Newsletter: Parashat Reè 5771


La Parashà di Reè… in brevissima!

La parashà di questa settimana è molto piena. Comincia proponendoci una scelta: “Ho posto dinnanzi a te la benedizione e la maledizione. La benedizione: se obbedirai ai comandamenti di HaShem…; la maledizione se non lo farai e seguirai altri divinità.”
Continua poi con le regole e le leggi da seguire nella terra d’Israele, prevalentemente orientate a stare lontani da forme di idolatria e altre religioni presenti nella terra.
Una delle indicazioni dell’esistenza e della necessità della Torà Orale – una spiegazione e chiarificazione (più tardi redatta sottoforma di Talmud) della Torà Scritta (i Cinque Libri di Moshè) – si può dedurre dal verso 12 capitolo 21 “Dovrai shachtare gli animali secondo il modo in cui Io (HaShem) ho prescritto.” In nessuna parte della Torà scritta abbiamo ricevuto istruzioni su come effettuare la shechità. Di conseguenza si può trarre la conclusione che ci siano stati ulteriori insegnamenti (Torà Orale/Talmud) in cui la Torà scritta è stata chiarificata ed è stato ampliato ciò di cui si era parlato in Essa.
La fonte del concetto di “popolo prescelto” la troviamo in questa parashà: “Tu sei una nazione consacrata ad HaShem tuo D-o). HaShem ti ha scelto fra tutte le nazioni sulla faccia della terra per essere la Sua nazione speciale … (Devarim 14:1-2).” Siamo stati prescelti per avere la responsabilità e il privilegio di agire moralmente ed essere come un “faro tra le nazioni”.
Inoltre in questa parashà ci sono state fornite le istruzioni per quanto riguarda cibi permessi e proibiti, la decima, l’annullamento dei debiti ogni sette anni, come comportarsi nei confronti dei bisognosi (di trattarli in modo caloroso e di aprirgli la nostra mano), lo schiavo ebreo, i tre pellegrinaggi di Pesach, Shavuot e Sukkot).

Dvar Torà

Basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

La Torà afferma:
 “Vedi, oggi io pongo davanti a voi una benedizione e una maledizione: la benedizione a condizione che diate ascolto ai precetti dell’Eterno , il vostro Signore, che io vi ordino oggi;” (Deut, 11:26-27)

La prima parola del verso “Guarda” è scritta al singolare, nonostante Moshè si stia rivolgendo all’intero popolo. Cosa possiamo imparare da ciò?
 L’Iben Ezrà risponde a questa domanda e commenta, “Egli (Moshè) sta parlando ad ogni persona singolarmente”. Moshè inizia il suo discorso al singolare per dire ad ognuno di stare a sentire le sue parole come se stesse parlando a lui singolarmente.
Quando si ascoltano le derashot dei Rabbanim, è facile pensare: “Sta parlando a qualcun altro. Non devo prendere quello che dice sul serio poiché le sue parole non sono dirette a me.” Questo è un errore. Il modo per crescere è cercare di percepire le parole dell’oratore come se fossero direttamente rivolte a te. Solo così potrai prenderle sul serio.
Riadattamento del link: http://www.aish.com/tp/

 

I quattro gravi peccati che rendono più difficile il percorso verso la teshuvà.


Nel quarto capitolo dell’opera Hilchot Teshuvà, il Rambam (Rabbì Moshè Maiomonide, Spagna – Egitto 1135-1204) elenca ventiquattro fattori che possono interferire con il processo di teshuvà rendendo difficile guadagnarsi il perdono da parte di HaShem. I primi quattro, scrive, sono costituiti da peccati particolarmente gravi, per conto dei quali HaShem ritira l’aiuto che dà normalmente a coloro che decidono di fare teshuvà.
1) "Machtì Et Ha'rabim" – chi causa agli altri di peccare. Questo include situazioni in cui per esempio si organizza un grande evento in cui viene servito cibo non kasher, o si disturba qualcuno dal compiere una mizvà.
2) Convincere qualcuno a lasciare il sentiero dell’osservanza della Torà.
3) Non riprendere un figlio che inizia chas veshalom a lasciare il percorso dell’osservanza della Torà. Se il genitore ha la possibilità di influenzare il figlio in modo da evitare che si allontani dal mettere in pratica le mizvot, e non lo fa, questo può causare che (al genitore) sarà più difficile fare teshuvà. Il Rambam aggiunge che questo include qualsiasi caso in cui una persona sia in posizione di influenzare positivamente gli altri e non lo fa
4) "Ha'omer Echeta Ve'ashuv" – chi compie una trasgressione avendo l’intenzione di fare teshuvà in seguito. Se una persona commette un peccato contando sul fatto che verrà perdonato grazie alla teshuvà che farà in seguito e attraverso l’osservanza completa del giorno di Yom Kippur, allora questo peccato può interferire con il suo processo di teshuvà.
C’è da sottolineare che il Rambam non preclude la possibilità di fare teshuvà da parte di coloro che commettono questo genere di peccati; perfino in tali circostanze resta la possibilità di fare teshuvà. Piuttosto, parla qui di uno speciale supporto e assistenza che HaShem garantisce a coloro che commettono peccati, nel momento in cui decidono seriamente di fare teshuvà. Nei casi di cui abbiamo parlato però, la persona non potrà usufruire di questo aiuto speciale e potrà quindi incontrare una difficoltà considerevole nel fare teshuvà e nell’accettazione da parte di HaShem della sua teshuvà.

Shabbat shalom!

Newsletter: Parashat Ekev 5771


Parashat Ekev…in brevissima!

Moshè continua il suo discorso garantendo al popolo ebraico prosperità e salute se compiranno le mizvot. Ci ricorda di guardare la nostra storia e sapere che possiamo e dobbiamo avere fiducia in HaShem. Dobbiamo inoltre fare attenzione a non farci distrarre dai nostri successi materiali e chaz veshalom dimenticarci e ignorare HaShem.
Moshè ci mette in guardia nei confronti dell’idolatria (la definizione di idolatria è credere che qualsiasi cosa all’infuori di HaShem abbia potere) e l’autocompiacimento (“Non dire che a causa delle mie virtù HaShem mi ha fatto occupare questa terra … ma a causa della malvagità di queste nazioni che HaShem le sta cacciando via da davanti a te.”) Dopo di ciò Moshè descrive le ribellioni del popolo nei confronti di HaShem nei quarant’anni nel deserto e il fatto che ci siano state date le seconde tavole (Moshè ha rotto le prime tavole su cui erano riportati i dieci comandamenti a causa del peccato del vitello d’oro.)
La Parashà di questa settimana sfata un diffuso luogo comune. La gente pensa che “L’uomo non vive di solo pane” significa che una persona ha bisogno di ulteriore cibo oltre al pane per poter sopravvivere. La citazione per intero dice, “L’uomo non vive di solo pane … ma di tutto ciò che esce dalla bocca dell’Eterno” (Deut. 8:3)
La Torà poi risponde a una domanda che ogni essere umano si è posto: cosa vuole HaShem da me? “Soltanto di temere l’Eterno, il tuo Signore, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima; di rispettare in precetti dell’Eterno e i Suoi decreti che io oggi ti comando per il tuo bene” (Deut. 10:12).

Dvar Torà
basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

La Torà introduce le ricompense per coloro che osservano i comandamenti con questo verso:
"Se voi rispetterete con attenzione tutti questi precetti che Io vi ordino di mettere in pratica, di amare l’Eterno, il vostro Signore procedendo in tutte le Sue vie, di attaccarvi a Lui...." (Deut. 11:22).
Cosa significa attaccarsi all’onnipotente? HaShem non ha corpo o materia a cui attaccarsi.
Rabbi Meir SImchà HaCohen commenta che in questo verso è racchiuso il comandamento di avere fiducia nei confronti di HaKadosh Baruch Hu. Attaccarsi, attaccarsi all’Onnipotente, significa credere in Lui come un figlio di un Re che conta su suo padre. Suo padre lo ama e,essendo un Re, ha la possibilità di soddisfare ogni suo desiderio. Questo è il nostro rapporto con HaShem. Egli è nostro Re e nostro Padre. Noi dobbiamo sicuramente impegnarci, ma capire che se abbiamo successo in ciò che facciamo è in fin dei conti un dono da HaShem.
Attaccarsi ad HaShem significa vivere con questa consapevolezza. Il beneficio immediato di una persona che interiorizza questo concetto sarà una sensazione di pace interiore e serenità

 

 

Lo shofar come una sveglia

Nel terzo capitolo delle Hilchot Teshuvà (alachà 4) il Rambam (Rabbi Moshè Maimonide, Spagna-Egitto, 1135-1204) parla a proposito del significato simbolico della mizvà dello shofar. Scrive che, nonostante suonare lo shofar sia una “ghezerat hacatuv”, un comandamento della Torà come ogni altro, che dobbiamo compiere a prescindere da qualsiasi motivo razionale o irrazionale che gli si possa attribuire, questo rituale riveste inoltre una funzione simbolica importante. Dobbiamo considerare il suono dello shofar come una sorta di “sveglia” per “risvegliarci” dal nostro sonno spirituale, dalle nostre preoccupazioni legate a cose vane di questo mondo. Le persone hanno la tendenza a concentrare le proprie menti sul raggiungimento dei piaceri materiali anziché sulla “Avodat HaShem” – servire HaShem. Il suono dello shofar è quindi pensato per “risvegliarci” da questa mentalità e ricordarci che la Torà e le mizvot hanno la priorità più alta.
Un Rav ha notato che il modo in cui lo shofar è tenuto rinforza questo simbolismo. Il baal tokea (colui che suona lo shofar) tiene lo shofar con l’estremità più larga verso l’alto e quella più stretta verso il basso. Il fatto di posizionarlo in questo modo simboleggia che dovremmo guardare verso “terra” (le nostre occupazioni mondane) con l’estremità più stretta, essendo questioni di importanza secondaria. Verso il cielo invece, bisogna esporre la parte più ampia, rappresentando la nostra priorità più importante e al centro dei nostri pensieri. Lo shofar ci offre la possibilità di tornare a mettere al centro della nostra attenzione la Torà e le mizvot e di ricollocare le nostre occupazioni fisiche e materiali al secondo posto.
In questo contesto il Rambam menziona la diffusa pratica in molte comunità ebraiche di aumentare la zedakà, le tefillot e il compimento delle mizvot durante il periodo che và da Rosh haShanà a Yom Kippur. In particolare ci si sveglia la mattina presto per recitare le selichot per implorare il perdono da parte di HaShem. Essendo questo il periodo in cui siamo giudicati per il prossimo anno, raddoppiamo i nostri sforzi nel compiere le mizvot e aggiungiamo tefillot speciali sperando di assicurarci un giudizio favorevole per un anno di successo pieno di berachot e salute.

Shabbat shalom