Newsletter: Parashat Ki Tavò 5771

La parashà di Ki Tavò… in brevissima!

Nella parashà della settimana si parla di: portare al Bet HaMikdash come offerta le primizie delle sette specie particolari di Erez Israel, dichiarazione della decima, HaShem designa il popolo ebraico come il Suo popolo prezioso (Devarim 26:16 – 19), il comando di posizionare nel fiume Giordano e dopo sul monte Eval delle grandi pietre su cui è scritta la Torà in 70 lingue, il comando di avere una pubblica dichiarazione dell’accettazione della Torà dal monte Gherizim e dal monte Eval; la Torà poi elenca le benedizioni  che si ricevono se si seguono le mizvot e chas veshalom ciò che succede in caso contrario, infine c’è un discorso di Moshè. I versi 28:46 parlano dell’importanza di servire HaShem con “gioia e buon cuore”. L’ultimo verso della parashà ci dice di seguire le parole del patto e di compierle affinché possiamo avere successo in ciò che facciamo.

Dvar Torà
basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

___La Torà, riguardo alle conseguenze se non si seguiranno i precetti di HaShem, afferma:
"La tua vita rimarrà (come) sospesa a un filo di fronte a te; di notte tremerai di terrore e di giorno non crederai di poter essere ancora in vita.” (Devarim 28:66)
Cosa significa questo verso?
Il Talmud (Menachot 103 b) spiega che questo verso si riferisce alla pena e alla sofferenza provocata dal fatto di preoccuparsi per il futuro. “La tua vita rimarrà (come) sospesa a un filo di fronte a te” si riferisce a qualcuno che non possiede un terreno e acquista di anno in anno il rifornimento di grano. Pur avendo grano per l’anno corrente, si preoccupa per quello successivo. Il secondo livello, "Di notte tremerai di terrore" si riferisce a qualcuno che compra grano una volta a settimana. Egli è in una situazione peggiore; deve trovare grano ogni settimana. Il livello più duro, "di giorno non crederai di poter essere ancora in vita" si riferisce a chi deve comprarsi il pane ogni giorno. Ha costantemente di cosa preoccuparsi.
Rabbi Chaim Shmuelevitz, ex Rosh Yeshivà di Mir, usava citare frequentemente questa affermazione dei saggi, sottolineando che una persona può auto torturarsi mentalmente. Se hai abbastanza cibo per oggi, apprezza quello che hai, puoi considerarti una persona fortunata. Vivrai felicemente. Se ti preoccupi costantemente per il futuro, non avrai mai serenità.Pur avendo da mangiare per un intero anno puoi facilmente distruggere la qualità della tua vita se continui a concentrarti continuamente sul fatto che l’anno prossimo potrebbe non essere così. A causa di qualcosa che potrebbe accadere l’anno prossimo, ti rovinerai l’anno corrente.
Bisogna imparare ad autodisciplinarsi mentalmente. Non concentrarti su quello che ti manca, a meno che ciò non ti porti a progettare qualcosa di costruttivo. Perché causarsi una sofferenza superflua quando ci si può concentrare su ciò che baruch H’ si ha correntemente? Se sei una persona apprensiva, la miglior cosa che puoi fare per te stesso è quella di esercitarti a padroneggiare i tuoi pensieri. Anche se non riuscissi ad ottenere il pieno controllo, anche un livello minimo di controllo ti farà vivere meglio!

 

Motivazioni per la mizvà dello shofar

Quale è il motivo per cui ascoltiamo lo shofar a Rosh HaShanà e quale intenzione dobbiamo avere mentre compiamo questo obbligo?
Il Rambam (Rabbi Moshè Maimonide, Spagna- Egitto, 1135-1204) discute la ragione per cui ascoltiamo lo shofar nella sua opera Ilchot Teshuvà (3:4). Comincia notando che il fatto di suonare lo shofar a Rosh HaShanà è una “ghezerat hacatuv” ossia un decreto che la Torà ci comanda senza apparentemente fornire una spiegazione. Prima di dare una possibile motivazione a questa mizvà, il Rambam enfatizza il fatto che dobbiamo relazionarci ad essa come ad un “chok”, una legge la cui logica sfugge alla comprensione umana. Può sicuramente essere approfondita, ma fondamentalmente compiamo la mizvà dello shofar semplicemente perché ci è stata comandata da HaShem. Di conseguenza, l’intenzione principale che bisogna avere mentre si ascolta il suono dello shofar, è quella di compiere il comandamento divino di ascoltare lo shofar nel giorno di Rosh HaShanà.
Dopo questa introduzione il Rambam suggerisce che il suono dello shofar contiene un remez – un allusione – al fatto di “svegliarsi”. Lo shofar simboleggia una “sveglia”, in quanto ci“sveglia” dal nostro sonno spirituale. Richiama coloro che sono caduti nella routine del conseguimento dei beni materiali, e invita a cambiare strada, ricordandoci il vero scopo della vita. Il fatto di doverci svegliare e cambiare direzione è un'altra questione che dovremmo avere in mente mentre ascoltiamo il suono dello shofar.
La Ghemarà cita un altro beneficio dello shofar,  ossia il fatto che ricorda ad HaShem l’episodio dell’akedat Izchak (mancato sacrificio d’Isacco). Dopo che l’angelo è apparso ad Avraham dicendogli di non uccidere suo figlio, Avraham ha visto un ariete le cui corna si erano impigliate negli arbusti. Lo shofar che suoniamo a Rosh HaShanà ricorda quell’ariete e quindi l’episodio della legatura d’Isacco di cui continuiamo a beneficiare fino al giorno d’oggi e che cerchiamo d’invocare mentre stiamo in giudizio di fronte ad HaShem nel giorno di Rosh HaShanà.
In una differente fonte la ghemarà nota che il suono dello shofar ha la capacità di confondere lo yezer harà, scuotendolo al punto da non essere più in grado di accusarci di fronte al Tribunale Celeste.
Questi sono tutti pensieri degni di essere pensati durante il suono dello shofar, ma, come abbiamo già detto, l’intenzione primaria deve essere quella di compiere la mizvà dello shofar. Un verso dei Tehillim (81:4) dice a proposito di questa mizvà: “Ki chok leIsrael hu mishpat leElokè Jaacov” (“Poiché è uno statuto per Israel; una legge per il Signore di Jaacov). La mizvà dello shofar è un “chok”, una mizvà apparentemente senza una motivazione logica, e questo è il modo in cui dobbiamo compierla pur essendo anche un “mishpat leElokè Jaacov” – ossia, ha anche delle motivazioni logiche per cui compierla).
Riassumendo: anche se sono state date differenti motivazioni per spiegare la mizvà dello shofar, la osserviamo principalmente in quanto è stata comandata da HaShem, e questa è l’intenzione principale a cui dobbiamo pensare ascoltando il suono dello shofar.
Shabbat shalom!
  

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La parashà di Ki Tezè… in brevissima!

Alcuni degli argomenti trattati in questa parashà sono: il rapimento di una donna, il figlio ribelle, la sepoltura, restituire un oggetto perduto, quando cade un animale, i travestimenti, il nido d’uccello, i parapetti, le piantagioni miste, combinazioni proibite, la moglie diffamata, la pena per l’adulterio, gli sposi promessi, lo stupro, una ragazza non sposata, il mamzer ~ figlio illegittimo, Ammon e Moav, Edomiti e Egiziani, il campo di battaglia, la schiavitù, la prostituzione, mantenere un voto, un lavoratore della vigna, un lavoratore del campo, divorziare e risposarsi, lo sposo, il rapimento, la lebbra, garanzie per i prestiti, pagare il salario in tempo, testimonianze di parenti stretti, la vedova e l’orfano, covoni dimenticati, la frutta che avanza nel campo, cognato senza figli, pesi e misure, ricordare quello che ci ha fatto Amalek.

Dvar Torà
basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

___La Torà afferma
 Non dovrai arare con un bue e un asino (aggiogati) assimee (Devarim 22:10)

__Cosa possiamo imparare da questo verso?
Il Daat Zekenim spiega una motivazione per questo comandamento. Visto che un bue, in quanto ruminante, rimastica il suo mangime e l’asino no, l’asino soffrirebbe d’invidia nel vedere che il bue ha cibo in bocca e lui no.
__Rabbi Chaim Shmuelevitz ha commentato: questa è una grande lezione su quanta sensibilità dobbiamo avere nei confronti degli altri per evitare di farli soffrire d’invidia. Se dobbiamo stare attenti a non urtare i sentimenti degli animali, ancora di più dobbiamo stare attenti a non urtare quelli degli esseri umani. Da notare il fatto che il bue non mangia in realtà di più dell’asino, ma l’asino lo pensa solo per errore.
Bisogna stare molto attenti a non vantarsi di quello che si ha o di quello che si è fatto se gli altri potrebbero esserne invidiosi. Non si deve elogiare qualcuno in presenza di una persona che potrebbe essere invidiosa di lui.

 

Le componenti fondamentali della teshuvà

Il Rambam (Rabbi Moshè Maimonide, Spagna-Egitto, 1135-1204), nella sua opera Hilchot Teshuvà (2:1), introduce il concetto di “teshuvà ghemurà” o “pentimento completo”. Spiega che una persona può raggiungere un “pentimento completo” quando si trova di fronte alla stessa identica situazione in cui ha peccato e, nonostante provi lo stesso desiderio di peccare, riesce a controllarsi e desistere. Ciononostante, se una persona si pente solo dopo aver raggiunto l’anzianità, dopo che i suoi desideri si sono affievoliti, il suo pentirsi è accettato anche se non viene considerato come “pentimento completo”. Infatti, il Rambam enfatizza che, perfino se una persona si pente negli ultimi attimi prima di morire, la sua teshuvà è accettata.

Nel passaggio successivo, il Rambam ci presenta la definizione essenziale della teshuvà e le componenti base che tale processo comporta. Scrive che si deve “abbandonare” il peccato attraverso l’eliminazione dalla mente di tutti i pensieri ad esso riferiti e decidendo fermamente di non ripetere mai più quell’atto. Inoltre, il peccatore, deve provare un sincero e genuino rimorso per aver compiuto quell’azione sbagliata, ed esprimere a parole questi sentimenti. Il Rambam aggiunge, “…e Colui che conosce i misteri testimonierà su di lui che non lo ripeterà mai più.” A prima vista, potrebbe sembrare che il Rambam dica che, una volta che colui che ha peccato fa teshuvà, e si rammarica sinceramente per la sua azione sbagliata, il Signore, che conosce gli eventi futuri, può stabilire che non tornerà mai più sulla sua strada peccaminosa. In ogni caso, il Kesef Mishnè (commento composto da Rabbi Yosef Caro, autore dello Shulchan Aruch) spiega in modo differente, affermando che colui che ha peccato debba, se così si può dire, chiamare HaShem come testimone del fatto che si è ripromesso di non ripetere mai più il suo peccato. Colui che si pente deve essere così risoluto nella sua decisione che deve poter essere ingrado di chiamare HaShem come testimone del fatto che non ripeterà mai più ciò in cui ha sbagliato.
 Nella terza alachà, il Rambam enfatizza l’importanza e l’indispensabilità di una confessione verbale dei propri peccati e della risoluzione interna a cambiare. Scrive che se una persona confessa verbalmente quello che ha commesso di sbagliato senza fermamente decidere in cuor suo di non commettere mai più il peccato, è paragonabile a una persona che si immerge in un mikve tenendo in mano il cadavere di uno sherez (roditore). Fin quando continuerà a tenerlo in mano, esso continuerà ad essere la causa e la fonte del suo stato di impurità rituale, non potrà mai quindi conseguire la purità rituale, non importa quante volte si immerga nel mikve. Allo stesso modo, non importa quante volte una persona faccia la confessione dei peccati e dichiari di aver agito in modo sbagliato, non potrà raggiungere la teshuvà senza aver prima deciso fermamente di voler cambiare. D’altro canto, non è sufficiente per colui che ha peccato, il ripromettersi di cambiare la sua condotta senza confessarsi a parole. Il Rambam cita a questo punto la supplica di Moshè nei confronti di HaShem, dopo che il popolo aveva commesso il peccato del vitello d’oro, in cui dichiara, “Per favore, questa nazione ha commesso un grave peccato – hanno fatto un idolo d’oro” (Shemot 32:31). Da questo verso impariamo che colui che ha peccato deve confessare verbalmente e specificare quale peccato ha commesso.

Riassumendo: il processo di teshuvà comprende una confessione verbale, sincero pentimento, e la piena fermezza nel non voler più commettere il peccato. Un peccatore raggiunge il più alto livello di teshuvà quando si trova esattamente nella stessa situazione in cui ha originariamente peccato, è ancora tentato a peccare ma si astiene dal farlo. In ogni caso, anche se una persona si pente in età anziana, quando non ha lo stesso impulso di commettere il peccato, il suo pentimento è valido e accettato da HaShem.


Shabbat shalom!
  

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 Alcune regole e usi per il mese di Elul

Durante il mese di Elul ci prepariamo per il periodo delle feste che comincia con Rosh HaShanà, continua con Yom Kippur e raggiunge il culmine con Oshanà Rabbà, quando viene decretato il giudizio finale. Era rosh chodesh Elul quando Moshè è salito sul Monte Sinai per implorare HaShem di perdonare i figli d’Israele per il grave peccato del vitello d’oro. Quaranta giorni più tardi, a Yom Kippur, HaShem ha annunciato il suo perdono. Di conseguenza, questi quaranta giorni sono da sempre considerati propizi per essere perdonati, in quanto HaShem è, se così si può dire, in una modalità propensa a perdonare. È conveniente quindi sfruttare questo periodo per fare quanto sia possibile per essere perdonati per quanto di sbagliato abbiamo fatto durante l’anno.
Sarebbe bene leggere opere di Mussar durante il mese di Elul. Uno fra i libri più raccomandabili è lo “Shaarè Teshuvà” di Rabbenu Yona (Spagna, 1180-1263) in cui viene descritto il processo della teshuvà. Altre opere adatte sono costituite dalla famosa lettera di Rabbenu Yona a proposito del pentimento conosciuta come “Igheret HaTeshuvà” e l’”Ilchot Teshuvà” del Rambam in cui vengono descritti vari requisiti per arrivare alla teshuvà.. Un’altra opera è l’Orchot Chaim, divisa in trenta sezioni di cui molti usano studiarne una al giorno durante il mese di Elul. Molti usano leggere i Tikkunè haZoar (testo base della Cabbalà). I cabbalisti sostengono che attraverso la lettura del testo si ha la possibilità di purificarsi l’anima perfino se non si capisce quello che si sta leggendo.
Bisogna essere molto diligenti durante il mese di Elul e leggere la “keriat shemà al hamità” (lettura dello shemà prima di coricarsi) prima di andare a dormire. Bisognerebbe includere la preghiera di “Annà” in cui si chiede il perdono di HaShem per qualsiasi cosa sbagliata si sia compiuta durante la giornata.
Una delle berachot dell’amidà è quella di “ashivenu”, in cui chiediamo ad HaShem di aiutarci a fare teshuvà. Durante il mese di Elul è bene inserire in questa preghiera il nome delle persone che si sono allontanate dall’osservanza delle mizvot prima di concludere con la berachà “baruch Attà HaShem harozè bitshuvà”
Molti hanno l’uso di far controllare tefillin e mezzo durante il mese di Elul. Secondo l’alachà stretta devono essere controllati solo due volte in sette anni, e tefillin che sono indossati ogni giorno non devono essere controllati affatto. In ogni caso C’è chi preferisce controllarli durante il mese di Elul.
Anche se bisogna assicurarsi di fare la bircha halevanà  (la berachà sulla luna) ogni mese, i Rabbanim ci avvertono di stare particolarmente attenti a farla nel mese di Elul.
In generale bisogna incrementare il proprio livello di osservanza durante il mese di Elul in preparazione delle feste in modo che per merito dei nostri sforzi possiamo meritare un anno di pace e felicità per noi stessi, le nostre famiglie e la nostra comunità, amen!

Shababt shalom!