Newsletter: Parashat Vaetchannan 5771


Parashat Vaetchannan – in brevissima…

Moshè implora HaShem di farlo entrare nella terra d’Israele, ma la richiesta viene respinta (ricordiamoci che HaShem risponde sempre alle nostre preghiere, a volte con un “si”, altre con un “no”, altre ancora con un “non ora”). Moshè comanda al popolo di non aggiungere e non sottrarre dalle parole della Torà e di rispettare tutti i comandamenti. Gli ricorda che HaShem non ha né forma né configurazione e che non devono farsi nessun tipo di idolo e adorarlo.
Le città di Bezer, Ramot e Golan sono designate come città rifugio alla riva est del Giordano. Un omicida involontario può rifugiarsi lì per evitare che i parenti della vittima si vendichino su di lui.
Sono ripetuti i dieci comandamenti. Moshè recita lo shemà proclamando l’unicità del Signore, che tutti devono amare e trasmettere i Suoi comandamenti alla generazione futura. Gli uomini devono indossare i tefillin del braccio e della testa. Tutti gli ebrei devono mettere la mezuzà sullo stipite di ogni porta della casa (eccetto il bagno).
Moshè poi ripete il comandamento di non fare matrimoni misti poiché questo allontanerà i figli da HaShem.

Dvar Torà
basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

La Torà afferma:
 "Oggi dunque devi riconoscere e riflettere in cuor tuo che l’Eterno è il Signore nei cieli in alto e sulla terra in basso, e che non vi è alcun altro." (Devarim 4:39).
Quale è l’essenza di questo verso?
Il Chafetz Chaim, Rav Israel Meir Kagan (qui a fianco in foto), usava sottolineare che questo verso ci dice che tutto quello che succede nelle nostre vite deriva da HaShem. Tutti i profitti e le perdite nella vita di una persona sono la conseguenza di quello che HaShem ha decretato per noi. Allo stesso modo, ogni dolore che si subisce, come quando qualcuno ci maledice o ci insulta, viene da HaShem per fare kapparà ~ espiazione per le nostre trasgressioni. La persona che maledice o che insulta è responsabile del fatto di commettere quella trasgressione, ma chi riceve sta ricevendo qualcosa che in fin dei conti è bene per lui.
Chi riesce a fare proprio questo concetto avrà la forza e il coraggio di non rispondere a chi lo insulta. Quando ci si lava le mani con acqua calda per rimuovere qualcosa di molto appiccicoso, fa male, ma ciò serve solo per ottenere come risultato quello di essere puliti.
Ci sono due fattori: (1) Avere la conoscenza a livello intellettuale che tutto quello che accade nelle nostre vite viene da HaShem. (2) Capirlo a livello emozionale e quindi metterlo in pratica in modo che questo concetto diventi parte di noi. Il nostro compito è quello di interiorizzare questo importante concetto che “Tutto viene da HaShem” ripetendolo a noi stessi più volte. Ogni volta che lo faremo avremo la possibilità di farlo diventare sempre più parte della nostra personalità e del nostro modo di agire.

 

Fare Teshuvà ogni giorno; pentirsi per le caratteristiche negative

Il Rambam (Rabbì Moshè Maimonide, Spagna - Egitto, 1135-12044) inizia il settimo capitolo del libro Ilchot Teshuvà enfatizzando l’importanza e il valore della Teshuvà. Dopo aver parlato nel capitolo precedente delle basi filosofiche del concetto di libero arbitrio, del fatto che HaShem non interferisce nella decisione umana di comportarsi appropriatamente o meno, il Maimonide scrive che bisogna esercitare il proprio libero arbitrio pentendosi delle cattive azioni. Ognuno ha la possibilità di migliorare il proprio comportamento e guadagnarsi così un posto nel Mondo Futuro, incita quindi ogni singolo individuo a fare teshuvà e correggere i propri difetti.
Nel passaggio seguente (alachà 2), il Rambam aggiunge che ognuno dovrebbe assicurarsi di pentirsi per le proprie cattive azioni ogni singolo giorno della vita. Nessuno sa quanto a lungo vivrà; non tutti ricevono il dono di longevità. Per questo non è saggio rimandare la teshuvà, pensando che quando si sarà raggiunta l’anzianità si avrà tempo per rettificare il proprio comportamento. La morte, lo alenu, può arrivare in qualsiasi momento, per questo dobbiamo assicurarci di pentirci immediatamente dopo aver compiuto una trasgressione, e “pulire il nostro conto” ogni giorno. A questo proposito il Rambam cita un verso dal Kohelet (9: 8), “In ogni momento le tue vesti siano bianche.” Ognuno dovrebbe fare in modo di essere “bianco” in ogni momento, ossia puro dai peccati, poiché ogni momento potrebbe essere l’ultimo chaz veshalom.
Nella terza alachà, il Rambam insegna che ci si deve pentire non solo per i peccati commessi, ma anche per le proprie caratteristiche negative. Il Rambam cita diverse tendenze per cui bisognerebbe pentirsi, fra cui la rabbia, la competitività, l’invidia, la brama di denaro o successo e l’ingordigia nel mangiare. Anche se queste tendenze non si trasformano necessariamente in cattive azioni, richiedono in ogni caso che si penta per esse. Infatti il Rambam aggiunge che pentirsi per delle qualità negative è più difficile che pentirsi a causa delle cattive azioni. A differenza di atti singoli, delle tendenze negative diventano una seconda natura e parte della propria personalità ed è particolarmente difficile sovrastarle. Bisogna quindi investire notevoli energie per rifinire il proprio carattere e liberarsi dei tratti negativi.
Inoltre i maestri del mussar ritengono che pentirsi per le caratteristiche negative sia la chiave del successo per fare teshuvà rispetto ad atti specifici. Virtualmente ogni peccato è il risultato diretto di “difetti” del proprio carattere. Perciò, ripulendo la propria personalità da tendenze negative, possiamo essere più sicuri di non compiere azioni vietate. Perciò, perfezionare il proprio carattere liberandosi delle qualità negative menzionate sopra costituisce la svolta del processo di teshuvà. Bisogna dedicargli quindi il giusto focus e attenzione per riuscire a fare una teshuvà vera e completa.

Shabbat shalom!

Newsletter: Parashat Devarim 5771

La parashà di Devarim

Questa settimana cominciamo be”H l’ultimo dei cinque libri della Torà: quello di Devarim (“Parole”). Il libro è composto dalle istruzioni di Moshè prima di morire. Moshè ritorna sulla storia dei 40 anni passati nel deserto, rivede le leggi della Torà e dà rimproveri così che il popolo impari dai propri errori. Sgridare prima che si muoia è spesso la cosa più efficace, così da poter dare consigli e correggere. Chi ascolta è più motivato a fare attenzione e interiorizzare ciò che gli viene detto.
Moshè ricorda quello che è accaduto sul monte Sinai, la nomina di giudici e amministratori, la storia degli esploratori, il divieto di attaccare Edom e Moav, la sconfitta del re Sichon e Og, e come la terra dei Ghiladei sia stata donata a Reuven, Gad e metà della tribù di Menashè.

Dvar Torà
basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

Nel libro di Devarim  Moshè rimprovera il popolo dicendo, fra l’altro, questa frase:
“Nelle vostre tende avete mormorato e detto: “L’Eterno ci ha fatto uscire dall’Egitto odiandoci,  per consegnarci nelle mani dell’emoreo perché lui ci distrugga.” (Deut. 1:27)
È veramente possibile che il popolo abbia pensato che HaShem li odiasse?
Rashi, il grande commentatore, spiega il verso, descrivendoci una profonda tendenza della natura umana. Rashi ci insegna che HaShem in realtà amava il popolo ebraico, ma, visto che loro provavano odio nei Suoi confronti, hanno erroneamente percepito di essere odiati. Così come si dice: “Quello che provi per gli altri, è quello che supponi gli altri provino per te.”
Le persone hanno la forte tendenza di proiettare i loro sentimenti personali verso gli altri. Se pensi costantemente che gli altri non meritano fiducia, può voler dire che pensi che gli altri non dovrebbero fidarsi di te. Se pensi sempre che gli altri ti disapprovano, può voler dire che tu non approvi loro – o forse te stesso.
Per usare questo dato di fatto in modo positivo, se senti amore e compassione per gli altri, puoi dedurre che gli altri sentono la stessa cosa nei tuoi confronti. Non solo, il tuo comportamento e i tuoi sentimenti daranno vita allo stesso tipo di sentimenti degli altri nei tuoi confronti. Prova a sorridere a un’altra persona. Ti sentirai più disposto nei suoi confronti e lui nei tuoi!

 

Salutare durante Tisha beAv e tagliarsi i capelli, radersi e tagliarsi le unghie durante la settimana del 9 di Av.

Uno dei divieti che si applicano al 9 di Av è quello di “sheelat shalom” – salutare gli altri. Secondo l’alachà è vietato salutare un amico dicendogli “shalom alechem” o di rispondere al saluto di qualcuno con le parole “alechem hashalom”. Questo divieto è riportato dallo Shulchan Aruch (Orach Chaim 554:2).
Le autorità alachiche discutono se sia permesso estendere agli altri saluti di circostanza come “Buongiorno” e “Buonasera”. Il Chacham Ovadia Yosef stabilisce che saluti di questo genere non ricadono nella categoria di “Sheelat Shalom” e sono quindi permessi il 9 di Av. Questa è anche l’opinione del Chacham Ovadia Hadaya (1890-1969), nella sua opera Yaskil Abdi.
È permesso informarsi sullo stato di salute di qualcuno il 9 di Av, chiedendo per esempio “Come ti senti?” o “Come sta andando il digiuno?”
C’è un’alachà che si applica durante tutto l’anno secondo cui è vietato agli uomini salutare in modo amichevole le donne, poiché è considerato immodesto. È comunque permesso per un uomo augurare “Mazal tov” per congratularsi con una donna per il suo fidanzamento, per la nascita di un figlio, o per altre occasioni piacevoli. Basandosi su questa alachà, un certo numero di autorità alachiche stabiliscono che, anche durante Tisha beAv, è permesso augurare “Mazal tov” in occasione di una nascita o di un fidanzamento.
Esce fuori che secondo l’alachà stretta il divieto di “Sheelat Shalom” si applica solo rispetto al saluto di “Shalom Alechem” e non su altri tipi di saluto convenzionale. In ogni caso i Poskim scrivono che è bene astenersi il più possibile da ogni tipo di saluto sociale durante Tisha beAv e mantenere un atteggiamento cupo e composto ricordandoci che siamo in lutto per la tragedia della distruzione del Bet haMikdash.
È vietato tagliarsi i capelli dallo shabbat che precede il 9 di Av fino a dopo Tisha beAv. Il Ben Ish Chai (Rav Yosef Chaim di Bagdad, 1833-1909) stabilisce che questo si applica rispetto a tutti i peli del corpo, ed è quindi vietato radersi durante la settimana in cui cade il 9 di Av. Chi deve tagliarsi i capelli e radersi deve stare attento a farlo prima dello shabbat che precede il 9 di Av.
Il Ben Ish Chai aggiunge che similmente è vietato tagliarsi le unghie dallo shabbat che precede il 9 di Av fino a dopo Tisha beAv. In ogni caso, se ci si è dimenticati di tagliare le unghie lo shabbat che precede il 9 di Av, ed escono fuori dalla pelle delle dita, si possono tagliare anche durante la settimana in cui cade il 9 di Av. L’alachà scoraggia chi vuole farsi crescere le unghie oltre la carne delle dita poiché la tumà (l’impurità) resta attaccata alle unghie che crescono oltre quel punto. Bisogna quindi accertarsi che le proprie unghie  siano a fil di pelle e che non si estendano oltre. Questa alachà ha la prevalenza perfino sul divieto di tagliarsi le unghie durante la settimana del 9 di Av, e perciò se le unghie crescono durante quella settimana, devono essere tagliate per evitare che la tumà resti sulle unghie lunghe.
Riassumendo: è vietato porre il saluto di “shalom alechem” durante Tisha beAv. Però saluti convenzionali sono, strettamente parlando, permessi. È bene frenarsi il più possibile da saluti sociali in modo che la cupa atmosfera di questo giorno di lutto sia mantenuta. È vietato tagliarsi i capelli, radersi o tagliarsi le unghie dallo shabbat che precede il 9 di Av fino a dopo il 9 di Av. Se le proprie unghie crescono oltre la carne della dita possono essere tagliate perfino durante la settimana del 9 di Av.
Riadattamento del link:
Shabbat shalom!

Newsletter: Parashat Maasè 5771

Di cosa parla la parashà?

Nella Parashà di Masaì è riportata la lista completa delle tappe che il popolo ebraico ha toccato nel deserto (il nome di ogni singola fermata nasconde, se approfondito, un significato e un messaggio da imparare). HaShem comanda di scacciare dalla Terra d’Israele gli abitanti, di distruggere i loro idoli e di dividere la terra tirando a sorte. HaShem stabilisce i confini della Terra d’Israele.  Viene nominata una nuova leadership, vengono istituite le città per i Leviti e le città rifugio (dove un omicida involontario può chiedere asilo). Infine, sono riportate le regole riguardanti assassini involontari e accidentali e le regole riguardanti l’eredità di una coppia in cui ognuno proviene da una diversa tribù. Con questa parashà finisce il libro di Bemidbar.

Dvar Torà
basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

La Torà afferma: “Predisporrete delle città, che vi servano come città rifugio, così che un omicida che abbia ucciso involontariamente possa cercarvi scampo”. (Bemidbar 35:11)
Scappare nella città rifugio dà all’omicida involontario protezione fisica, ma in che modo può giovare alla sua psiche?
Il Chidushè Harim, un famoso commentatore, spiega che se un membro del Popolo d’Israele, uccide qualcuno, anche se involontariamente, si sentirà a pezzi e colpevole. Sarà così scosso che sentirà di non avere più un posto in questo mondo in cui andare a nascondersi. Allora HaShem gli dice: “Ti do un posto.” Vai in esilio nelle città rifugio e ti salverai. Lì potrai trovare serenità. Ma questo vale solo se una persona ha una comprensione profonda del danno che ha causato. Se una persona non prova un profondo rammarico e ancora pensa di avere un posto in questo mondo, la città rifugio non gli provocherà nessun beneficio psicologico.
Quando danneggi una persona e provi rammarico della cosa, puoi ricavare un beneficio dalla tua pena – se questo ti motiva a riparare, fare più attenzione e migliorare il tuo comportamento. Chi causa a un’altra persona una perdita o una sofferenza e non si sente responsabile, manifesta una totale mancanza di interesse per gli altri.
Un volta una persona è andata dallo Staipler (un grande Rav della scorsa generazione) chiedendo una berachà: che risulti innocente in tribunale per una violazione su una norma sul traffico. Invece di dargli la berachà lo ha ammonito: “Se tu violi una norma sul traffico, stai mettendo in pericolo la vita degli altri. Ti meriti quindi la più grande punizione.”
Se fai qualcosa di male, rammaricati per le tue azioni, chiedi scusa, cerca di rimediare e cerca di correggerti in modo da non commettere lo stesso errore in futuro.

Prepararsi i vestiti per la settimana del 9 di Av


Secondo l’alachà è vietato indossare vestiti puliti durante la settimana del 9 di Av, da dopo lo shabbat che precede il 9 di Av fino al 9 di Av compreso. È quindi raccomandabile preparare tutti gli abiti che si ha intenzione di indossare durante quella settimana in modo che non siano puliti.
Per quanto tempo bisogna indossare ogni capo in modo che non sia più considerato pulito?
Questa questione è soggetta a una disputa fra autorità alachike. Il Chacham Ben Zion Abba Shaul (Israele, 1923-1998), nella sua opera Or LeZion, stabilisce che bisogna indossare ogni capo il tempo sufficiente da permettere che assorba un po’ di sudorazione. Specialmente nei giorni caldi e umidi che precedono il 9 di Av questo si traduce in due minuti circa. Secondo il Chacham Ben Zion, questo è tutto il tempo in cui bisogna indossare un indumento prima del 9 di Av. Il Chacham Ovadia Yosef invece, stabilisce l’alachà in modo più restrittivo e dice che bisognerebbe preferibilmente indossare ogni indumento per almeno un’ora.
Il Chacham Ben Zion aggiunge che si possono indossare due indumenti simultaneamente per prepararli per la settimana del 9 di Av. Anche se un indumento non ha toccato la pelle della persona può ancora essere considerato indossato e quindi non più “pulito”, e può quindi essere indossato nella settimana del 9 di Av. Il Chacham Ben Zion spiega che se una persona indossa due maglie contemporaneamente, e un suo amico gli chiede di prestargli una maglia, l’amico non vorrà nessuna delle due maglie che sta indossando, anche quella più esterna. Anche se non ha toccato la pelle della persona, non è più considerata pulita, e può quindi essere indossata nella settimana del 9 di Av. È consigliabile usare questo metodo, specialmente se si segue l’opinione del Chacham Ovadia Yosef secondo cui ogni indumento va indossato un’ora almeno. Molte persona non hanno il tempo di indossare ogni vestito singolarmente per un’ora, così possono essere indossati più vestiti insieme.
Se una persona non ha fatto in tempo, per qualche motivo, a prepararsi gli indumenti che gli serviranno per la settimana del 9 di Av, c’è un metodo attraverso cui può indossare abiti puliti durante quella settimana?
Il Chacham Ovadia Yosef risolve questo problema nelle note alla sua opera Chazon Ovadià. Riporta la norma riguardante il lechem hapanim, che, se lasciato sul pavimento per circa un’ora non è più da considerarsi fresco. (Non c’è bisogno di salire sull’indumento; è sufficiente lasciarlo per terra per un’ora). Anche se generalmente non ci si basa su questa opinione, e bisogna indossare gli abiti prima del 9 di Av, ci si può appoggiare su questa facilitazione nel caso in cui ci si sia dimenticati di preparare gli abiti precedentemente. In tal caso, bisogna mettere il vestito che si vuole indossare sul pavimento per circa un’ora, e poi sarà permesso indossarlo.
Riassumendo: non bisogna indossare indumenti puliti durante la settimana del 9 di Av e bisogna quindi preparare i vestiti che si ha intenzione di indossare durante quella settimana precedentemente, indossandoli per un breve tempo. Preferibilmente ogni capo dovrebbe essere indossato per almeno un’ora, e due indumenti possono essere indossati insieme. Una persona che non ha preparato i vestiti da indossare in tempo deve lasciarli sul pavimento per un’ora e poi possono essere indossati. Preferibilmente però devono essere indossati per un’ora prima della settimana in cui cade il 9 di Av.
Shabbat shalom!