Parashat Vaetchannan – in brevissima…
Moshè implora HaShem di farlo entrare nella terra d’Israele, ma la richiesta viene respinta (ricordiamoci che HaShem risponde sempre alle nostre preghiere, a volte con un “si”, altre con un “no”, altre ancora con un “non ora”). Moshè comanda al popolo di non aggiungere e non sottrarre dalle parole della Torà e di rispettare tutti i comandamenti. Gli ricorda che HaShem non ha né forma né configurazione e che non devono farsi nessun tipo di idolo e adorarlo.
Le città di Bezer, Ramot e Golan sono designate come città rifugio alla riva est del Giordano. Un omicida involontario può rifugiarsi lì per evitare che i parenti della vittima si vendichino su di lui.
Sono ripetuti i dieci comandamenti. Moshè recita lo shemà proclamando l’unicità del Signore, che tutti devono amare e trasmettere i Suoi comandamenti alla generazione futura. Gli uomini devono indossare i tefillin del braccio e della testa. Tutti gli ebrei devono mettere la mezuzà sullo stipite di ogni porta della casa (eccetto il bagno).
Moshè poi ripete il comandamento di non fare matrimoni misti poiché questo allontanerà i figli da HaShem.
Dvar Torà
basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin
La Torà afferma:
"Oggi dunque devi riconoscere e riflettere in cuor tuo che l’Eterno è il Signore nei cieli in alto e sulla terra in basso, e che non vi è alcun altro." (Devarim 4:39).
Quale è l’essenza di questo verso?
Il Chafetz Chaim, Rav Israel Meir Kagan (qui a fianco in foto), usava sottolineare che questo verso ci dice che tutto quello che succede nelle nostre vite deriva da HaShem. Tutti i profitti e le perdite nella vita di una persona sono la conseguenza di quello che HaShem ha decretato per noi. Allo stesso modo, ogni dolore che si subisce, come quando qualcuno ci maledice o ci insulta, viene da HaShem per fare kapparà ~ espiazione per le nostre trasgressioni. La persona che maledice o che insulta è responsabile del fatto di commettere quella trasgressione, ma chi riceve sta ricevendo qualcosa che in fin dei conti è bene per lui.
Chi riesce a fare proprio questo concetto avrà la forza e il coraggio di non rispondere a chi lo insulta. Quando ci si lava le mani con acqua calda per rimuovere qualcosa di molto appiccicoso, fa male, ma ciò serve solo per ottenere come risultato quello di essere puliti.
Ci sono due fattori: (1) Avere la conoscenza a livello intellettuale che tutto quello che accade nelle nostre vite viene da HaShem. (2) Capirlo a livello emozionale e quindi metterlo in pratica in modo che questo concetto diventi parte di noi. Il nostro compito è quello di interiorizzare questo importante concetto che “Tutto viene da HaShem” ripetendolo a noi stessi più volte. Ogni volta che lo faremo avremo la possibilità di farlo diventare sempre più parte della nostra personalità e del nostro modo di agire.
Fare Teshuvà ogni giorno; pentirsi per le caratteristiche negative
Il Rambam (Rabbì Moshè Maimonide, Spagna - Egitto, 1135-12044) inizia il settimo capitolo del libro Ilchot Teshuvà enfatizzando l’importanza e il valore della Teshuvà. Dopo aver parlato nel capitolo precedente delle basi filosofiche del concetto di libero arbitrio, del fatto che HaShem non interferisce nella decisione umana di comportarsi appropriatamente o meno, il Maimonide scrive che bisogna esercitare il proprio libero arbitrio pentendosi delle cattive azioni. Ognuno ha la possibilità di migliorare il proprio comportamento e guadagnarsi così un posto nel Mondo Futuro, incita quindi ogni singolo individuo a fare teshuvà e correggere i propri difetti.
Nel passaggio seguente (alachà 2), il Rambam aggiunge che ognuno dovrebbe assicurarsi di pentirsi per le proprie cattive azioni ogni singolo giorno della vita. Nessuno sa quanto a lungo vivrà; non tutti ricevono il dono di longevità. Per questo non è saggio rimandare la teshuvà, pensando che quando si sarà raggiunta l’anzianità si avrà tempo per rettificare il proprio comportamento. La morte, lo alenu, può arrivare in qualsiasi momento, per questo dobbiamo assicurarci di pentirci immediatamente dopo aver compiuto una trasgressione, e “pulire il nostro conto” ogni giorno. A questo proposito il Rambam cita un verso dal Kohelet (9: 8), “In ogni momento le tue vesti siano bianche.” Ognuno dovrebbe fare in modo di essere “bianco” in ogni momento, ossia puro dai peccati, poiché ogni momento potrebbe essere l’ultimo chaz veshalom.
Nella terza alachà, il Rambam insegna che ci si deve pentire non solo per i peccati commessi, ma anche per le proprie caratteristiche negative. Il Rambam cita diverse tendenze per cui bisognerebbe pentirsi, fra cui la rabbia, la competitività, l’invidia, la brama di denaro o successo e l’ingordigia nel mangiare. Anche se queste tendenze non si trasformano necessariamente in cattive azioni, richiedono in ogni caso che si penta per esse. Infatti il Rambam aggiunge che pentirsi per delle qualità negative è più difficile che pentirsi a causa delle cattive azioni. A differenza di atti singoli, delle tendenze negative diventano una seconda natura e parte della propria personalità ed è particolarmente difficile sovrastarle. Bisogna quindi investire notevoli energie per rifinire il proprio carattere e liberarsi dei tratti negativi.
Inoltre i maestri del mussar ritengono che pentirsi per le caratteristiche negative sia la chiave del successo per fare teshuvà rispetto ad atti specifici. Virtualmente ogni peccato è il risultato diretto di “difetti” del proprio carattere. Perciò, ripulendo la propria personalità da tendenze negative, possiamo essere più sicuri di non compiere azioni vietate. Perciò, perfezionare il proprio carattere liberandosi delle qualità negative menzionate sopra costituisce la svolta del processo di teshuvà. Bisogna dedicargli quindi il giusto focus e attenzione per riuscire a fare una teshuvà vera e completa.
Shabbat shalom!
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