Newsletter Parashto Nitzavim Vayelech 5773

Le parashot di Nizzavim-Vaielech… in brevissima!

Nel giorno della morte di Moshè, egli riunisce tutto il popolo ebraico stabilendo un patto che conferma che il popolo ebraico è il prescelto (prescelto di avere il compito di essere un faro fra le nazioni) per tutte le future generazioni. Moshè rende chiare quali siano le conseguenze a cui si va incontro rifiutando chas veshalom HaShem e la Sua Toràh e la possibilità di pentirsi. Ribadisce il concetto che la Toràh sia alla portata di tutti.
La Parashà di Nizavim termina con quella che forse è la più chiara e potente frase della Torà per quanto riguarda lo scopo della vita e l’esistenza del libero arbitrio: “In questo giorno ho posto dinnanzi a te la vita e il bene, la morte e il male … la benedizione e la maledizione. Quindi scegli la vita e vivrai, tu e la tua discendenza.”
La Parashà di Vayelech comincia con Moshè che passa il testimone a Yeoshua come leader del popolo. Moshè poi gli dà un comandamento/benedizione che è applicabile ad ogni leader ebreo: “Sii forte e coraggioso. Non aver paura o sentirti insicuro di fronte  a loro. HaShem Tuo Signore è Colui che sarà con te, e non ti farà fallire né ti abbandonerà.”
Moshè ha scritto l’intera Torà e l’ha data ai Coanim e agli anziani. Ha poi comandato che in futuro, al termine dell’anno sabatico, il re riunisca tutto il popolo durante la festa di Sukkot per leggergli la Torà cosicché “…ascolteranno e impareranno e temeranno HaShem tuo Signore e staranno attenti a compiere tutte le parole della Torà.”
L’Onnipotente descrive in un breve paragrafo il corso della storia ebraica (per i curiosi comincia al cap. 31, verso 16 del libro di Devarim). Infine, prima che Moshè vada a “coricarsi con i suoi antenati”, riunisce il popolo per insegnargli la cantica di ‘Azinu, la parashà della prossima settimana, per ricordargli quali siano le conseguenze per chi si rivolta al Signore.
Dvar Toràh
basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

La Toràh afferma:
 “Voi avete potuto vedere i loro abomini e [oggetti] repellenti (ossia gli idoli) di legno e di pietra, d’argento e d’oro che avevano con sé”. (Devarim 29:16)
Come mai la Toràh deve dirci di stare attenti a non essere influenzati negativamente dai loro idoli se proveremo repulsione nei loro confronti?
Rav Itzchak Zeev Soloveitchik spiega che una persona può vedere gli idoli e considerarli un abominio e provare una forte repulsione e disgusto. Però, la Toràh ci dice di fare attenzione a non essere influenzati negativamente da essi, perché qualsiasi cosa che vediamo ha un ascendente su di noi. Anche se inizialmente hai sensazioni negative nei loro riguardi, potresti essere influenzato a seguirli. Le influenze negative sono potenti e devono essere tenute a distanza.

Nitzavim(Devarim 29:9-30:20)

Mutual Responsibility

Di Rav Shraga Simmons
La Parashàh di questa settimana parla di come Moshè, nell’ultimo giorno della sua vita, abbia riunito insieme l’intero Popolo Ebraico introducendo un nuovo livello di patto con HaShem: d’ora in poi, ognuno non sarà solo responsabile per le proprie azioni, ma ognuno sarà responsabile anche per le azioni dell’altro.
Questo aspetto di responsabilità comune, è quello che fa di noi un popolo e non solo un gruppo di individui.
Sicuramente, il più alto livello di responsabilità cade sulle spalle di coloro che sanno di più. Se qualcuno sta sanguinando per strada, e un medico e un giardiniere gli passano accanto, chi ha maggiormente l’obbligo di aiutarlo? Sicuramente il medico. Lo stesso vale nelle questioni spirituali.
È raccontata la storia di un uomo molto osservante che, passando a miglior vita, viene giudicato di fronte alla Corte Celeste. La corte procede descrivendo i numerevoli meriti dell’uomo, e poi elenca le trasgressioni, fra cui quella di aver mangiato il maiale. “Ma io non ho mai mangiato maiale la mia intera vita!” protesta l’uomo.
 “Hai ragione”, dichiara la Corte Celeste. “Ma il tuo vicino della porta a fianco mangiava maiale e tu non hai mai tentato di fermarlo. Quindi, sei responsabile come se tu avessi mangiato maiale”.
Sicuramente, questioni del genere vanno affrontate in modo da non creare una situazione peggiore oppure tensione e risentimento.

Questo implica che una persona non può condurre una vita depravata dicendo: “Lasciami stare per conto mio! Non do fastidio a nessuno!”. L’idea di responsabilità comune implica il fatto che leazioni di ognuno influenzano la sanità spirituale di tutti gli altri.
Questa idea è espressa in modo ancora più chiaro durante le Feste, in cui ogni individuo – e il mondo intero – sono posti sotto giudizio. Così come scrive il Maimonide:
Ogni persona deve considerarsi metà meritevole e metà colpevole, e similmente vedere il mondo come metà meritevole e metà colpevole. Quindi, una buona azione, o una trasgressione, possono cambiare l’equilibrio del mondo intero.
Teniamolo a mente – e possiamo essere tutti scritti e sigillati per un buon anno nuovo!
La profondità della liturgia delle Feste
Tutte le preghiere degli Yamim Noraim (letteralmente i “Giorni Temibili”, ossia quelli che vanno da Rosh HaShanàh a Yom HaKippurim) sono state stabilite dai grandi Saggi dell’Anshè Kenesset HaGhedolàh (gli uomini della Grande Assemblea) e sono quindi cariche di molti livelli di significato. Dobbiamo sforzarci di capire il significato semplice del testo e allo stesso tempo è doveroso riconoscere le innumerevoli allusioni che questi Grandi Saggi hanno incorporato nel testo liturgico. Più riusciamo a tenere a mente questi profondi significati mentre preghiamo, più la nostra preghiera sarà potente.
Un esempio della profondità di significato della liturgia delle Feste è caratterizzato dall’apparentemente innocua parola “Uvçhen” (“E quindi”). Lo Zohar HaKadosh, nei Tikkunim, commenta che questa parola dovrebbe essere recitata quattro volte  nella Amidàh di Rosh HaShanàh e in quella di Yom HaKippurim. Infatti, durante l’Amidàh recitiamo quattro passaggi che contengono questa parola: “Uvçhen Ytkadash Shimchàh HaShem Elokenu,” “Uvçhen Ten Pachdecha,” “Uvçhen Ten Kavod,” e “Uvçhen Zadikim Iiru VeIsmachu.” Questi quattro passaggi contenenti la parola “Uvçhen”, si riferiscono a una serie di tre versi nella Parashàh di Beshallach (Shemot 14:19-21), che cominciano rispettivamente  con le parole “Vaisàh”, “Vaiavò”, e “Vayet”. Ognuno di questi tre versi contiene 72 lettere, corrispondenti alle 72 lettere di un Nome di HaShem, e i tre versi sono associati con i tre patriarchi (Avraham, Izchak e Jaacov). La parola “Uvçhen” ha il valore numerico di 72,  e i primi tre passaggi di questa parola nella Amidàh delle Feste corrispondono ai tre patriarchi e a questi tre versi nella Parashàh di Beshallach. Il primo “Uvçhen” corrisponde ad Avraham Avinu e al primo di questi tre versi; il secondo si riferisce a Izchak Avinu e al secondo verso; e il terzo allude a Jaacov Avinu e al terzo verso. La quarta volta in cui menzioniamo “Uvçhen” ci riferiamo al Re David, che è la quarta “gamba” del Carro Celeste, e alle 72 combinazioni formate prendendo una lettera da ognuno di questi tre versi, che comprendono tutti il Sacro Nome di HaShem.
E’ notevole considerare quanta profondità si nasconde dietro a una singola parola come“Uvçhen” che recitiamo durante la Amidàh, e ci è difficile perfino immaginare quanta profondità e grandezza i Nostri Saggi hanno incorporato l’intero testo delle preghiere degli Yamim Noraim.
Ad un livello semplice, la parola “Uvçhen” dovrebbe ricordare il verso nella Meghillat Ester (4:16): “Uvçhen Avò El HaMelech Asher lo Chadat” ~E così dovrei approcciarmi al re contro il protocollo reale”. Ester qui esprime il suo timore per il fatto di doversi approcciare al re Achashverosh senza essere stata chiamata – e questa è esattamente la paura che dovremmo provare stando di fronte all’Onnipotente in preghiera. Dovremmo sentirci completamente indegni di approcciarci a lui e chiedergli di pensare ai nostri bisogni.
Chi siamo noi per presentarci di fronte ad HaShem? Che diritto abbiamo di formulare qualsiasi richiesta a lui? Il termine “Uvçhen” è ripetuto quattro volte nella Amidàh per attirare la nostra attenzione alla paura di Ester prima di approcciarsi al re Achashversoh, e per ricordarci che questo è come dovremmo sentirci quando stiamo in preghiera di fronte al Re dei Re. Questo senso di umiltà e indegnità è un prerequisito critico per approcciarsi alla preghiera. Il verso in Tehillim dice: (51:19), “Zivçhè Elokim Ruach Nishbar, Lev Nishbar Venidkè, Elokim Lo Tivzè” – “Le [vere] offerte ad HaShem sono uno spirito afflitto; HaShem non rifiuterà un afflitto, abbattuto cuore”.  HaShem considera il nostro umile senso di indegnità come un’offerta sacrificale che Egli accetta amorevolmente e non rifiuta.
Il nostro obbligo è quello di cercare di comprendere il testo della preghiera al meglio delle nostre possibilità, e, ad un livello più basilare, quello di avere in mente che preghiamo in base alle più profonde intenzioni dei Saggi che hanno composto queste preghiere, e chiediamo ad HaShem che integrerà le intenzioni che abbiamo con tutte le intenzioni degli Anshè Kenesset HaGhedolàh, come dice il verso (Tehillim 138:8), “HaShem Igmor Baadì” – quando ci impegniamo al massimo delle nostre potenzialità, HaShem interverrà per completare il resto.
Shabbat Shalom!
  

Newsletter Parashat Devarim 5773

La Parashàh… in brevissima!
Questa settimana cominciamo Be”H l’ultimo dei cinque libri della Toràh: quello di Devarim (“Parole”). Il libro è composto dalle istruzioni che Moshè fornisce al popolo prima di morire. Moshè ritorna sulla storia dei 40 anni passati nel deserto, rivede le leggi della Toràh e dà rimproveri così che il popolo impari dai propri errori. Sgridare prima che si muoia è spesso la cosa più efficace, così da poter dare consigli e correggere. Chi ascolta è più motivato a fare attenzione e interiorizzare ciò che gli viene detto.
Moshè ricorda quello che è accaduto sul monte Sinai, la nomina di giudici e amministratori, la storia delle spie, il divieto di attaccare Edom e Moav, la sconfitta del re Sichon e Og, e come la terra dei Ghiladei sia stata donata a Reuven, Gad e metà della tribù di Menashè.
Devar Toràh
basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin
La Parashàh di questa settimana comincia con le seguenti parole:
“Queste sono le parole che Moshè disse a tutto Israele” (Devarim 1:1).
La Toràh poi elenca quella che potrebbe sembrare una lista di luoghi in cui il Popolo d’Israele ha viaggiato. Il Sifrì spiega che per rispetto del Popolo Ebraico, Moshè ha alluso nel nome di ogni luogo le trasgressioni commesse, senza esplicitarle. Cosa possiamo imparare da ciò?
Rav Yehuda Leb Chashman della famosa Yeshivàh di Chevron, commenta che una persona che è sinceramente interessata a migliorarsi e crescere, ha bisogno solo di un piccolo accenno al fatto che ha sbagliato per riuscire a capire che deve cambiare in meglio. Una persona del genere cerca opportunità per rendersi migliore e usa la propria capacità di riflettere per cogliere che qualcuno gli sta accennando che ha commesso uno sbaglio.

Lo scopo della vita è quello di migliorarsi e riuscire ad essere il meglio di ciò che si può essere. Così come una persona che vuole diventare ricca sfrutterà qualsiasi suggerimento se pensa che possa trarne beneficio finanziario, allo stesso modo dobbiamo cercare messaggi che possono aiutarci a migliorare. Rav Israel Salanter una volta ha chiesto a un calzolaio come mai stesse lavorando fino adun’ora così tarda con una candela quasi consumata. Il calzolaio gli rispose: “Fin quando la candela è ancora accesa è possibile andare avanti e riparare”. Da questo Rav Salanter ha capito che “fin quando la luce dell’anima è ancora accesa, dobbiamo fare ogni sforzo per andare avanti e riparare”.

Devarim(Deuterenomio 1:1-3:22)
Tutto al momento adatto
Di Rav Shaul Rosenblatt
I Nostri Maestri ci dicono che Moshè non ha rimproverato il Popolo Ebraico se non prima di morire. Citano poi esempi di altre figure che hanno fatto lo stesso – Jaacov con i suoi figli, Shmuel nei confronti del Popolo e diversi altri.
Anche se rimproverare prima di venire a mancare è un gesto attuabile una sola volta nella vita, lo stesso principio può essere applicato ad altre circostanze: se vuoi rimproverare, devi farlo in un momento adatto.
Accettare il rimprovero di qualcuno è la seconda cosa più difficile nella vita (la più difficile è quella di farlo!). La naturale tendenza umana è quella di turbarsi e difendersi dall’attacco percepito. L’ultima cosa che la persona è portata a fare è quella di ascoltare onestamente e valutare il rimprovero. Per questo motivo, è imperativo scegliere un momento in cui ci sia benevolenza di entrambe le parti nei confronti dell’altra parte. Un rimprovero fatto in un momento adatto è ancora incredibilmente difficile da accettare; un rimprovero fatto in un momento di turbamento non ha nessuna chance di essere ascoltato.
Prima che una persona muoia è un momento di benevolenza. Prendendo la cosa ad un livello più quotidiano, è un dato di fatto che se hai qualcosa da dire a qualcuno, non puoi farlo quando lui è turbato, o tu sei turbato – e sicuramente non quando entrambi siete turbati! La tendenza naturale è esattamente opposta però. Proprio quando siamo turbati vogliamo dire all’altra persona che cosa pensiamo. Quando ci siamo calmati, non sentiamo più il bisogno di farlo.
Nel matrimonio per esempio, ci sono molte volte in cui è molto importante dire al coniuge che tu pensi che lui/lei abbia agito in modo inappropriato. Altrimenti la persona lo rifarà e tu sarai di nuovo frustrato, e quando ti sarai calmato non ti preoccuperai di dirlo all’altro – e il ciclo ricomincerà nuovamente.  Oppure, parlando nella foga del momento, il punto non sarà ascoltato effettivamente.
La chiave è la pazienza. Quando sei turbato a causa del coniuge, aspetta prima di esserti calmato – fin quando sentirai di amarlo/amarla di nuovo, fin quando puoi ricordarti esattamente il motivo per cui ti sei sposato con quella persona e per cui lo rifaresti se ne riavessi la possibilità. In quel momento di benevolenza e amore, dì alla persona come mai eri turbato. La differenza è abissale rispetto al farlo quando sei turbato – e la possibilità di migliorare la relazione, anziché minarla, è incrementata in modo massiccio.

Tisha BeAv - è permesso fare una doccia calda, consumare carne e vino, radersi e fare la lavatrice alla fine del digiuno?
La domanda riguarda se le restrizioni che si applicano per il digiuno del 9 di Av continuino anche per il 10. È possibile farsi una doccia calda, tagliarsi i capelli, radersi, fare la lavatrice, mangiare carne e bere vino il giorno dopo il 9 di Av? Queste azioni sono proibite durante il 9 di Av, ma il giorno seguente? E se fosse ancora vietato, come mai?
Secondo Maran, farsi una doccia calda, radersi, tagliarsi i capelli e fare il bucato è permesso immediatamente con la fine del digiuno. Però, per i sefarditi, il divieto di mangiare carne e bere vino si applica anche al giorno che segue il 9 di Av. Questo è quello che sostiene Maran, così come Rav Chidà e vari altri acharonim. Gli ashkenaziti sono più facilitanti e permettono il consumo di carne e vino già a partire da chatzot (mezzogiorno alachico) del 10 di Av. Non aspettano fino alla notte del 10 di Av, da quando invece i sefarditi ricominciano a mangiare carne e bere vino.
Come mai è vietato consumare carne e vino ma non è vietato fare una doccia calda e la lavatrice?
Chacham Ben Zion fornisce una spiegazione molto bella alla domanda. Spiega che il divieto di lavarsi e fare la lavatrice è una regola in base ai divieti che deve seguire una persona in lutto. Visto che il 9 di Av è un giorno di lutto, applichiamo quindi le stesse regole che deve seguire una persona in lutto. Il periodo di lutto finisce con la conclusione del digiuno, di conseguenza si interrompono anche i comportamenti che si applicano durante un periodo di lutto. Il divieto di consumare carne e vino però, non è collegato ai comportamenti che si tengono quando si è in lutto. Una persona in lutto può consumare carne e vino. Quindi ci asteniamo dal mangiare carne e bere vino per un altro motivo. La questione è che non è più possibile portare sacrifici di carne e vino sull’altare a causa della distruzione del Bet HaMikdash, avvenuta il 9 di Av. Visto che i corbanot (sacrifici) portati durante il 9 di Av sarebbero stati consumati solo il 10, si estende il divieto anche al 10.
Un altro motivo in base a cui si continua ad applicare la restrizione è perché la Ghemarà scrive che il Bet HaMikdash è cominciato effettivamente a bruciare il pomeriggio tardi del 9 di Av ed è continuato a bruciare durante il 10 di Av. Di conseguenza, la posizione di un Rav è che se lui fosse stato vivo all’epoca in cui hanno istituito il digiuno, lo avrebbe fatto osservare il 10 di Av. Quindi il 10 di Av è anch’esso un giorno molto luttuoso.
Due ulteriori questioni da sottolineare sul 10 di Av: per prima cosa, secondo Rav HaChidà, è vietato recitare la Berachàh di Sheecheianu anche il 10 di Av. Quindi non si indossano abiti nuovi, non si compra una nuova auto o simili fino all’11 di Av. Inoltre, così come è vietato ascoltare musica durante le tre settimane che vanno dal 17 di Tamuz al 9 di Av, lo è anche il 10 di Av. Quindi ascoltare musica e recitare la berachàh di shecheianu è possibile solo dall’11 di Av.

Shabbat Shalom!!
  

Newsletter Parashat Mattot Masè 5773

La Parashàh… in brevissima!

Nella Parashàh di Mattot si parla delle regole riguardanti il fare e l’annullare un voto. Viene descritto l’attacco a sorpresa contro i midianiti, la purificazione di persone e oggetti dopo la guerra e la dedicazione di parte del bottino per il bene comune. Le tribù di Reuven e Gad fanno richiesta di ricevere la loro porzione di terra ad est del fiume Giordano. Moshè si oppone alla richiesta perché teme che quelle tribù non prenderanno parte alla conquista della terra d’Israele; le tribù assicurano che saranno in prima linea e quindi ricevono il permesso.
Nella Parashàh di Masè viene riportata l’intera lista delle tappe nel deserto (il nome di ogni tappa sta ad indicare un messaggio, una lezione imparata in quel determinato luogo). HaShem comanda di cacciare gli abitanti della terra, di distruggere i loro idoli e di dividere la terra tirando a sorte. HaShem stabilisce i confini di Eretz Israel. Viene nominata una nuova leadership, vengono designate le città dei leviti e le città rifugio (in cui un omicida involontario poteva ricevere asilo). Infine, vengono stabilite le leggi di un omicidio accidentale e di quello volontario e le norme di eredità solo per quella generazione, per una coppia in cui ognuno proveniva da una differente tribù.

 

Masè (Bemidbar 33-36)

Apprezzare le nostre sfide


Questa Parashàh riassume le tappe del Popolo Ebraico nel deserto. Non c’è niente che non sapessimo già, quindi Rashi, per spiegare la cosa, ci racconta una parabola presa dalla Tradizione Orale,  per spiegare come mai questa apparente ripetizione.
Un re porta suo figlio molto malato in un viaggio lungo e difficile, nella speranza di arrivare all’unico dottore che possa curarlo. Superano molte prove e ostacoli lungo il cammino ma finalmente raggiungono il dottore che è effettivamente in grado di far guarire il figlio.

 Visto che il figlio non era completamente cosciente durante il viaggio di andata, al ritorno il re passa lungo la stessa via attraverso cui erano arrivati e in ogni tappa si ferma per raccontare al figlio cosa fosse accaduto in quel luogo: qui ci siamo riposati; qui abbiamo avuto freddo; qui sei peggiorato, etc.
Anche qui, nella nostra Parashàh, HaShem rievoca il passato, in modo da parlare al Popolo Ebraico a proposito dei 40 anni passati nel deserto. Così come ogni aspetto del viaggio del re era necessario per portare il figlio dal dottore e farlo guarire, anche qui, quello che è accaduto nel deserto, sia in bene che in male, ha plasmato il Popolo Ebraico in una nazione che era pronta a entrare in Eretz Israel e compiere il proprio destino di essere una luce per le nazioni.
Il punto è il seguente: la vita è un viaggio. Tutti affrontiamo delle prove. Nel momento in cui ci troviamo nella situazione difficile, può essere duro apprezzarne l’importanza e il valore. Ci si lascia prendere dalla frustrazione del momento e non capiamo come mai quella difficoltà sia necessaria. Ma con il senno di poi, tutto appare molto diversamente. Anche se nel momento stesso può essere difficile capire come mai quella determinata prova fosse necessaria, guardarsi indietro porta sempre una prospettiva migliore.
Non è mai facile capire perché bisogna passare determinate prove nel momento in cui le si subiscono. Ma quasi sempre, quando ci si guarda indietro dopo che sia passato il tempo sufficiente, è possibile capire come mai ci siano capitate quelle prove e quale fosse lo scopo della situazione.
Ogni tanto, vale la pena di pensare alle tappe degli anni passati e apprezzare come tutto ci abbia portato esattamente dove dovessimo essere. HaShem ha sempre un piano, e quel piano è sempre per il bene. Quando guardiamo alle nostre tappe passate, possiamo vedere come il piano si sia sviluppato, e sentire il nostro apprezzamento per quello che HaShem ha fatto per portarci a dove siamo oggi.
Devar Toràh
Basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin
La Toràh afferma:
 “Novakh andò e sottomise [la città di] Kehat con i luoghi ad essa circostanti e la chiamò Novakh, secondo il proprio nome.” (Bemidbar 32:42)
Perché questo verso è stato incluso nella Toràh?
Rav Samson Raphael Hirsh spiega: in tutto il mondo leader potenti hanno voluto lasciare monumenti in loro memoria  attraverso statue ed edifici che si chiamano con il loro nome. Re e conquistatori hanno perfino chiamato intere città con il proprionome. Però, un nome può essere facilmente cambiato senza che ne rimanga nulla, così come è successo a Novach (né Novach né la città che ha preso il suo nome sono ricordate nel corso della storia). Le buone azioni di una persona e le sue conquiste spirituali sono i soli veri monumenti eterni.
Quando vedi il bene che fai come il tuo monumento eterno, proverai una motivazione maggiore a riuscire a realizzare quanto più possibile. Una vita costituita da raggiungimenti spirituali è eterna. Sii felice di ogni atto positivo che compi, darà maggiore splendore al tuo monumento!


Un bambino che non ha raggiunto l’età del Bar Mitzvàh, deve digiunare a Tisha beAv?
Rav Menachem Azarya di Fano (Italia, 1548-1620), in una delle sue risposte (111) scrive che non c’è alcun valore nel forzare un bambino che non è arrivato all’età in cui è obbligato a compiere le mizvot a digiunare durante i giorni di digiuno. Al contrario, bisogna accertarsi che i bambini siano nutriti come si deve durante queste giornate. Questa è anche la posizione di Chacham Ovadia Yosef, che stabilisce che perfino bambini di 11 e 12 anni devono mangiare durante i giorni di digiuno, perfino se vogliono digiunare. Chacham Ovadia nota che in particolare per quello che riguarda Tisha BeAv (e altri digiuni che sono legati alla commemorazione della distruzione del Bet HaMikdash), non c’è motivo di far esercitare i bambini a digiunare, perché speriamo ferventemente che arriverà il Mashiach e non ci sarà più l’obbligo di digiunare. Non c’è alcun bisogno di allenare i nostri figli a digiunare se speriamo che non dovranno mai osservare questa Mitzvàh.
Se il bambino insiste a digiunare, i suoi genitori possono permettergli di saltare la colazione, ma non di saltare il pranzo. Questo è quanto stabilito da Chacham Ovadia Yosef e da Rav Shelomo Zalman Auerbach (Israele, 1919-1995).
Una domanda interessante si pone in un anno in cui Tisha BeAv cade di Shabbat, ed è quindi spostato alla domenica, e un ragazzo compie 13 anni il 10 di Av. Deve digiunare o è esente visto che il vero giorno del 9 di Av non aveva ancora raggiunto l’età del Bar Mizvàh? Chacham Ovadia Yosef stabilisce che se il ragazzo si sente debole eavrebbe difficoltà a digiunare, può facilitare e mangiare durante quel giorno.

Riassumendo: non si deve permettere ai bambini sotto l’età del Bar Mizvàh di digiunare il giorno di Tisha BeAv; se vogliono possono saltare la colazione, ma non il pranzo. Un ragazzo che diventa Bar Mizvàh la domenica del 10 di Av, in cui viene posticipato il digiuno del 9 di Av, non deve digiunare se si sente debole e avrà difficoltà a farlo.


Shabbat Shalom!