Newsletter: Parashat Noach 5772

La parashà di Noach… in brevissima!

La storia di un uomo giusto in una generazione malvagia. L’Onnipotente comanda a Noach (Noè) di costruirsi un’arca su una collina lontano dall’acqua. La costruisce per un periodo di oltre 120 anni. Le persone deridono Noach e gli chiedono: “Perché costruisci una barca su una collina?”. Noach gli spiega che ci sarà un diluvio se le persone non cambieranno il loro modo di comportarsi. Da questo episodio vediamo la pazienza dell’Onnipotente di aspettare che le persone cambino il proprio comportamento e l’ottima idea di risvegliare la curiosità della gente in modo da fargli porre domande e, si spera, ascoltare la risposta.
La generazione non fa teshuvà, e il Signore fa cadere un diluvio per quaranta giorni. Noach e la sua famiglia lasciano l’arca 365 giorni dopo quando la terra è di nuovo abitabile. HaShem stabilisce un patto e mette l’arcobaleno come segno del patto secondo cui non distruggerà mai più la vita attraverso l’acqua. Quando si vede l’arcobaleno è un’incitazione a fare teshuvà – a riconoscere gli errori che stai compiendo nella tua vita, correggerli, e chiedere scusa a tutti coloro nei confronti di cui ti sei comportato male, oltre che ad HaShem.
Noè pianta una vigna, si ubriaca e poi avviene il misterioso incidente nella tenda in cui Noè maledice suo nipote Canaan. La parashà si conclude con la storia della torre di Babele e poi con la genealogia che va dal figlio di Noè, Shem, fino ad Avraham.

Dvar Torà
basato su “Love Your Neighbor” di Rav Zelig Pliskin

La Torà afferma:
 “Allora il Signore disse a Noè: ‘è giunta fino a Me la fine di tutti gli uomini perché la terra si è colmata di violenza (chamas) a causa loro” (Bereshit 6:13).
Rabbi Yochannan dice, “Vieni, e guarda il potere della corruzione. La generazione del diluvio trasgrediva tutto, ma il decreto finale contro di loro non è stato stabilito fino a che non si sono resi colpevoli di rubare” (Talmud Bavli, Sanhedrin 108a).
Il Midrash definisce il termine chamas, che troviamo in questo verso, come rubare meno del valore di una perutà, un valore così insignificante dal punto di vista economico, che un tribunale non costringe un ladro che ha rubato solo quella cifra a restituirla. Nella generazione di Noach (Noè), quando una persona portava un sacco pieno di fagioli per venderli, qualcuno arrivava e rubava meno del valore di una perutà, poi un’altra persona faceva lo stesso, e poi un’altra ancora, alla fine alla vittima non rimaneva neppure un fagiolo e non poteva neppure accusare nessuno in tribunale (Bereshit Rabbàh 30). Questo era fatto pubblicamente e condonato.
La nostra lezione: quando vai dal fruttivendolo non mangiare l’uva senza permesso!

 

Stam Yenam – la severità della proibizione di bere vino dei non ebrei

Il Ben Ish Chai (Rav Yosef Chaim di Bagdad, 1833-1909), nella parashà di Balak (1), parla delle regole che riguardano la proibizione di bere “stam yenam” – vino dei non ebrei. Per enfatizzare la severità di questa proibizione, il Ben Ish Chai fa riferimento a un episodio riportato nel libro “Aiumà Kanidgalot” (p. 24) che dimostra la gravità di questa violazione e le sue possibili ripercussioni.
La storia riguarda undici prominenti rabbini che il re convoca nel suo palazzo. Il re descrive il grande rispetto e ammirazione che sente nei loro confronti, ed esprime il desiderio che i rabbini gli dimostrino reciprocamente le stesse cose. A quel punto il re gli chiede di fare una di tre cose: mangiare maiale, bere il suo vino, avere rapporti con una donna non ebrea. I rabbanim chiedono di avere tre giorni a disposizione per valutare le opzioni e arrivare a una decisione.
Tre giorni dopo, ritornano al palazzo informando il re di essere pronti a bere il suo vino. Hanno stabilito che, visto che mangiare maiale e avere relazioni con donne non ebree costituisce un divieto direttamente dalla Torà, mentre la proibizione di bere “stam yenam” è stata indetta dai Saggi e può quindi essere trattata con meno rigorosità. Fra le tre opzioni, hanno concluso, quella relativamente meno grave è quella di bere vino di un non ebreo.
Il re era felicissimo, e fa immediatamente sedere gli ospiti alla tavola rotonda girevole nella sala da pranzo reale. Ai rabbini viene servita carne kasher mentre gli altri commensali mangiano maiale. Il re ordina ai suoi servi di portare il miglior vino doc dalla cantina di corte, e irabbini lo bevono. Il vino era molto forte, così diventano leggermente brilli. Senza che lo realizzassero, il re fa girare la tavola, e così i rabbini mangiano il maiale che era nei piatti delle persone che gli sedevano accanto.
Dopo il pasto, il re dice ai rabbini, “Sarete sicuramente stanchi; abbiamo delle suite speciali qui nel palazzo, in cui potete dormire, e abbiamo portato le vostre mogli qui in modo che potrete stare con esse.”
I rabbini accettano di dormire nel palazzo, ma, nello stato intossicato in cui si trovavano gli hanno portato prostitute – non le loro mogli – nelle stanze. Hanno quindi passato la notte con queste donne non ebree.
Al mattino, hanno realizzato chi gli era stato portato nelle stanze, e il re gli mostra che la loro carne kasher della sera prima non era stata toccata, indicandogli che hanno mangiato maiale.
Loro hanno pensato che accettando di bere il vino del re avrebbero commesso il peccato meno grave fra i tre, ma come risultato della cosa, bevendo quel vino hanno infine commesso tutti e tre i peccati. Gli undici rabbini hanno accettato su di se misure di pentimento, ma sono tutti morti di una morte innaturale entro l’anno.
Questo dimostra che, anche se la proibizione di “stam yenam” è stata istituita dai Saggi, e non è una legge direttamente dalla Torà, è molto severa. Chi viola una norma di istituzione rabbinica, si espone potenzialmente alla trasgressione di molte norme della Torà. Infatti lo Zohar, commenta che chi trasgredisce la proibizione di “stam yenam” perde la sua parte nel mondo a venire, (pur essendo possibile fare teshuvà). Dobbiamo quindi essere estremamente attenti rispetto al tipo di vino che beviamo, e assicurarci che incontri tutte le qualificazioni alachiche per essere considerato kasher, così da non trasgredire questa grave proibizione.

Shabbat shalom!
  

Newsletter: Sukkot 5772

Sukkot – Alachot di base per la prima sera e per quando Sukkot capita di giovedi e venerdi

Quando i primi due giorni di Sukkot cadono di giovedì e venerdì (come quest’anno), bisogna assicurarsi di preparare un Eruv Tavshilin dal mercoledi, prima dell’entrata di Yom Tov, in modo che il venerdi si possa cucinare per shabbat.
Le donne hanno l’obbligo di accendere le candele le prime due sere di Sukkot, così come il venerdì sera. Il mercoledì sera, la prima sera di Sukkot, le donne accendono le candele prima del tramonto, all’ora riportata sui calendari vari, così come fanno il venerdì sera, e recitano la berachà di “leadlik ner shel Yom Tov”. Giovedì sera, la seconda sera di Yom Tov, accendono le candele con la stessa berachà, quando il marito torna a casa dal bet hakneset. Queste candele vanno accese da una fiamma già accesa. Il venerdì sera, accendono le candele dello shabbat prima del tramonto, da una fiamma già accesa, recitando la solita berachà di “leadlik ner shel shabbat”.
La prima sera di Sukkot, si deve recitare il kiddush e mangiare il pasto in sukkà, tempo permettendo. C’è un obbligo direttamente dalla Toràh di mangiare almeno un “kabetzà” (54 grammi circa) di pane nella sukkà la prima sera di Sukkot. Mentre si compie questa mizvà bisogna avere in mente di mangiare al fine di compiere il precetto comandato della Torà e che la sukkà ricorda l’uscita dall’Egitto e le sette “nubi di gloria” con cui HaShem circondava il popolo ebraico mentre viaggiavano nel deserto. Secondo alcune autorità rabbiniche, averlo in mente è obbligatorio per l’adempimento della mizvà. Bisogna quindi accertarsi di averlo in mente prima di mangiare nella sukkà.
La sequenza per il Kiddush della prima sera di Sukkot è la seguente: “borè perì haghefen”, “baruch attà… asher bachar banu… mekadesh Israel vehazemanim”, “leshev basukkà”, “sheecheianu”. Dopo che chi recita il kiddush pronuncia la berachà di shecheianu, tutti si siedono e si passa il bicchiere del kiddush per bere il vino. È importante che tutti si siedanosotto la sukkà dopo il kiddush, perché attraverso il sedersi si compie la mizvà.

Chag sameach, shabbat shalom!

  

Newsletter: Yom HaKippurim 5772

La mizvà di mangiare la vigilia di Kippur

La vigilia di Yom Kippur abbiamo la mizvà di mangiare. Questa mizvà è talmente importante che, così come dice il Talmud, chi mangia la vigilia di Yom Kippur è come se avesse digiunato due giorni, quello di Kippur e il precedente.
Cosa possiamo imparare? Perché dobbiamo mangiare la vigilia di Kippur?
Il Rosh (Rabbenu Asher Ben Yechiel, Germania-Spagna, 1250-1327) suggerisce un’analogia con un padre che sa che il figlio non potrà mangiare in un certo giorno, e quindi si assicura di nutrirlo abbondantemente il giorno precedente così da non farlo soffrire per il digiuno. Allo stesso modo, dice il Rosh, HaShem ci “nutre” il giorno prima di Kippur comandandoci di mangiare, cosicché la nostra salute e il nostro benessere non siano intaccati dal digiuno.
Lo Shibbolè Halechet (Rav Zidkià Ben Avraham, Italia, 1230-1300) suggerisce un motivo diametralmente opposto, visto che mangiare abbondantemente il giorno precedente al digiuno, rende il digiuno più difficile. Se un giorno il corpo riceve una grande quantità di cibo, quello successivo si aspetta di riceverne altrettanta, e quindi digiunare diventa un’impresa più difficile. La Torà ci comanda di “affliggere le nostre anime” (“Veinitem et nafshotechem”) durante Yom Kippur, e quindi lo scopo di mangiare abbondantemente il giorno precedente è quello di avere più difficoltà a digiunare.
 (Ci si potrebbe chiedere rispetto a questa questione, perché allora non troviamo una alachà simile nel digiuno del 9 di Av. Non solo non c’è una mizvà di mangiare la vigilia del 9 di Av, ma addirittura secondo l’alachà il pasto che precede il digiuno consiste solo in pane e un altro cibo cucinato. Sembrerebbe che ci sia una differenza concettuale fra i due digiuni, il 9 di Av digiuniamo come espressione del lutto, a Yom Kippur digiuniamo per aiutare il processo di pentimento.)
 Lo Sfat Emet (Rav Yehuda Ariè Leb Alter di Ger, Polonia, 1847-1905, in foto) suggerisce un motivo totalmente differente al perché abbiamo la mizvà di mangiare la vigilia di Kippur. Uno degli obblighi che si applicano prima di Kippur è quello di riconciliarsi con coloro a cui abbiamo fatto un torto. Prima di Kippur siamo obbligati a chiedere scusa e cercare di riconciliarci come parte della nostra preparazione al giorno di espiazione. Lo Sfat Emet nota che quando le persone sono affamate, sono più agitate e meno inclini ad accettare o cercare la riconciliazione. L’alachà richiede di mangiare abbondantemente in questo giorno così da poter creare un’atmosfera rilassata e serena, in modo da facilitare la riconciliazione.
La vigilia di Kippur c’è l’uso di mangiare il doppio di quello che si è soliti mangiare. Quindi, se possibile, bisognerebbe calcolare l’apporto calorico medio di ognuno e mangiare il doppio.
La mizvà di mangiare la vigilia di Kippur è considerata più importante perfino dello studio della Torà. Quindi, bisogna prendersi del tempo dallo studio della Torà (tanto più da altre occupazioni) in modo da riuscire a mangiare un pasto come si deve. La Ghemarà, nel trattato di Berachot (8) ci dice di un certo Rav che aveva deciso di passare la vigilia di Yom Kippur leggendo “shenaim micrà veechad targum” (la doppia lettura della parashà con la traduzione in aramaico) dell’intera Torà. I suoi colleghi, lo hanno ripreso, facendogli notare che in quel giorno ha l’obbligo di mangiare. Il Rav non ha risposto alle loro critiche, mostrando di aver accettato la loro opinione. Questo episodio dimostra che la mizvà di mangiare supera perfino l’importante mizvà dello studio della Torà – uno status che hanno ben poche mizvot.
Il Chacham Rav Ovadia Yosef stabilisce che l’obbligo di mangiare la vigilia di kippur si applica sia agli uomini che alle donne, perchè il motivo per questo obbligo – sia inteso come preparazione per il digiuno che per facilitare la riconciliazione – si applica ugualmente sia agli uomini che alle donne.
Il Ben Ish Chai (Rav Yosef Chaim di Bagdad, 1833-1909) riporta l’uso di mangiare pesce durante la colazione della vigilia di Kippur. La base per questo uso è una storia raccontata nel midrash (citato nel Tur) di un re che ha detto al suo servo di andare al mercato e comprarglidel pesce. Il servo va al mercato e scopre che era rimasto un solo pezzo di pesce. Offre al venditore una moneta per il pesce, ma un ebreo, che anche lui voleva il pesce, gli offre due monete. Dopo un’intensa gara al rialzo, l’ebreo ha superato l’offerta del servo riuscendo ad ottenere il pesce per una cifra esorbitante. Il servo è tornato dal re spiegandogli cosa fosse accaduto; il re convoca immediatamente l’ebreo chiedendogli una spiegazione per la sua perseveranza nel voler ottenere il pesce. L’ebreo gli spiega che è la vigilia di Kippur, e quindi voleva il pesce per compiere la mizvà di mangiare un pasto festivo in quel giorno. Noi quindi mangiamo pesce la vigilia di Kippur in ricordo della notevole devozione dell’ebreo per compiere questa mizvà.
Il pesce va mangiato solo nelle ore del mattino, perché cibi che possono aumentare la possibilità di Keri (emissioni notturne) devono essere evitati nel pomeriggio della vigilia, così da non rischiare di diventare impuri la notte di Kippur. Fra tali cibi troviamo i datteri, il pesce, le uova, latte tiepido e la carne grassa.
Riassumendo: sia gli uomini che le donne hanno l’obbligo di mangiare un pasto festivo la vigilia di Kippur, e per farlo si deve perfino prendere tempo dallo studio della Torà. Non vanno mangiati pesci, datteri, uova, latte caldo o carne grassa dal pomeriggio della vigilia. C’è l’uso di mangiare pesce la mattina della vigilia.

Shabbat shalom, gmar chatimà tovà!


  

Newsletter: Parashat Haazinu 5771

Dvar Torà

Basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

La Torà afferma:
           "(Il Signore) è la Roccia! Il suo comportamento è ineccepibile perché tutte le Sue strade sono giuste" (Devarim 32:4).
Il Chafez Chaim, Rabbi Israel Meir Kagan, una volta a chiesto a qualcuno come gli vadano le cose. La persona ha risposto, “Non sarebbe male se andassero un po’ meglio”.
 “Come fai a sapere che non sarebbe male?” ha risposto il Chafez Chaim. “L’Onnipotente conosce quello che succede meglio di te. È misericordioso e pietoso. Se ritenesse che per te sarebbe bene che le cose andassero meglio, le avrebbe sicuramente fatte andare meglio. Certamente le cose per te vanno bene così come sono”.
Le cose non vanno sempre come ci augureremmo che andassero, ma il fatto che le cose siano così è sicuramente per il nostro bene. Questa consapevolezza ti farà stare meglio nella vita. Hai sempre il diritto di provare a migliorare la situazione, ma se le cose non vanno ancora come vorresti, devi lavorare per fare tuo il concetto che l’Onnipotente sta facendo andare le cose come vanno per il tuo bene.

 

Alachot di Rosh HaShanà che cade di giovedì

Gli uomini usano immergersi nel mikvè la vigilia di Rosh HaShanà in onore della festa. E’ opportuno farlo dopo chazot (mezzogiorno alachiko), che cade generalmente intorno alle dodici e mezzo o l’una (a seconda dei luoghi), ma se una persona vuole immergersi durante la mattina può farlo.
Quando Rosh HaShanà cade di mercoledì sera (come quest’anno), cosicché Rosh HaShanà precede subito lo Shabbat, bisogna ricordarsi di preparare l’eruv tavshilin prima dell’entrata di Yom Tov, la vigilia di Rosh HaShanà. Facendo l’eruv tavshilin è permesso cucinare, accendendo i fornelli da una fiamma già accesa, i cibi per lo shabbat. Si mettono da parte un pezzo di pane e un uovo sodo, si recita la berachà di “…asher kiddeshanu bemizvotav vezivvanu al mizvat eruv” e poi si recita la formula “beden eruva yeè shari…” che è riportata nei siddurim. Il pane e l’uovo devono essere riposti in un posto sicuro. Si conservano di solito fino alla seudà shelishit dello shabbat, in cui si usa mangiarli.
Le donne accendono le candele prima del tramonto la vigilia di Rosh HaShanà all’orario riportato dai vari calendari. Recitano la berachà di “asher kiddeshanu bemizvotav vezzivanu leadlik ner shel yom tov”. Accendono le candele anche la seconda sera di Yom Tov, dopo che ha fatto buio, quando gli uomini ritornano dalla tefillà di arvit. Naturalmente, quando Rosh haShanà capita di giovedì e venerdì, si accendono anche le candele dello shabbat.
Bisogna sottolineare che l’alachà vieta di creare una fiamma di yom tov, per esempio accendendo un fiammifero. Quindi bisogna accertarsi prima di yom tov di accendere una candela che duri molte ore, in modo da essere ancora accesa il venerdì nel momento in cui bisogna accendere le candele dello shabbat.
Inoltre, l’alachà proibisce di spengere una fiamma di Yom Tov, quindi dopo che una donna ha acceso le candele, non deve spengere direttamente la fiamma attraverso cui le ha accese, ma lasciarla spengere da sola. Questa alachà è rilevante anche per coloro che fumano durante yom tov; la sigaretta deve spengersi da sola (sicuramente non si dovrebbe fumare mai; ma se una persona fuma, deve accertarsi di non spengere attivamente la sigaretta).
Riassumendo: è bene per gli uomini immergersi nel mikwè la vigilia di Rosh HaShanà, preferibilmente nel pomeriggio. Quando Rosh HaShanà inizia il mercoledì sera, bisogna preparare l’eruv tavshilin prima del tramonto in cui entra yom tov, mettendo da parte un pezzo di pane e un uovo sodo, che dovrebbero essere mangiati durante la seudà shelishit dello shabbat. Bisogna inoltre accertarsi di accendere una fiamma prima di yom tov in modo da poter accendere le candele di yom tov del secondo giorno e quelle dello shabbat.

Shabbat shalom e shanà tovà!