Newsletter: Parashat Kedoshim 5771

Dvar Torà
basato su “Growth Through Torah” di rav Zelig Pliskin


La Torà afferma:
“Ama il tuo prossimo come te stesso, Io sono il Signore.” (Vaikrà 19:18)
Come possiamo metterlo in pratica?
Il Talmud (Shabbat 31a) racconta la storia di un non ebreo che va dal grande saggio Hillel dicendo: “Convertimi alla condizione che mi insegnerai tutta la Torà su un solo piede.” Hillel accetta la condizione e gli dice, “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te. Questa è tutta la Torà.”
Dal momento che Hillel si stava riferendo al comandamento di amare il prossimo come se stessi, perché non ha semplicemente citato il verso?
Rav Yerucham Levoviz spiega che così facendo ci insegna una grande lezione. Dalle parole “ama il tuo prossimo” potremmo pensare che dal momento che si prova un sentimento d’amore nei confronti degli altri si sta compiendo questa mizvà. In realtà, il fatto di provare amore e basta non è sufficiente. Questo amore deve motivarci a compiere azioni positive per gli altri  e a impedirci dal compiere qualsiasi azione che possa causare agli altri pena o sofferenza.
Non c’è dubbio che la Torà ci richieda di provare amore profondo nei confronti degli altri, ma non solo, il nostro comportamento nei confronti degli altri deve manifestare questo amore. È per questo che Hillel ha spiegato a quell’uomo che lo stesso comandamento secondo cui dobbiamo provare amore nei confronti degli altri ci richiede anche di comportarci in modo elevato nei nostri rapporti interpersonali di tutti i giorni.

 

…a proposito della sefirat haomer: il periodo della sefirà – recitare la berachà di shecheianu, comprare abiti nuovi, trasferirsi in una nuova casa, rimodernare e celebrare una festa di fidanzamento.

Durante il periodo della sefirat haomer ci asteniamo dal compiere manifestazioni di gioia in ricordo della tragica morte dei 24.000 discepoli di Rabbi Akiva accaduta proprio in questo lasso di tempo. Nello Shulchan Aruch è riportato che non si celebrano matrimoni e tagliano i capelli in queste settimane. Il Maghen Avraham (commento allo Shulchan Aruch di Rav Avraham Gombiner, Polonia, 1637-1683) aggiunge inoltre la proibizione di ascoltare musica.
La domanda è se bisogna astenersi da altri tipi di azioni che implicano gioia. Per esempio, durante il periodo di ben hamezarim – le tre settimane fra il 17 di Tamuz e il 9 di Av – è proibito recitare la berachà di shecheianu. Questa berachà è recitata in occasioni gioiose – come per esempio mangiare un nuovo frutto di stagione o indossare un abito nuovo – e attraverso di essa esprimiamo la nostra gratitudine ad HaShem per averci dato questa occasione gioiosa. Questa espressione di contentezza è incompatibile con il periodo di ben hamezarim, durante il quale numerose calamità si sono abbattute sul popolo ebraico. Bisogna estendere questo concetto anche al periodo della sefirat haomer, che anch’esso rappresenta un periodo di grande tragedia, e vietare di entrare in situazioni in cui sia necessario recitare la ebrachà di shecheianu?
Il Ben Ish Chai (Rav Yosef Chaim di Bagdad, 1833-1909) nella sua opera Or HaChaim opera una distinzione fondamentale fra il periodo di ben hamezarim e quello della sefirat haomer. Come abbiamo purtroppo visto, il periodo di ben hamezarim è intrinsecamente  designato come un tempo di sventura; è definito come tempo di tragedia ed è quindi inappropriato recitare la gioiosa berachà di shecheianu durante questo periodo. Il periodo della sefirat haomer invece è un momento molto propizio. Tanto che il Rambam nel suo commento alla Torà (parashat Emor) parla di queste settimane come una sorta di chol hamoed fra le due feste di pesach e shavuot. Anche lo Zoar descrive il periodo della sefirà in questi termini. Anche se si è verificata la morte dei discepoli di Rabbì Akiva, questa calamità non caratterizza questo periodo come un tempo di disgrazia. Pertanto, anche se dobbiamo astenerci da alcune forme di gioia, non c’è bisogno di andare oltre il celebrare matrimoni, tagliarsi i capelli e ascoltare musica. Tutte le altre espressioni di gioia sono permesse, anche quelle proibite durante il periodo di ben hamezarim, come per esempio recitare la berachà di shecheianu. Questa è l’opinione di alcune autorità tra cui lo Yafè LaLev e il Pachad Izchak. Il chacham Ben Zion Abba Shaul (Israele, 1924-1998) anche segue questa posizione nella sua opera Or LeZion (vol. 3).
Allo stesso modo, il Chacham Ben Zion dice che è possibile acquistare un abito nuovo nel periodo della sefirat haomer, nonostante la gioia che questo può causare alla persona. Allo stesso modo il Chacham Ovadia Yosef (Chazon Ovadià – Regole di Yom Tov, p. 74) dice che ci si può trasferire in una nuova casa durante la sefirà o rimodernare la casa. Questo include allargarla, rimbiancarla o riammobiliarla. Si può anche organizzare una festa di chanukkat habait (inaugurazione della casa) in onore del trasferimento nella nuova casa, così come sono permesse feste di fidanzamento, purchè non ci sia musica.
Riassumendo: Durante il periodo della sefirà ci asteniamo dal celebrare matrimoni, ascoltare musica e tagliarci i capelli. Si può, tuttavia, acquistare un nuovo abito, recitare la berachà di shecheianu, trasferirsi in una nuova casa, rimodernare la casa e organizzare una festa (senza musica) in onore di un fidanzamento o di una nuova casa.
Shabbat shalom umevorach!

Speciale Pesach!

Linee guida selezionate per il seder

1.    Cosa significa la parola seder?
La sera di pesach è molto diversa da tutte le altre sere dell’anno. È ricca di kedushà e di mizvot sia dalla Torà che miderabbanan, e di usi e tradizioni. Ogni dettaglio è di grande importanza e si dovrebbe eseguire ogni passo meticolosamente sapendo che nessuna parte di tutta la procedura è superfluo. La parola seder significa ordine, a indicare che tutta la serata segue un ordine ben preciso, stabilito dai Nostri Maestri, in cui ogni passaggio è intriso di significati e messaggi profondi.
2.    Quali sono le fasi principali del seder?
Ci sono 15 passaggi fondamentali e ognuno di essi ha un nome. Questi nomi formano una semplice rima, così da permetterne la memorizzazione per poterli eseguire tutti:
Kadesh, Urchaz, Karpas, Yachaz, Magghid, Rochzà, Mozì, Mazà, Maror, Korech, Shulchan Orech, Zafun, Barech, Hallel, Nirzà.
Molti hanno l’uso di annunciare ogni fase col suo nome nel momento opportuno.
3.    Quali sono le principali mizvot del seder?
Ci sono due mizvot direttamente dalla Torà: mangiare la mazà e raccontare l’uscita deglie ebrei dall’Egitto. Ci sono tre mizvot principali derabanan: bere quattro bicchieri di vino, mangiare il maror, recitare l’allel.
4.    I bambini hanno l’obbligo di osservare tutte le mizvot del seder?
I bambini che hanno raggiunto “l’età dell’educazione” (cinque o sei anni a seconda del bambino) dovrebbero cercare di compiere tutte le mizvot del seder. Dal momento che il loro obbligo è derabbanan, quantità più piccole rispetto a quelle richieste dagli adulti, possono essere utilizzate per fargli compiere le varie mizvot.
I bambini dovrebbero essere incoraggiati a restare al tavolo del seder almeno fino alla fine del pasto, e se possibile, fino a dopo che si è bevuto il quarto bicchiere di vino. È per questo motivo che i Nostri Maestri hanno istituito molte procedure insolite durante il seder, al fine di suscitare l’interesse e la curiosità dei bambini e risvegliare la loro attenzione durante la serata.
Secondo la Torà ogni padre dovrebbe raccontare a suo figlio la storia dell’Egitto, e l’aggadà sottolinea questo obbligo descrivendo quattro tipi di figli a cui un padre potrebbe doversi trovare a rispondere. Alcuni genitori fanno l’errore di mandafre i propri figli a dormire dopo aver recitato “Ma Nishtanà”. È consigliabile che i bambini dormano bene il pomeriggio che precede pesach in modo da avere la forza e l’entusiasmo da rimanere svegli durante il seder.
5.    chi recita il kiddush al seder?
Alcune famiglie hanno l’uso che solo il capo famiglia reciti il kiddush e gli altri partecipanti compiono la mizvà ascoltandolo. Altri hanno l’uso che tutti recitino il kiddush insieme. Tutti i partecipanti dovrebbero avere un bicchiere di vino in mano sia che ascoltino, sia che recitino il kiddush attivamente.
6.    cosa si dovrebbe pensare prima di recitare (o ascoltare) il kiddush?
Bisogna avere in mente di compiere due mizvot:
- quella del kiddush
- quella di bere il primo dei quattro bicchieri di vino
Bisognerebbe inoltre avere in mente che la berachà di shecheianu vale per il giorno di yom tov e su tutte le mizvot del seder.
7. Cosa si dovrebbe pensare prima di iniziare l’aggadà?
Tutti dovrebbero avere l’intenzione di compiere l’obbligo di raccontare la storia dell’uscita dall’Egitto. La mizvà è compiuta sottolinenado tre concetti fondamentali:
- la malvagità degli egiziani e le terribili sofferenze che hanno inflitto sul popolo ebraico durante i lunghi anni di schiavitù.
- il miracolo delle piaghe che H’ ha mandato agli egiziani seguendo il criterio di “contrappasso”
- ringraziare e lodare HaShem per i meravigliosi gesti di bontà che ha compiuto per il popolo ebraico , liberandolo dalla schiavitù e scegliendolo come popolo eletto.
8.    Cosa fare se una persona non capisce il significato del testo dell’aggadà?
Non si compie la mizvà recitando il testo se non si capisce quello che si sta dicendo. Chi non ha familiarità con l’ebraico può, prima di pesach, studiarsi l’aggadà, per far si che la sera del seder sia un’esperienza significativa. È un peccato che molte persone impieghino tantissima energia e tempo per pulire la casa e non riescano a cogliere appieno il significato della sera del seder. Inoltre, colui che dirige il seder dovrebbe accertarsi che tutti capiscano almeno le parti essenziali del racconto.
9. Quali parti nella narrazione sono più importanti?
- le dieci piaghe
- la parte che inizia con “Rabban Gamliel usava dire! Fino a quando si beve il secondo bicchiere di vino.
10.  Quanto tempo si dovrebbe dedicare a raccontare la storia dell’uscita dall’Egitto?
Per la maggior parte delle persone è sufficiente recitare il testo standard dell’aggadà, fermandosi di tanto in tanto per sottolineare i tratti essenziali. Analisi del testo sono fuori luogo in questa fase, bisognerebbe riportare midrashim e commentatori che descrivono la schiavitù e i miracoli avvenuti. È importante spiegare la storia ai partecipanti a seconda del loro livello di comprensione. In particolare, bisognerebbe riuscire a mantenere viva l’attenzione dei bambini. Bisogna inoltre tenere d’occhio il tempo poiché va compiuto ogni sforzo per mangiare l’Afikomen prima di chiazzo. A livello approssimativo bisognerebbe finire il racconto dell’uscita e bere il secondo bicchiere un paio d’ore prima di chiazzot. Se avanza del tempo si può continuare a parlare dell’uscita dall’Egitto durante il pasto. 
11. A cosa bisognerebbe pensare prima della berachà sulla mazà?
- colui che dirige il seder deve avere l’intenzione di far uscire d’obbligo tutti i partecipanti con la sua berachà
- tutti gli altri devono avere in mente di uscire d’obbligo
- di compiere la mizvà di mangiare la amzà la prima sera del seder
- di includere all’interno della berachà anche il korech e l’aficomen
- ricordarsi di mangiare stando appoggiati sul gomito sinistro

Newsletter: Parashat Acharè Mot 5771

Dvar Torà
basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

La Torà afferma: “Ama il prossimo tuo come te stesso, Io sono il Signore” (Vaikrà 19:18)
Cosa significa?
Il Rambam, Moshè Maimonide, scrive: “Siamo obbligati ad amare ogni singolo ebreo come noi stessi, come afferma la Torà ‘Ama il tuo prossimo come te stesso’. Di conseguenza dobbiamo lodare gli altri e dobbiamo preoccuparci per il loro denaro così come ci preoccupiamo per il nostro e per la nostra dignità. Chiunque tragga onore dall’umiliare qualcun altro, perde il suo posto nel mondo futuro (Hilchot Deot 6:3)
Il comandamento di amare il prossimo può essere eseguito sempre, in ogni secondo della giornata. Qualsiasi favore o gentilezza si compia nei confronti di qualcuno può essere considerato come compimento di questa mizvà (a condizione che si abbia l’intenzione di compierla). In ogni caso questo comandamento può essere eseguito anche attraverso il pensiero.
Quando si è felici per qualcosa di buono che accade a un’altra persona, questo costituisce un atto di amore. Per esempio, se si sente che qualcuno ha appena dato alla luce un bambino e si è contenti, si compie questa mizvà.
Lo stesso vale quando accade qualcosa di negativo. Se ti senti triste a causa della sua sofferenza, stai compiendo una mizvà. Eseguendo questo comandamento appropriatamente si possono accumulare migliaia su migliaia di mizvot. (Yesod VeShoresh HaAvodà 1:7-8)
La difficoltà nell’adempiere questo comandamento consiste nel fatto che la maggior parte delle persone sono inclini ad essere gelose degli altri. Quando sentono che le cose vanno bene per qualcun altro si crea in loro gelosia e questo gli impedisce di essere felici.
Quindi è molto importante lavorare per aggiustare questa inclinazione caratteriale. Un altro importante fattore che permette di amare gli altri è quello di giudicarli in modo favorevole. In mancanza di questa abilità, non si è in grado di provare amore completo nei confronti del prossimo, ma questo costituisce un tema a se.

… a proposito di pesach: mangiare mazà venuta a contatto con sostanze liquide e la “mazà shemurà”

La Mishnà Berurà (composta da Rav Israel Meir Kagan di Radin, 1839 – 1933) parla a proposito dell’uso osservato da alcune comunità di non mangiare, durante pesach, mazà che sia venuta a contatto con qualsiasi tipo di liquido. Chi osserva questo uso non può mischiare la mazà con acqua o uova e simili. Il motivo che sta dietro a questo uso è che si teme che una parte dell’impasto che costituisce la mazà non sia stato ben cotto e, se dell’impasto crudo viene a contatto con del liquido, può diventare chamez.
La Mishnà Berurà scrive che, seppure non si dovrebbe deridere coloro che osservano questo uso, in realtà non ha alcuna base alachica. Dice che non si sospetta che un prodotto sia vietato a meno che non ci sia una buona ragione per farlo. Se la mazà è stata cotta in una fabbrica in cui si è stati attenti a tutte le procedure richieste dall’alachà, non c’è motivo di sospettare che siano rimaste delle parti di impasto crude. Questo in particolare per quanto riguarda le mazot dei nostri giorni che sono dure come crackers e quasi bruciate. È altamente improbabile che la mazà di oggi abbia dell’impasto non cotto a sufficienza. Anni fa la mazà era più spessa e morbida e c’era forse posto per sospettare. Oggi tuttavia, questa preoccupazione è del tutto infondata e quindi l’uso comune è quello di mangiare e cucinare la mazà mischiata in qualsiasi liquido si voglia. Ovviamente bisogna accertarsi che la mazà che si mangia sia stata cotta e seguita da mashghichim affidabili e che sia timbrata come “kasher lepesach”
La sera del seder bisogna mangiare mazà che, non solo sia kasher lepesach, ma che sia anche etichettata come “shemurà mishaat hakezirà”. Questo significa che l’intero processo, a partire dalla mietitura del grano, è stato compiuto con l’intento di compiere la mizvà e sotto supervisione continua. A rigor di termini, l’obbligo di usare specificatamente “mazà shmurà” si applica solo durante il seder. Tuttavia, dicono a nome del Gaon di Vilna (Rabbì Eliau di Vilna, 1720 – 1797) che mangiare “mazà shemurà” durante tutta la festa di pesach sia una mizvà deoraita (direttamente dalla Torà). Ci sono quindi alcune persone che mangiano “mazà shemurà” durante tutto pesach per  eseguire la mizvà al meglio anche secondo l’opinione del Gaon di Vilna.  Rav Aharon Kotler, il rinomato fondatore e Rosh Yeshivà di Lakewood, insisteva affinchè fosse servita “mazà shemurà” ai suoi studenti durante tutto pesach, nonostante il costo di quest’ultima fosse superiore rispetto alla semplice mazà “kasher lepesach”. Secondo lui, se il Gaon di Vilna considerava una mizvà deoraita quella di mangiare mazà shemurà per tutto il periodo di pesach, allora vale la pena seguire questa pratica. Pertanto è buona cosa mangiare mazà shemurà per tutta la durata di pesach, ma come detto sopra, questo non è strettamente richiesto dall’alachà
Riassumendo: anche se alcune comunità hanno l’abitudine di non mangiare mazà che sia venuta a contatto con delle sostanze liquide, secondo l’alachà è permesso. La sera del seder bisogna mangiare mazà etichettata come “shemurà mishaat hakezirà”. Alcuni hanno l’uso di mangiare solo “mazà shemurà” per tutta la durata della festa.

Shabbat shalom umevorach!!

  

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Dvar Torà

Basato su “Growth Through Torah” di Rav Zelig Pliskin

La Toràh afferma:
“Allora il Sacerdote ordinerà di prendere per la persona da purificare, due uccelli vivi e puri, un ramo di cedro, un filo di lana scarlatta e dell’issopo. (Vaikrà 14:4)
Quale lezione impariamo da questo verso?
Rashi, il grande commentatore, cita i Saggi che dicono che il cedro simboleggia l’arroganza (un albero di cedro è chiamato “alto e fiero”). La zaraat ha origine dall’arroganza e dal disprezzo per gli altri che fanno si che la persona sia portata a parlarne male.
Il Chafez Chaim commenta che chi parla male degli altri considera se stesso superiore e di conseguenza si prende il diritto di dire cose negative su chi lo circonda. Se fosse consapevole dei suoi difetti e limiti non cercherebbe di sottolineare quelli degli altri.
Quale è la cura? Bisogna lavorare sul rafforzamento dell’umiltà, che è simboleggiata dalla porpora che è prodotta da un mollusco e dall’issopo che è un piccolo cespuglio (i due uccelli vivi che cinguettano simboleggiano il chiacchierio e il pettegolezzo).
La nostra lezione: cercare di essere più consapevoli dei nostri difetti e limiti piuttosto che concentrarci su quelli degli altri

 

…a proposito di pesach: il digiuno dei primogeniti!

Lo Shulchan Aruch riporta l’uso del “taanit bechorot”, il digiuno dei primogeniti (sia che siano primogeniti da parte materna o da parte paterna), la vigilia di pesach. Questo digiuno ricorda la “makat bechorot”, l’ultima delle dici piaghe in cui sono stati colpiti i primogeniti egiziani, da cui i primogeniti ebrei sono stati risparmiati. L’uso comune è che solo i primogeniti maschi digiunino.
Dal momento che questo digiuno non è richiesto secondo l’alachà stretta, e si osserva solo come minag (usanza), unito al fatto che la vigilia di pesach è solitamente una giornata molto intensa, i Nostri Maestri lo trattano con maggiore indulgenza rispetto agli altri digiuni. Quindi, se il primogenito partecipa a una seudat mizvà (un pasto che costituisce una mizvà) di qualsiasi tipo, è esentato dal digiunare. Esempi di seudat mizvà sono costituiti  da seudot che seguono un brit milà, un pidion haben e un bar mizvà nella data ebraica in cui il ragazzo compie 13 anni. Di solito nella maggior parte delle comunità c’è qualcuno che completa lo studio di una massechet (trattato talmudico) festeggiando quindi con un sium la vigilia di pesach, in modo che i primogeniti della comunità possano partecipare alla celebrazione ed essere quindi esentati dal digiunare.
Si deve notare che la persona deve avere effettivamente studiato la massechet; il pasto non è considerato una seudat mizvà se ha solo letto le parole senza capire di cosa si trattava. Inoltre, il primogenito non è esentato dal digiuno  a meno che non ascolti la persona mentre legge e spiega la frase finale della massechet. Deve essere presente quando si legge l’ultima frase e capire cosa viene detto. Alcuni sbagliano pensando che il cibo servito durante il sium abbia uno status speciale per cui basta semplicemente assaggiarlo per essere esentati dal digiuno. Questo non è vero, sono esentati solo coloro che partecipano e ascoltano la fine della massechet.
Anche completando uno dei sei sedarim della Mishnà con il commento di Rabbenu Ovadia di Bartenura si può fare una seudat mizvà, e questa celebrazione esenta i primogeniti dal dover digiunare.
Un primogenito che non partecipa a una seudat mizvà deve digiunare per tutto il giorno fino al seder. I primogeniti devono quindi accertarsi di avere modo di partecipare a una seudat mizvà.
Primogeniti malati o deboli non sono tenuti a digiunare anche se non partecipano a una seudat mizvà.
E’ consuetudine che chi abbia un primogenito maschio lo porti al Tempio per ascoltare il sium il giorno della vigilia di pesach, se il bambino è grande abbastanza da capire, anche se non ha ancora superato l’età del bar mizvà. Se è troppo difficoltoso per il bambino venire al Tempio non è tenuto a farlo ma il padre dovrebbe partecipare al sium al posto del figlio.
Nel libro “Shaarè Ora” viene data una suggestiva interpretazione del perché il miracolo dei primogeniti in Egitto venga commemorato specificatamente con un digiuno. A prima vista, avremmo detto che un miracolo vada celebrato con una qualche forma di manifestazione gioiosa e non con un digiuno! Lo Shaarè Ora spiega che quando Moshè ha annunciato che  HaShem avrebbe mandato una piaga per colpire i primogeniti egiziani, i primogeniti ebrei erano molto spaventati e preoccupati. I Nostri Maestri ci insegnano che i Figli d’Israele adoravano gli idoli durante il periodo in cui erano in Egitto e quindi i primogeniti ebrei non avevano abbastanza meriti per essere salvati. Il giorno prima della piaga, i primogeniti ebrei hanno digiunato e si sono pentiti con la speranza di guadagnare compassione Divina e essere risparmiati dalla piaga che avrebbe colpito di lì a poco gli egiziani.
I primogeniti osservano un digiuno la vigilia di pesach come parte dei nostri sforzi di ricostruire e rivivere le esperienze dei nostri avi in Egitto. Durante pesach abbiamo l’obbligo, non solo di parlare a proposito di quello che è successo in Egitto, ma di riviverlo, come è detto nell’aggadà: “Una persona deve considerarsi come se essa stessa abbia lasciato l’Egitto”. L’usanza è quella quindi che i primogeniti devono digiunare la vigilia di pesach così come i loro antenati hanno digiunato.
Riassumendo: il primogeniti maschi (sia da parte di madre che da parte di padre) devono digiunare la vigilia di pesach, ma si può evitare partecipando a una seudat mizvà o a un sium la mattina della vigilia. Il primogenito deve partecipare personalmente, ascoltare e capire la frase finale della massechet. È uso che i padri di figli primogeniti che non sono ancora arrivati all’età del bar mizvà portino i loro figli per partecipare al sium oppure devono partecipare al posto loro.

Shabbat shalom!!

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Dvar Torà
basato su “Growth Through Torah” di Rabbi Zelig Pliskin
La Torà afferma per quanto riguarda la zaarat: “Per tutti i giorni in cui avrà su di se la lesione sarà impuro. Essendo egli impuro, abiterà da solo e la sua dimora sarà al di là dell’accampamento”. (Vaikrà 13,46)
La zaarat è una malattia fisica di origine non naturale mandata per avvisare di astenersi dal parlare male degli altri.
Perchè una persona affettà da zaarat è obbligata a risiedere al di fuori dell’accampamento?
I Nostri Maestri ci insegnano nel Talmud (Arachin 16b) che così come la persona affetta da zaarat ha causato separazione fra le persone parlando male degli altri, egli stesso deve restare separato dagli altri. Questa non è vendetta, ma un comportamento che serve per insegnare una lezione. Stare da soli comporta grande sofferenza. Tutti hanno bisogno di altre persone. Alcuni hanno grande necessità di essere contornati dagli altri, essere isolati provoca molto dolore. Quando una persona affetta da zaarat  ha parlato male di qualcuno, gli ha causato danno e isolamento dai suoi amici e famigliari. Se colui che ha parlato male, proverà in prima persona cosa significa essere isolati, la prossima volta starà più attento a come parla.
Avere persone intorno è fonte di grandi benefici, tuttavia c’è un prezzo da pagare. Amici e parenti possono comportarsi in modo irritante. Rendendosi conto che l’alternativa sarebbe quella di restare soli, si vedrebbe la cosa come un piccolo prezzo da pagare per goderne i benefici. Quando si acquista un oggetto, ci si concentra generalmente su cosa si può guadagnare dall’acquisto e non tanto sulla spesa. Allo stesso modo, concentrandosi su cosa si può guadagnare stando con gli altri si porrà meno attenzione a eventuali “comportamenti fastidiosi”. Guardando gli altri in modo positivo si vivrà molto meglio piuttosto che passare il tempo cercando strategie su come fare in modo che gli altri smettano di darci fastidio.


A proposito di pesach: la vigilia di pesach, usanze riguardanti la bruciatura del chamez, astenersi dal lavoro la vigilia di pesach

C’è l’uso di usare il lulav e le aravot del sukkot precedente per cominciare ad alimentare il fuoco con cui si brucerà il chamez alla vigilia di pesach. Alcuni inoltre, hanno l’abitudine di utilizzare gli stoppini che erano stati usati per accendere le candele di chanukkà. Il concetto che sta alla base di queste usanze è quella di riutilizzare oggetti attraverso cui precedentemente abbiamo compiuto una mizvà, per compiere una nuova mizvà.
Secondo l’alachà la vigilia di pesach è proibito compiere alcuni generi di lavori da dopo chazot. Ci sono due motivi principali su cui si basa questo divieto. In primo luogo, quando esisteva il Bet HaMikdash, la vigilia di pesach era un giorno in cui si portavano i sacrifici. Ogni ebreo faceva parte di un gruppo che offriva il korban pesach (sacrificio pasquale) nel pomeriggio della vigilia di pesach. Il Talmud riporta che nel giorno in cui si porta un sacrificio al Bet HaMikdash, bisogna astenersi dal lavoro come se fosse un giorno di festa. Pertanto, la vigilia di pesach era considerata una “sorta di giorno festivo” in cui gli ebrei si astenevano dal lavorare, in quanto in quel giorno ogni ebreo portava un sacrificio. Anche se, in assenza del Bet HaMikdash (possa presto essere ricostruito ai nostri giorni) non abbiamo la possibilità di portare sacrifici, la vigilia di pesach non ha perso il suo status di giorno di “quasi festa”.
Il secondo motivo per cui i Nostri Maestri hanno stabilito che bisogna astenersi dal lavorare nel pomeriggio della vigilia di pesach, è per essere sicuri di prepararsi in modo appropriato per la festa di pesach, compiendo azioni quali preparare le mazot, preparare gli utensili per la festa etc.
Se fosse permesso lavorare la vigilia di pesach le persone sarebbero più concentrate sul proprio lavoro piuttosto che sui preparativi per la festa.
Questo divieto si applica ad attività come cucire, rammendare gli abiti, fare il bucato e tagliarsi i capelli. Chi ha necessità di tagliare i capelli nel pomeriggio della vigilia di pesach, deve andare da un barbiere non ebreo, e non può andare da un barbiere ebreo in quanto è proibito per un ebreo tagliare i capelli a un'altra persona la vigilia di pesach. E’ permesso tagliarsi i capelli da soli e farsi la barba nel pomeriggio della vigilia di pesach.  Bisognerebbe anche lucidarsi le scarpe e tagliarsi le unghie.
Questo divieto non si applica a generi di lavoro come effettuare chiamate telefoniche e organizzare acquisti e vendite. Tali lavori sono permessi la vigilia di pesach in quanto non è a questo genere di lavoro che i Saggi si riferivano quando hanno istituito la proibizione.
Ci sono alcuni luoghi in cui il divieto di lavorare è esteso a tutto il giorno della vigilia di pesach. Nelle comunità in cui questo uso è vigente bisogna attenervisi evitando di compiere lavori proibiti durante il pomeriggio della vigilia, già dalla mattina. L’uso generale comunque, è quello di astenersi dal lavorare a partire dal pomeriggio della vigilia.
Riassumendo: c’è l’uso di accendere il fuoco con cui si brucia il chamez usando oggetti che erano stati precedentemente usati per altre mizvot  come il lulav e gli stoppini per le candele di chanukà. Bisogna evitare di compiere lavori quali rammendare e tagliarsi i capelli nel pomeriggio della vigilia di pesach. Chi volesse tagliare i capelli nel pomeriggio della vigilia può farlo andando da un barbiere non ebreo. È possibilie radersi, lucidare le scarpe, tagliarsi le unghie e svolgere attività commerciali nel pomeriggio della vigilia.

Shabbat shalom umevorach!!

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Dvar Torà

Basato su “Growth Through Toràh” di Rav Zelig Pliskin


Quando i due figli di Aharon sono morti, la Torà ci descrive la sua reazione:
“E Aharon rimase in silenzio” (Vaikrà 10:3)
Come è possibile che sia rimasto in silenzio? Cosa gli passava per la testa?
Rabbi Moshè HaCohen Rice scrive nella sua opera Or HaMussar: Aharon è stato molto lodato per il fatto di essere rimasto in silenzio, per non lamentarsi nei confronti del Signore accettando la sua volontà. Perché? Prima che qualcosa accada bisogna essere in grado di intervenire per impedirlo. Tuttavia, in seguito, cosa si può fare?
Ci si può ribellare o accettare la volontà dell’Onnipotente. Il fatto che Aharon abbia accettato la volontà di HaShem era un fatto eccezionale ed unico nel suo genere?
I Chachamim hanno lavorato costantemente per riuscire ad accettare la volontà di HaShem in ogni caso. Rabbi Akiva, quando succedeva qualcosa di apparentemente negativo usava dire: “Tutto ciò che fa l’Onnipotente è per il bene”. Nachum, Ish Gam Zu usava dire: “Anche questo è per il bene” (Ish gam zu significa “colui che che ha fatto diventare parte di se l’idea che qualsiasi cosa accada anche questo è per il bene”).
Tuttavia, quando una persona dice “tutto quello che HaShem fa è per il bene” su qualcosa che inizialmente lo disturbava o lo frustrava, implica che inizialmente era infastidito da quello che è successo. Non appena si rende conto che la questione lo preoccupa, usa il suo intelletto per superare la sua reazione negativa. Intellettualmente sa che tutto quello che HaShem fa è per il bene e questa consapevolezza lo aiuta ad accettare la situazione.
Un livello ancora più alto consiste nell’assimilare il concetto che qualsiasi cosa HaShem fa è positiva e buona. Quando questo è l’atteggiamento nel valutare qualsiasi cosa accada, non c’è bisogno di convincere se stessi che uno specifico evento sia positivo, una persona del genere sarà in grado di accettare con gioia qualsiasi cosa gli capiti nella vita.
Questa era la grandezza di Aharon: è rimasto in silenzio perché sapeva perfettamente che qualsiasi cosa HaShem fa ha una sua utilità positiva. Quando va tutto bene, si sente una gioia interiore per il fatto di vivere una vita felice. Più si impara ad accettare la volontà del Signore e più si sarà felici nella propria vita!


…a proposito di pesach: bedikat chamez: dove bisogna cercare? L’uso di mettere dieci pezzi di chamez in casa prima della ricerca

La sera del 14 del mese di nissan, la sera prima del seder, c’è l’obbligo di fare la ricerca del chamez nelle proprie case.
In generale, la casa viene pulita a fondo nelle settimane che precedono tale sera. Il Rav Yosef Shalom Elyashiv shlita (contemporaneo) dice che non c’è bisogno di fare la ricerca del chamez la sera del 14 di nissan se la casa è stata pulita dal chamez accuratamente. Poiché il chamez è stato tolto e la casa è stata pulita, non c’è bisogno di fare la ricerca. Bisogna ricercare solo negli angoli, nelle crepe e altri luoghi in cui potrebbe essere stato difficile pulire e c’è quindi la possibilità che sia rimasto del chamez.
C’è un uso molto diffuso che consiste nel mettere in casa dieci pezzi di chamez prima della bedikat chamez. Bisogna assicurarsi di sapere esattamente dove siano posizionati in modo da sapere dove andarli a riprendere. Il Rav Eliashiv usa metterli lui stesso. Aggiunge inoltre che i dieci pezzi debbano essere incartati, così da evitare che le eventuali briciole si spargano per la casa. Preferibilmente i dieci pezzi dovrebbero essere incartati in un materiale infiammabile come potrebbe essere per esempio un foglio di carta, in modo che la mattina seguente possano essere gettati nel fuoco senza troppi problemi.

Riassumendo: bisogna fare la ricerca del chamez la sera che precede il seder di pesach. Non c’è bisogno di cercare nelle zone in cui è stato pulito prima di pesach ad eccezione degli angoli e delle crepe in cui potrebbe essere risultato difficoltoso riuscire a pulire. C’è l’uso di posizionare dieci pezzi di chamez in casa prima della ricerca, ma bisogna assicurarsi di sapere esattamente dove si trovino. I pezzi dovrebbero essere incartati, preferibilmente in fogli di carta.




Shabbat Shalom umevorach!