Newsletter: Parashat Ekev 5771


Parashat Ekev…in brevissima!

Moshè continua il suo discorso garantendo al popolo ebraico prosperità e salute se compiranno le mizvot. Ci ricorda di guardare la nostra storia e sapere che possiamo e dobbiamo avere fiducia in HaShem. Dobbiamo inoltre fare attenzione a non farci distrarre dai nostri successi materiali e chaz veshalom dimenticarci e ignorare HaShem.
Moshè ci mette in guardia nei confronti dell’idolatria (la definizione di idolatria è credere che qualsiasi cosa all’infuori di HaShem abbia potere) e l’autocompiacimento (“Non dire che a causa delle mie virtù HaShem mi ha fatto occupare questa terra … ma a causa della malvagità di queste nazioni che HaShem le sta cacciando via da davanti a te.”) Dopo di ciò Moshè descrive le ribellioni del popolo nei confronti di HaShem nei quarant’anni nel deserto e il fatto che ci siano state date le seconde tavole (Moshè ha rotto le prime tavole su cui erano riportati i dieci comandamenti a causa del peccato del vitello d’oro.)
La Parashà di questa settimana sfata un diffuso luogo comune. La gente pensa che “L’uomo non vive di solo pane” significa che una persona ha bisogno di ulteriore cibo oltre al pane per poter sopravvivere. La citazione per intero dice, “L’uomo non vive di solo pane … ma di tutto ciò che esce dalla bocca dell’Eterno” (Deut. 8:3)
La Torà poi risponde a una domanda che ogni essere umano si è posto: cosa vuole HaShem da me? “Soltanto di temere l’Eterno, il tuo Signore, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima; di rispettare in precetti dell’Eterno e i Suoi decreti che io oggi ti comando per il tuo bene” (Deut. 10:12).

Dvar Torà
basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

La Torà introduce le ricompense per coloro che osservano i comandamenti con questo verso:
"Se voi rispetterete con attenzione tutti questi precetti che Io vi ordino di mettere in pratica, di amare l’Eterno, il vostro Signore procedendo in tutte le Sue vie, di attaccarvi a Lui...." (Deut. 11:22).
Cosa significa attaccarsi all’onnipotente? HaShem non ha corpo o materia a cui attaccarsi.
Rabbi Meir SImchà HaCohen commenta che in questo verso è racchiuso il comandamento di avere fiducia nei confronti di HaKadosh Baruch Hu. Attaccarsi, attaccarsi all’Onnipotente, significa credere in Lui come un figlio di un Re che conta su suo padre. Suo padre lo ama e,essendo un Re, ha la possibilità di soddisfare ogni suo desiderio. Questo è il nostro rapporto con HaShem. Egli è nostro Re e nostro Padre. Noi dobbiamo sicuramente impegnarci, ma capire che se abbiamo successo in ciò che facciamo è in fin dei conti un dono da HaShem.
Attaccarsi ad HaShem significa vivere con questa consapevolezza. Il beneficio immediato di una persona che interiorizza questo concetto sarà una sensazione di pace interiore e serenità

 

 

Lo shofar come una sveglia

Nel terzo capitolo delle Hilchot Teshuvà (alachà 4) il Rambam (Rabbi Moshè Maimonide, Spagna-Egitto, 1135-1204) parla a proposito del significato simbolico della mizvà dello shofar. Scrive che, nonostante suonare lo shofar sia una “ghezerat hacatuv”, un comandamento della Torà come ogni altro, che dobbiamo compiere a prescindere da qualsiasi motivo razionale o irrazionale che gli si possa attribuire, questo rituale riveste inoltre una funzione simbolica importante. Dobbiamo considerare il suono dello shofar come una sorta di “sveglia” per “risvegliarci” dal nostro sonno spirituale, dalle nostre preoccupazioni legate a cose vane di questo mondo. Le persone hanno la tendenza a concentrare le proprie menti sul raggiungimento dei piaceri materiali anziché sulla “Avodat HaShem” – servire HaShem. Il suono dello shofar è quindi pensato per “risvegliarci” da questa mentalità e ricordarci che la Torà e le mizvot hanno la priorità più alta.
Un Rav ha notato che il modo in cui lo shofar è tenuto rinforza questo simbolismo. Il baal tokea (colui che suona lo shofar) tiene lo shofar con l’estremità più larga verso l’alto e quella più stretta verso il basso. Il fatto di posizionarlo in questo modo simboleggia che dovremmo guardare verso “terra” (le nostre occupazioni mondane) con l’estremità più stretta, essendo questioni di importanza secondaria. Verso il cielo invece, bisogna esporre la parte più ampia, rappresentando la nostra priorità più importante e al centro dei nostri pensieri. Lo shofar ci offre la possibilità di tornare a mettere al centro della nostra attenzione la Torà e le mizvot e di ricollocare le nostre occupazioni fisiche e materiali al secondo posto.
In questo contesto il Rambam menziona la diffusa pratica in molte comunità ebraiche di aumentare la zedakà, le tefillot e il compimento delle mizvot durante il periodo che và da Rosh haShanà a Yom Kippur. In particolare ci si sveglia la mattina presto per recitare le selichot per implorare il perdono da parte di HaShem. Essendo questo il periodo in cui siamo giudicati per il prossimo anno, raddoppiamo i nostri sforzi nel compiere le mizvot e aggiungiamo tefillot speciali sperando di assicurarci un giudizio favorevole per un anno di successo pieno di berachot e salute.

Shabbat shalom

  

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