torat HaMo’adim 3 1:4). Così è l’uso diffuso tra i sefarditi in base allo Shulchan ‘arukh, e così mi hanno detto essere l’uso romano.
2. Ogni componente della casa accende una sua chanukiàh. Così riporta il Ramà (Rabbenu Moshèh Isserlis ז"לOrach Chajim 671:2) come uso diffuso presso gli ashkenaziti. (Sulle donne rispetto a questo uso vedi “Chi deve accendere”). In tal caso è necessario che ogni persona che accende metta le sue נרות Nerot ~ lumi in unluogo in cui il numero di nerot ~  lumi accese sia riconoscibile anche da lontano. (Ramà Orach Chajim 671:2) (vedi inoltre pag.47 del libro)
[Tratto dal libro in italiano “Chanukàh—Istruzioni per l’Uso “ di Aharon Braha הי“ו, gentilmente concesso dall’autore.]
Shabbat shalom!
  

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Dvar Torà
basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

La Toràh afferma:
"E Jaacov risiedette..." (Bereshit 37:1).
Rashi, il grande commentatore, cita i saggi che dicono che Jaacov voleva vivere in pace e serenità. Però non è stato così. Iniziano a quel punto i problemi con il figlio Josef. L’Onnipotente ha detto “Non basta agli giusti ricevere la loro ricompensa nel mondo futuro? Perché hanno bisogno di vivere serenamente anche in questo mondo?”
Che male c’è a voler vivere in serenità? Jaacov voleva essere sereno non per fare il suo comodo, ma per poter essere in grado di crescere spiritualmente.
Rav Yerucham Levoviz spiega che lo scopo di questo mondo è quello di elevarsi superando i numerosi test a cui siamo sottoposti giorno dopo giorno. Lo scopo è quello di crescere spiritualmente da ogni situazione. Per questo non è considerato adatto il fatto che Jaacov abbia posto l’attenzione sulla serenità.
Questo, dice Rav Yeruchem, è un comportamento che dovremmo tutti interiorizzare. Tutto quello che ci accade in questo mondo può farci diventare delle persone migliori. Quando si ha questa consapevolezza, tutto quello che capita nella vita può essere visto sotto una luce positiva. Prima, dopo e durante ogni avvenimento bisogna riflettere sul nostro comportamento e le nostre reazioni. Chiediti: “Che tipo di persona sono dopo quello che è successo? Come sono andato in questo test? Sono riuscito a passarlo in un modo positivo?”

La ricompensa per l’accensione dei lumi

La Ghemarà in massechet shabbat  (23b) dice che Rav Huna passava spesso fuori la casa di Rabbi Avin, e notava che molte candele erano accese in casa sua. Rav Huna dichiara che due grandi talmidè chachamim usciranno da Rabbì Avin, e quello che ha detto si è successivamente avverato. Allo stesso modo la ghemarà riporta che  Rav Chisda passava spesso fuori la casa di Rav Shizvi e notava che molte candele erano accese nella casa. Anche Rav Chisda dichiara che un grande talmid chacham uscirà da Rav Shizbeh.
I saggi insegnano che “chi è abituato a[d accendere] candele avrà figli talmidè chachamim”. Questo significa che la ricompensa dell’osservanza meticolosa dell’accensione dei lumi di shabbat e dei lumi di chanukàh, è quella di avere figli che saranno talmidè chachamim. Così, quando Rav Huna e Rav Chisda hanno visto delle case che osservavano queste mizvot meticolosamente, si sono resi conto che da case del genere usciranno figli talmidè chachamim. Il Maarshà (Rabbi Shemuel Eliezer Eidels, Poland, 1555-1631) nota che Rav Huna prevede che emergeranno due talmidè chachamim dalla casa di Rav Avin. Spiega che Rav Avin era meticoloso sia nell’accensione dei lumi di chanukàh che nell’accensione dei lumi dello shabbat, perciò avrebbe meritato di avere due figli talmidè chachamim.
Questo dimostra l’importanza speciale di queste due mizvot, e la grande ricompensa che possiamo meritare compiendole meticolosamente. Questo vale in particolar modo nello shabbat che cade durante chanukkàh, quando abbiamo due mizvot collegate ai lumi – una spetta alla moglie (i lumi di shabbat) e una spetta al marito (i lumi di chanukkàh). Quando accendiamo i lumi di shabbat e i lumi di chanukkàh, abbiamo il dovere di assicurarci di accenderli nella giusta maniera: a tempo debito, con materiali adatti, con intenzioni adatte, così da poter meritare l’immensa ricompensa che è promessa per coloro che sono meticolosi nell’osservare queste mizvot.
Rav Chaim Brim nota che la ghemarà dice che la ricompensa per queste mizvot è quella diavere figli talmidè chachamim. Perché non dice che la ricompensa è quella che la persona stessa che accende diventerà talmid chacham? Questo dimostra che la vera gioia, la vera soddisfazione, è quella di vedere i propri figli eccellere nello studio e nell’osservanza della Toràh. Avere dei figli che diventino talmidè chachamim è una ricompensa molto più grande, e quindi la ghemarà parla dei figli.

Shabbat shalom!
  

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La parashà di Vaishlach… in brevissima!

Nel viaggio di ritorno a Canaan, Jaacov incontra suo fratello Esav; Jaacov lotta con l’angelo. Poi arrivano a Shechem, dove Shechem, il figlio di Chamor, violenta Dina, la figlia di Jaacov. I fratelli Shimon e Levi, uccidono gli uomini di Shechem. Rivkà muore. HaShem dà a Jaacov un altro nome: Israel e riconferma la berachà data ad Avraham secondo cui la terra di Canaan verrà data ai suoi discendenti. Rachel muore dopo aver partorito Beniamin. Sono elencati i 12 figli di Jaacov. Itzchak muore. Viene ricordata la genealogia di Esav.

Dvar Torà

Basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

La Toràh afferma:
 “E Esaù disse, ‘Ho molto’. E Giacobbe disse, ‘Ho tutto’.” (Bereshit 33:9,10,11)
Quale dei due fratelli è più ricco?
Il Chafetz Chaim commenta che con queste due osservazioni possiamo renderci conto della differente visione del mondo di Esav e Jaacov Avinu. Esav dice di avere molto. Anche se ha grandi quantità di beni, vorrebbe avere di più, per il principio secondo cui “chi ha cento vuole duecento”. Jaacov invece dice: “Ho tutto”. Non mi manca niente! Esav voleva ottenere sempre di più, mentre Jaacov era soddisfatto di quello che aveva.
Indipendentemente da quanto si ha, si vuole avere sempre di più. Avere la sensazione di non avere mai abbastanza, ti causerà una frustrazione costante. Se ti focalizzi su quello che ti manca, la tua vita sarà piena di frustrazione e ansia. La scelta è tua, tutto dipende da se vuoi essere veramente ricco o “povero” con molti averi!
Interiorizza l’atteggiamento di Jaacov: “Io ho tutto ciò che mi serve”. Nei Pirkè Avot (Le Massime dei Padri) ci viene insegnato, “Chi è ricco? Colui che è felice di quello che ha”. Se ti concentri su quello che hai sarai ricco effettivamente.
 Ovviamente hai il diritto di provare ad avere di più. Però, se non ci riesci, ti sentirai calmo e sereno. Se riesci ad avere di più, molto bene. Altrimenti è un segno che, per il tuo bene, non hai bisogno di qualcosa di più.

 

L’accensione delle candele di shabbat – l’uso di accendere due candele; accendere quando i genitori non sono in casa per shabbat

L’obbligo dell’Adlakat Nerot, l’accensione delle candele della vigilia dello shabbat, consiste nell’accendere almeno una candela, ma l’uso comune è quello di accenderne due. Il motivo più diffuso è perché le due candele corrispondono l’una al comandamento di “Zachor” e l’altra al comandamento di “Shamor” (“ricordare” e “osservare” lo shabbat).
Inoltre il Ben Ish Chai (Rav Yosef Chaim di Bagdad, 1833-1909) spiega che l’uso di accendere due candele è collegato a questioni di shalom bait (armonia famigliare), che è alla base della mitzvà dell’accensione delle candele. I Nostri Maestri spiegano che bisogna accendere le candele perché la presenza della luce in casa assicura la shalom bait (armonia famigliare), visto che il buio spesso può causare tensioni e liti chaz veshalom. I lumi devono essere accesi in casa prima dell’inizio dello shabbat, così che un “aurea di pace” e tranquillità pervada l’ambiente. Questo concetto è racchiuso nelle due candele che la donna accende. In ebraico candela si dice “ner”. Il valore numerico del termine corrisponde a 250, quindi, due candele hanno insieme il valore numerico di 500. Nel corpo di un uomo ci sono 248 “evarim” (membra e organi), e in quello della donna ce ne sono 252. Insieme arrivano a 500. Quindi l’accensione di due candele allude all’unità fra moglie e marito, che è espressa nel numero 500 e che costituisce il motivo fondamentale che è racchiuso dietro alla mitzvà dell’accensione delle candele dello shabbat.
Il momento dell’accensione delle candele è un “et ratzon” (momento propizio), in cui le preghiere della donna sono maggiormente accettate da HaShem. È bene quindi, che la donna quando accende le candele dedichi una preghiera per la shalom bait (l’armonia famigliare) e per altre questioni: affinché il marito abbia successo nello studio della Toràh, nel guadagnareil sostentamento per mantenere la famiglia, e per i figli, affinché seguano la strada della Toràh e delle mitzvot e anch’essi riescano nello studio della Toràh.
L’uso sefardita è che solo la madre accenda le candele di shabbat; le figlie non sposate no. Se la madre non è presente per shabbat, se per esempio ha partorito e si trova in ospedale, il marito accende al suo posto, recitando la solita berachà: “Leadlik Ner Shel Shabbat”. Se entrambi i genitori non sono presenti per shabbat e i figli rimangono a casa, e fra i figli c’è una figlia che ha superato letà del bat-mitzva, lei deve accendere le candele con la berachà. Il Chacham Ovadia Yosef stabilisce che una figlia che abbia superato l’età del bat-mitzvà ha la precedenza su di un figlio che ha superato l’età del bar-mitzva, perfino se il ragazzo è più grande della ragazza.
Se non ci sono figlie che abbiano superato l’età del bat-mitzvà, un figlio che abbia superato l’età del bar-mitzva deve accendere le candele con la berachà.
Ovviamente anche i genitori devono accendere le candele nel luogo in cui si trovano per shabbat. Ma se i figli restano a casa, un figlio o una figlia devono accendere le candele come riportato precedentemente.
Riassumendo: l’uso comune delle donne è quello di accendere due candele prima dell’entrata di shabbat. Questo momento è particolarmente propizio per pregare per shalom bait e per il benessere spirituale e materiale di tutta la famiglia. Se la madre non è in casa per shabbat, il marito accende al suo posto. Se entrambi i genitori non sono presenti, ma i figli restano in casa, allora le candele devono essere accese da una ragazza che abbia superato l’età del bat-mitzva. Se non ci sono ragazze di questa età, deve accendere un ragazzo che abbia superato l’età del bar-mitzva.

Shabbat shalom!
  

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La parashà di Vayezè… in brevissima!

Questa settimana la parashà parla delle prove e delle tribolazioni che deve affrontare Jaacov vivendo e lavorando per suo suocero Labano. Jaacov lavora sette anni come pastore per poter sposare la figlia di Labano Rachel, che viene invece sostituita con Leah.
Labano cambia di volta in volta gli accordi che aveva preso con Jaacov. Dopo venti anni, HaShem dice a Jaacov di tornare nella terra di Canaan. Jaacov e il suo casato lasciano segretamente la casa di Labano, che li insegue. La storia finisce in modo pacifico e benedizioni fra Jaacov e Labano.

 

Dvar Torà
basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

La Toràh afferma:
"Egli (Jaacov) fece un sogno: ecco una scala era poggiata a terra mentre la sua cima giungeva al cielo...”   (Bereshit 28:12).
Cosa possiamo imparare da questo sogno?
Il Chafetz Chaim, Rabbi Israel Meir Kagan, cita l’idea espressa da molti commentatori: la scala che ha visto Jaacov nel sogno, simboleggia la situazione di ogni singola persona in questo mondo. Ci sono due principali categorie di azioni che si possono fare su una scala: salire dal basso verso l’alto, oppure scendere dall’alto verso il basso. Ogni essere umano incontra nuove difficoltà tutti i giorni della sua vita. Se ha la forza di volontà e autodisciplina di superare queste difficoltà, si alzerà di livello spirituale. Se, però, la persona non riesce ad avere il giusto autocontrollo, si abbassa. Questo è il nostro compito quotidiano, salire sempre più in alto ogni giorno.
Stare fermi non è possibile. Quando c’è una nuova sfida, ci si può comportare in modo dariuscire ad elevarsi e crescere grazie ad essa, oppure non superarla. Bisogna imparare ad apprezzare le sfide quotidiane ch si incontrano. Ogni difficoltà ci dà la possibilità di elevarci. Ogni volta che si supera un impulso negativo ci si eleva come persone. Quando si sale una scale, ci si può accorgere dei progressi che si compiono ogni singolo gradino. Allo stesso modo si può fare con le vittorie quotidiane sugli impulsi negativi. Rendendosi conto dei propri progressi, si avrà la motivazione per continuare a crescere.
Quando vedi una “scala”, ricordati della scala di Jaacov e chiediti: “Sto salendo spiritualmente o sto scendendo?” Se a volte la rispsota è che stai scendendo, non disperare. Piuttosto fatti forza e ricomincia a salie dal punto in cui ti trovi.

 

Le alachot del venerdì sera: apparecchiare la tavola, recitare “Shalom Alechem” e coprire il pane.

È bene ricoprire la tavola con una tovaglia per i pasti di shabbat, al fine di onorare questo sacro giorno. Il Chacham Ovadia Yosef scrive che la tovaglia non deve necessariamente essere bianca.
Il venerdì sera c’è l’uso di cantare “shalom alechem”, quando si torna dal Bet HaKenesset (Sinagoga). Con questo inno diamo il benvenuto agli angeli che ci scortano a casa quando siamo di ritorno dalla Sinagoga il venerdì sera. La Ghemarà, in massechet Shabbat (119) scrive che una persona è accompagnata da due angeli quando torna a casa dopo essere stato al Bet HaKenesset il venerdì sera – un angelo buono alla sua destra, e uno ostile alla sua sinistra. Se la casa è in ordine e propriamente preparata per lo shabbat, l’angelo positivo dichiara: “Sia Sua volontà (di HaShem) che possa essere allo stesso modo la prossima settimana”. L’angelo ostile è obbligato a rispondere: “Amen”. Se però, la casa è in disordine e non preparata per lo shabbat, l’angelo ostile proclama: “Sia Sua volontà che possa essere allo stesso modo la prossima settimana”, e l’angelo positivo è costretto a rispondere: “Amen”.
Dopo aver cantato “Shalom Alechem” si canta “Eshet Chail”.
Il pane sul tavolo deve essere coperto durante il kiddush. Generalmente, quando si mangia pane e vino, secondo l’aalchà bisogna prima recitare la berachà sul pane e poi quella sul vino. Di shabbat però, non si può mangiare prima di aver recitato il kiddush, si deve quindi recitare prima la berachà sul vino prima di recitarla sul pane. Per non “imbarazzare” il pane, a cui di solito viene data la precedenza, lo si copre mentre si recita il kiddush. Inoltre, il fatto di coprirlo, ricorda la manna, il cibo miracoloso che cadeva dal cielo per alimentare i Figli D’Israele quando erano nel deserto. La manna era coperta sia sotto che sopra. Quindi, bisogna assicurarsi che il pane sia coperto sia sopra che sotto. La tovaglia o il portapane possono andare bene per coprire il pane inferiormente.

Shabbat shalom!